Ridotta all’osso, la visione condivisa dai più è questa: a differenza del Giappone, gli Stati Uniti hanno un’economia flessibile che si riprenderà tornando a crescere come una volta; gli Stati Uniti, sempre per la flessibilità che li caratterizza, andranno meglio dei paesi europei; i quali ultimi, soprattutto i paesi deboli, sono «imprigionati» dall’euro. La conclusione è che alla fine gli Stati Uniti rivedranno la grande crescita e l’euro sarà la moneta dei soli paesi forti.


Le visioni radicate sono accolte senza senso critico. Quasi tutti gli articoli dei giornali, ma anche i commenti di quasi tutti gli analisti finanziari, ripetono i punti sopraelencati. Naturalmente, un’idea largamente condivisa non è necessariamente vera: l’esempio che si può portare è che per millenni quasi tutti hanno pensato che fosse la Terra al centro dell’universo. È importante discutere la visione condivisa perché i prezzi finanziari la riflettono. Se essa, invece, fosse falsa o parzialmente vera, i prezzi finirebbero per cambiare e perciò si avrebbero occasioni d’investimento.
 
Abbiamo discusso la somiglianza fra il Giappone di ieri e gli Stati Uniti di oggi (1). Emerge un tratto caratteristico: quando si ha lo «sciopero del debitore», le cose diventano difficili da gestire e la crisi dura molto; la flessibilità può aiutare, ma non è la variabile cruciale. Abbiamo discusso anche l’idea che i paesi con economie flessibili finiscano per andare meglio di quelli con economie rigide – il che è vero, ma non lo è necessariamente quando si hanno le crisi da debito (2).
 
Qui discutiamo dei paesi europei deboli. Il ragionamento condiviso dai più parte dalla premessa che un paese che abbia perso la sovranità monetaria (la moneta è unica e «battuta» a Francoforte) non riesce a rilanciare la propria crescita quando ciò diventa necessario. Per esempio l’Italia, oberata dal grande debito pubblico – prosegue il ragionamento –, non riesce a rilanciare la propria economia per cui finirà soffocata dalla spesa per interessi. Infatti, una quota della spesa pubblica, invece di essere usata per il rilancio, spendendo per esempio in infrastrutture, va a pagare gli interessi. Alla fine l’Italia, proprio per riprendere la crescita, uscirà dall’euro e in seconde nozze rimariterà la lira, che, svalutata, ne rilancerà le esportazioni.
 
Il ragionamento è presentato sia in termini astratti, come proposto fin qui, sia circostanziato con i fatti: la crescita del costo del lavoro per unità di prodotto italiano rispetto a quello tedesco, all’incirca dall’adozione dell’euro, è cresciuto di più. Ergo, l’Italia sarà messa fuori gioco e non le resta che la lira. I numeri non sono sempre incontrovertibili. Se invece di partire dal 2000 partissimo dal 1990, avremmo un quadro ribaltato: sarebbe l’Italia ad andare meglio. La Germania, inghiottendo la RDT, ha avuto un apparato industriale appesantito, che nel tempo ha ristrutturato. L’Italia ha preparato l’ingresso nell’euro rendendo il proprio apparato industriale più competitivo. Morale: dal 1990 al 2000 la Germania è andata peggio e l’Italia meglio, poi i ruoli si sono invertiti. Il miglior andamento della Germania dal 2000 al 2010 (anno su cui i numeri sono proiettati) non ha ancora bilanciato il peggior andamento relativo del decennio precedente. L’Italia, non avendo più la lira, paga un interesse sul debito pubblico pari alla metà, e non ha perso competitività come si crede. Perché mai dovrebbe essere messa fuori dall’euro, e perché mai dovrebbe desiderarlo, non si capisce.
 
La stessa conclusione vale per la Grecia. Se la Grecia uscisse dall’euro, pagherebbe interessi elevatissimi, giacché le correzioni del bilancio pubblico si fanno a un costo minore sotto l’ombrello dell’euro. L’argomento degli «euro scettici» è che la Grecia paga un interesse ben più alto della Germania sul proprio debito a lungo termine. Naturalmente, è mostrato il grafico del differenziale di interesse, cresciuto moltissimo negli ultimi tempi. Se, invece, fosse mostrato il grafico del rendimento assoluto delle obbligazioni greche, si vedrebbe che è rimasto stabile, e dunque che il differenziale è salito, perché è sceso il rendimento tedesco. Dal punto di vista del bilancio pubblico greco l’onere degli interessi è rimasto invariato.

Viene il dubbio che ciò che per i molti è scontato non lo sia affatto.

 

La ricerca è ispirata da un articolo di Erik Jones, A couple of euro myths debunked, Eurointelligence.
Le due ricerche che finora hanno discusso la visione della maggioranza sono:

 

(1) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/gli-stati-uniti-sono-in-una-trappola-giapponese.html


(2) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/nelle-crisi-da-debito-chi-è-messo-peggio.html