Sono emersi i costi della eventuale uscita dall’euro di Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro e Spagna. Possiamo provare ad aggiungere alcune valutazioni sul grado di integrazione finanziaria dell’area euro a partire da come si è evoluta la posizione finanziaria netta (NIIP: Net International Investment Position, ossia il saldo tra i crediti e i debiti finanziari) dei diversi paesi dell’area dal 1997.
Il 1997 è un anno singolare in quanto, oltre ad essere l’anno di partenza nelle statistiche di Eurostat per la zona euro relativamente a questo indicatore, rappresenta anche e soprattutto l’anno zero: vale a dire, nel 1997 la NIIP aggregata degli undici paesi iniziali era esattamente in pareggio. Negli ultimi quindici anni la situazione è nettamente cambiata: la NIIP aggregata è oggi negativa per circa il 12% del PIL dell’eurozona con paesi in forte attivo (Germania e Olanda) ed altri in forte passivo (Spagna, Grecia, Irlanda,Portogallo).
Oggi il Prodotto Interno Lordo dell’area euro supera i 9.000 miliardi di euro e la NIIP è negativa per 1.100 miliardi (fonte Eurostat). Confrontando l’andamento della competitività (misurata dal tasso di cambio reale effettivo, ovvero comprensivo non solo degli effetti delle variazione dei cambi ma anche dei costi e dei prezzi dei diversi paesi) e del NIIP risulta evidente come il la diffusione e persistenza dell’euro abbia contribuito al peggioramento della situazione debitoria complessiva (e viceversa): alcuni paesi hanno esportato di più, altri di meno.
Peraltro, bisogna aggiungere un elemento di ulteriore complicazione: la NIIP dei 17 paesi attualmente aderenti all’euro non è pari alla somma dei singoli paesi (come nel caso, ad esempio, del Prodotto Interno Lordo) ma è inferiore al valore aggregato (-760 miliardi). Come è possibile?
La spiegazione è nella holding, ovvero il debito netto emesso dalle istituzioni europee (ad esempio la Banca Europea degli Investimenti) e il cui peso è un buon indicatore del grado di integrazione finanziaria. Infatti, se prima della nascita dell’euro le istituzioni europee erano foraggiate dagli Stati e quindi finanziariamente in attivo, oggi sono debitrici in quanto nel corso del tempo hanno emesso obbligazioni per finanziare la crescita delle infrastrutture ritenute vitali per il processo di integrazione. Questo processo è destinato ad una forte accelerazione con la costituzione del fondo ESM che aumenterà il trasferimento dai singoli Stati all’amministrazione centrale della posizione finanziaria netta.
I dubbi sollevati sulle modalità del processo hanno una loro ragione d’essere e questa risiede nella forte dispersione dei dati tra i paesi. Come detto, i 17 paesi aderenti hanno una posizione finanziaria netta verso il resto del mondo negativa di 760 miliardi. Questo valore è il saldo di posizioni positive e negative; per intendersi, la Germania ha crediti verso il resto del mondo per oltre 900 miliardi (pari al 36% del PIL tedesco) mentre la Spagna ha debiti di pari importo (oltre il 90% del PIL spagnolo). E’ evidente che l’elemento critico è l’allontanamento eccessivo che si è consumato nel corso dell’ultimo decennio nei saldi dei singoli paesi a fronte di un processo di integrazione finanziaria che è comunque proseguito e cresciuto e che oggi indica in oltre 300 miliardi di euro l’esposizione netta in euro delle istituzioni europee, un terzo dell’intera esposizione dell’eurozona.
Se aggiorniamo l’analisi del legame tra tassi decennali e NIIP dei paesi dell’eurozona otteniamo una immagine estremamente chiara delle distanze attuali le quali, peraltro, coincidono singolarmente con il posizionamento geografico dei paesi. Austria, Francia e Italia sono spartiacque tra l’area mediterranea (con l’inclusione dell’Irlanda) e l’area nordica dell’eurozona. L’Italia rappresenta il paese che in questo momento sta soffrendo maggiormente l’impatto distorsivo sui tassi, derivante probabilmente dalla componente troppo elevata di debito pubblico rispetto agli altri paesi e dall’esistenza ancora marcata del rischio di conversione. Mentre la Spagna è allineata e l’Irlanda oggi presenta persino un premio derivante dalla velocità di implementazione delle politiche di rientro, l’Italia potrebbe già oggi avere tassi decennali intorno al 3,5%.ù
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