Le imprese statunitensi quotate hanno registrato una gran crescita degli utili negli ultimi anni, perché sono stati tagliati i costi, più che per un'espansione del fatturato. Nel secondo trimestre del 2012 gli utili non sono però più cresciuti (+0,2% sul trimestre corrispondente del 2011), e l'aspettativa è quella di una leggera flessione nel terzo trimestre.

Insomma, la borsa statunitense non ha sul fronte degli utili alcuna spinta. Il livello dei prezzi non è basso e quindi non si ha nemmeno una spinta da sottovalutazione.

Non solo, ma le imprese in maggioranza o sostengono che i risultati saranno mediocri, oppure si rifiutano di dichiararli. Si tenga conto che un terzo del fatturato delle grandi imprese statunitensi si forma all'estero (la metà per quelle tecnologiche), con l'economia europea che è depressa, e quella cinese che sta frenando.

Non avendo la spinta degli utili, la borsa può salire solo se scendono (e molto) i rendimenti sul debito pubblico, il fattore di sconto. La variazione del prezzo di un'azione è infatti dato dalla variazione degli utili per la variazione dei rendimenti, ossia var P = var U / var i. Il rendimento del debito pubblico a dieci anni statunitense è però inferiore al 2%, con un deficit pubblico superiore al 5% del PIL, e un debito pubblico intorno al 100% del PIL. Insomma, i rendimenti non possono scendere è la conclusione.

Non si vede perciò in base a quale spinta razionale le azioni statunitensi dovrebbero (nel loro complesso) salire.