Chi dall’estero compra negli ultimissimi tempi il debito pubblico statunitense? Le banche centrali – circa 20 miliardi di dollari al mese – e altri investitori privati – circa 60 miliardi. Questi ultimi sono soprattutto britannici, vale a dire imprese finanziarie che s’indebitano a breve termine con il sistema finanziario degli Stati Uniti e poi comprano le obbligazioni degli Stati Uniti a più lungo termine, lucrando la differenza dei rendimenti.


Il debito pubblico statunitense è così finanziato in parte dall’estero, grazie alla politica dei tassi d’interesse nulli. Il nuovo debito pubblico – pari al deficit che è finanziato con obbligazioni – cresce di circa 1.300 miliardi di dollari l’anno. Esso è anche finanziato dall’interno: le banche di credito ordinario statunitensi hanno, infatti, ridotto il credito all’economia e incrementato gli acquisti di debito pubblico. Insomma, grazie al carry trade – l’indebitarsi a breve per comprare a lunga, e grazie alle modeste prospettive dell’economia, che non alimentano una gran richiesta di credito da parte delle imprese e delle famiglie, il debito pubblico statunitense è sottoscritto con rendimenti bassissimi. Se misurato al netto dell’inflazione – usando all’uopo le obbligazioni indicizzate – il debito pubblico è scambiato allo 0,5%. Dunque per ora sembra che non abbia un costo.

Fatte tutte le debite differenze – gli Stati Uniti importano capitali dall’estero e le famiglie sono indebitate –, la situazione assomiglia a quella del Giappone, il quale esportava capitali e aveva le imprese indebitate. Un gran debito pubblico che cresce senza costi apparenti, sostenendo così una modesta crescita economica, è la somiglianza.

Il meccanismo che alimenta l’equilibrio odierno può andare in crisi non appena la banca centrale rialza il costo del denaro. Il carry trade a quel punto non è conveniente, e il costo del debito pubblico comincia a salire.

Possiamo asserire che il prezzo del debito pubblico non è «efficiente», ossia che è più alto di quel che altrimenti sarebbe (i rendimenti – ossia la cedola divisa per prezzo – sono più bassi di quello che altrimenti sarebbero) senza il carry trade. Ma se il prezzo del debito pubblico non è efficiente, allora anche il prezzo del debito privato non è efficiente (il prezzo del debito privato si forma a partire al rendimento del debito pubblico, più un premio per il rischio). E nemmeno il prezzo delle azioni, che è definibile come il flusso di utili attesi scontato per il rendimento dei titoli del debito pubblico. Per prezzo efficiente intendiamo un prezzo che si forma su un mercato in cui nessun operatore è in grado di influenzare il prezzo.
 
Il rialzo del tassi non sembra un problema, per ora. L’appena insediata vicepresidente della Federal Reserve ha dichiarato che i tassi potrebbero restare nulli per altri due anni. Insomma, si può (forse) continuare a rischiare con il carry trade. Il rischio in campo azionario – per quanto possa sembrare strano – è percepito, anche se il costo del denaro è nullo. Lo s’intravede non dai prezzi, ma dai volumi scambiati, che sono molto scarsi. Insomma, la borsa non è comprata e venduta «a man bassa». Si osservi anche il mercato dei future sulla borsa statunitense: i future trattati «alle grida» – i contratti degli operatori «pesanti» – sono al massimo storico della previsione negativa. I contratti venduti allo scoperto rispetto ai contratti lunghi sono, infatti, in un rapporto di 4 a 1. I future trattati «elettronicamente» – i contratti dei mini-operatori – sono, invece, in un rapporto inverso. I contratti lunghi sono più numerosi di quelli corti.
 
(Possiamo anche allargare il discorso. Si potrebbe avere una crisi, seppure di entità minore, anche a parità di tassi, se i deficit degli stati federati non vanno sotto controllo. Il deficit federale è di 1.300 miliardi di dollari, come noto, pari a circa il 10% del Pil. Poi vi sono i deficit statali – il più famoso è quello della California – e quelli municipali. Alcuni stati hanno deficit che vanno dal 15 al 40% del rispettivo Pil. Il deficit della Grecia è intorno al 12% del suo Pil. Dunque alcuni stati sono nella condizione della Grecia, con Bruxelles che è Washington.)

Esiste, come noto, il problema di portare sotto controllo la dinamica dei debiti pubblici. È altrettanto noto che la Federal Reserve ha acquistato una grandissima quantità di titoli obbligazionari legati al settore immobiliare. In questo modo ne ha sostenuto il prezzo, e indirettamente ha compresso il costo dei mutui. Forse è meno noto che la Banca Centrale Europea ha accettato come collaterale per i prestiti alle banche di credito ordinario titoli di qualità inferiore a quella dei debiti pubblici. Anzi nel corso del tempo i titoli privati, soprattutto le obbligazioni emesse delle banche medesime, sono diventati più numerosi di quelli pubblici.

L’equilibrio (precario) in cui ci troviamo da un paio di anni trova la sua soluzione solo con una ripresa sostenuta. I prezzi delle attività finanziarie non possono essere sostenuti per sempre dalle politiche monetarie e fiscali lasche. Con la crescita, i deficit si contraggono, i debiti pubblici crescono meno e le banche centrali possono cominciare a vendere ai privati le obbligazioni che hanno intanto accumulato. Se non si avesse una forte ripresa, le cose diventerebbero molto complesse da gestire. Soprattutto, non si ha esperienza. La crisi del Giappone era un fenomeno «locale», qui abbiamo un Giappone «globale».


Per i numeri che sostengono la prima parte del ragionamento:

http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/LC23Dj04.html

Per il ragionamento sui bilanci statali e municipali:

http://www.calculatedriskblog.com/2010/03/feds-lockhart-us-economy-and-emerging.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+CalculatedRisk+%28Calculated+Risk%29

Per il ragionamento sulla Banca Centrale Europea:

http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/03/22/182066/the-ecbs-rubbish-collateral-analysed/