Il recente ingresso delle azioni cinesi di classe A (ovvero quelle disponibili per gli investitori esteri) in un indice importante come il Morgan Stanley Capital International (MSCI) ha determinato una modifica nell’approccio all’investimento in azioni cinesi. Rispetto alla ricerca delle singole società su cui investire si sta affermando una maggiore attenzione alle caratteristiche complessive del mercato azionario cinese, con effetti positivi sulla conoscenza di un mercato esotico così importante.

Su questo tema una casa di investimento giapponese (*) ha approfondito lo studio delle caratteristiche delle società cinesi sulla base di un campione di duemilasettecento società non finanziarie a loro volta confrontate con altrettante società americane. La mole di dati è impressionante e le informazioni che si ricavano sono altrettanto notevoli.

La dimensione dell’analisi è evidentemente di ampio respiro ed abbraccia una incredibile quantità di aspetti riguardanti la redditività, la struttura patrimoniale, le dimensione degli investimenti fissi, le spese per la ricerca e sviluppo ed altro ancora. Per non farsi mancare nulla l’arco temporale è altrettanto ampio coprendo il decennio dal 2007 al 2016.

In testa all’analisi viene proposto un’immagine emblematica che amplia ancora di più, se possibile, l’oggetto dell’approfondimento. Nell’immagine del grafico vengono messi in relazione i dati del 2016 relativi al margine netto (Utile Netto/Fatturato), alla quota di fatturato generato all’estero e alla dimensione del fatturato. Ma ciò che rende forse ancora più l’idea della mole di lavoro è che il confronto è fatto relativamente ai maggiori mercati azionari, utilizzando un database informativo ancora diverso e particolarmente significativo.

Nomura intende segnalare la scarsa dipendenza dal fatturato estero, meno del 10%, delle principali società cinesi rispetto ad altri mercati azionari e pur in presenza di margini tra i più elevati, oltre il 10%. Ciò è vero per le prime trecento società cinesi mentre l’indice delle cinquecento società minori presenta una marginalità dimezzata ed una maggiore quota di fatturato estero. Tra gli altri indici solo il Russell 2000 americano, indice che include le piccole-medie capitalizzazioni, segnala un fatturato estero inferiore al 20% ma associato ad una marginalità netta molto bassa, circa l’1%.

La maggiore dipendenza dall’estero si riscontra nell’indice delle principali società inglesi, il FTSE100, con quasi il 60% di fatturato proveniente da oltre i confini del Regno Unito a cui corrisponde una marginalità bassa, circa il 4%. Al contrario le piccole-medie società inglesi dell’indice FTSE 250 sono meno dipendenti dall’estero ma sono più redditizie delle società maggiori. Nikkei e Topix sono in mezzo tra il FTSE 100 e il FTSE 250 mentre S&P500e Nasdaq 100 dipendono dall’estero per circa il 45% ed hanno una marginalità netta compresa tra il 9% dell’indice maggiore e il 12% dell’indice tecnologico.

(*) Nomura, China equity portfolio strategy: Comparing China and US equities, giugno 2017

 

Cinausa
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