Quelli che pensano che l’Impero Americano stia decadendo rimandano alle cause della scomparsa degli altri imperi: 1) l’esercito imperiale per quanto potente è incapace di controllare tutto il mondo; come ieri gli spagnoli avevano finito per combattere delle guerre interminabili in Olanda, così stanno facendo oggi gli statunitensi in Medio Oriente.

2) L’Impero è finanziato dal resto del mondo; come ieri gli spagnoli continuavano a vendere obbligazioni ai genovesi, così fanno oggi gli statunitensi con i cinesi e con i sauditi. Negli ultimi tempi si sta diffondendo un argomento nuovo e sottile: contribuisce alla decadenza anche la “mentalità dello scommettitore”.

La mentalità dello scommettitore è quella che cerca di dare una probabilità agli eventi. L’esempio classico è la scommessa di Pascal sull’esistenza di dio: mi conviene credere, perché, se dio non esiste, non ho perso nulla, mentre, se esiste, ho guadagnato. Una persona razionale dunque crede in via logica, anche se non crede per fede: i cinici sono deliziati. Una volta, dice questa scuola di pensiero, ossia ai tempi del capitalismo vitale, si facevano le scommesse ma in positivo, per esempio comprando le azioni che finanziavano gli investimenti per la costruzione dei canali, come quello di Suez. Oggi, invece, si scommette persino sull’insolvenza del debito degli Stati maggiori. Uno si assicura, e, nel caso d’insolvenza, il controvalore dell’obbligazione gli è rimborsata. Se la probabilità d’insolvenza è bassa, paga poco, se alta, molto, come nel caso di un’assicurazione sulla vita, che costa poco se uno è ventenne, ma costa molto se uno è novantenne. Si dice in sostanza che una volta si facevano le scommesse “in positivo”, mentre oggi le si fanno anche “in negativo”, e che questo comportamento tradisce una mentalità decadente. Prima si guardava con fiducia l’avvenire, oggi si teme la fine dei tempi. Lo “zeitgeist” è quindi volto al negativo, perciò gli “spiriti vitali” del capitalismo stanno piegando.

Una volta i mercati finanziari erano meno sofisticati, e quindi le scommesse erano in una sola direzione. Se le cose andavano bene, le azioni e le obbligazioni salivano, se andavano male, scendevano. Chi credeva che le cose stessero andando nella direzione della crescita, comprava, chi non ci credeva, non comprava, oppure vendeva e se ne stava fuori. Una volta chi pensava che le cose potessero andare male non investiva. Oggi, se uno pensa che le cose possano anche andare male, può investire lo stesso, cercando di guadagnare, o almeno di non perdere, sulla propria previsione negativa. I mercati finanziari, offrendo delle attività per le scommesse “al negativo” e non solo “al positivo”, fanno partecipare anche gli scettici. Agli inizi degli anni novanta, l’Italia era proprio mal messa, il suo debito pubblico pagava un premio per il rischio altissimo, un rendimento pari al 6,5% al di sopra quello tedesco, contro un 0,5% di oggi. Chi temeva la catastrofe, vendeva, e, non fidandosi della lira, la moneta nella quale aveva incassato il controvalore delle obbligazioni, comprava marchi. Anche allora si facevano delle scommesse “al ribasso”, ma direttamente sulle attività, vendendo i BTP e la lira. Oggi, invece, l’assicuratore, fatti i conti sul rendimento, sul cambio, ecc, dichiara la sua probabilità. Se pensa che le cose andranno malissimo il premio sarà alto e viceversa. Possiamo immaginare che anni fa un fondo pensione non italiano non avrebbe comprato i BTP, perché doveva fare troppi e complicati ragionamenti sia sulla politica sia sull’economia del Bel Paese. I ragionamenti richiesti gli avrebbero portato via tempo. Uno fa prima ad assicurarsi, paga quelli che pensano ed è pure protetto: il fondo pensione avrebbe comprato i BTP come attività a rischio, da tenere per alzare il rendimento del portafoglio. Il mercato dello scommettitore sarà forse il segno della decadenza del capitalismo, ma è un meccanismo che fa emergere le informazioni e che amplia la platea dei partecipanti.

Tanta meraviglia - il mercato che coinvolge in forma assicurativa i pessimisti - oggi sembra deragliare. Si capisce a fatica il motivo. Fortunatamente, il New York Times ha svolto una lunga inchiesta sui contratti di Credit Default Swap e sull’American International Group, il gigante delle assicurazioni finito sotto la tenda ad ossigeno della banca centrale un paio di settimane fa. AIG assicurava un insieme di debiti con il nome di “collateralized debt obligations”, i CDO. I quali CDO mettevano insieme dei debiti diversi ed erano venduti agli investitori con un rendimento che dipendeva dalla qualità del debito sottostante. AIG assicurava chi comprava i CDO nell’eventualità che il credito fosse irrecuperabile. Sembra una diavoleria, ma si capisce di che cosa si tratta, immaginando il signor Rossi che accende insieme un mutuo ed una polizza vita, per proteggere la banca ed i suoi famigliari, passasse mai a miglior vita. Molte banche europee compravano queste obbligazioni assicurate. Le succitate obbligazioni erano di qualità, e quindi ricevevano il massimo dei voti dalle agenzie dette di “rating”. AIG assicurava una cosa sicura, e quindi pensava di non dover pagare in caso di insolvenza, perché questa era una eventualità remota. Inoltre, AIG era un gigante e quindi godeva della valutazione massima e non doveva fare gli accantonamenti volti a costituire il fondo che avrebbe finanziato le eventuali insolvenze. Perciò AIG pensando che nessuno sarebbe mai fallito, assicurava senza remore, e non faceva gli accantonamenti. Gli utili crescevano e gli inventori del “moto perpetuo” incassavano stipendi da nababbi. Un brutto giorno le obbligazioni che racchiudevano i mutui sono parse meno sicure, gli assicurati hanno chiesto la protezione pattuita, ma purtroppo non si trovavano gli accantonamenti. Un esempio da manuale di “mentalità (da cattivo) scommettitore”.
 
Pubblicato su L'Opinione il 3 ottobre 2008 e su Gazeta.ru il 7 ottobre 2008