Da decenni il punto di vista prevalente è che i paesi con mercati del lavoro flessibili (quelli dove si licenzia e si assume facilmente e dove i salari non sono troppo rigidi) e con mercati dei beni flessibili (quelli dove le imprese possono facilmente fallire e sorgere) siano messi meglio. Sono più dinamici in tempi normali, e meglio si adattano anche nei tempi di crisi. Segue da ragionamento che dalla crisi in corso, alla fine, si solleveranno meglio gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, mentre sono messi peggio i paesi con i mercati rigidi, come quelli dell’Europa continentale.


Per la Germania e la Francia non vi sono grandi problemi, avendo questi ultimi delle finanze pubbliche sane, ma per l’Italia e la Spagna, che non le hanno, si avranno, questo è il pensiero di molti, dei problemi seri. Da qui i giudizi: la forza del dollaro è spiegata dalla fiducia dei mercati nella dinamicità statunitense. Da qui i discorsi sulle “riforme strutturali” (alias andare verso i mercati flessibili) la proposta che conclude ogni analisi. Infine, i giudizi delle società di “rating” sulla sostenibilità del debito pubblico hanno come assunto implicito la capacità di crescere, e dunque i paesi con mercati rigidi sono, per definizione, messi peggio degli altri.

Come si vede, abbiamo un punto di vista, un “paradigma” potremmo dire, che influenza i giudizi e quindi i prezzi delle attività finanziarie. Ed è per questo che ci interessa discuterlo. Il colpo di scena è che, quando si ha una crisi da debito, i paesi rigidi possono essere messi meglio e quindi molti giudizi, e perciò molti prezzi, possano essere rivisti. Oggi stiamo attraversando una crisi da debito.

Proviamo ad immaginare due paesi, entrambi in crisi da debito, laddove uno è flessibile e l’altro rigido. Intanto che cosa vuol dire crisi da debito? Il punto di partenza sono le imprese e le famiglie che debbono ridurre il proprio debito eccessivo. Per farlo, possono, in prima battuta, vendere le attività finanziarie che posseggono e poi, in seconda battuta, ed eventualmente, ridurre i consumi e gli investimenti. Nel caso delle attività finanziarie, se qualcuno, ma non molti, le vende per ridurre il proprio debito non succede niente. Ma se molti le vendono, allora i prezzi cadono e la situazione peggiora per tutti, perché a fronte del debito, che è d’ammontare fisso, si hanno delle attività che valgono meno. Le imprese industriali o finanziarie coinvolte riducono i salari oppure riducono l’occupazione e, quasi sempre, riducono gli investimenti. Il minor reddito delle famiglie rende più difficile il pagamento del debito.

All’origine del meccanismo si ha una variabile rigida (il valore del debito) e delle variabili flessibili (le attività finanziarie che possono essere vendute, i salari, l’occupazione). S’immagini di avere un debito (un mutuo) di 300 mila euro con una banca. Quale che sia il valore delle attività finanziarie (per esempio le azioni che cadono), e del salario, che può scendere, o del posto di lavoro, che può evaporare, il debito resta. Segue dal ragionamento che tanto maggiore è la flessibilità dei salari e dell’occupazione, tanto maggiore è la spinta del meccanismo del debito ad avvitarsi. Infatti, se mi possono licenziare e mi possono ridurre il salario, mentre io debbo pagare il debito, molto più facilmente sarò costretto a vendere le mie attività finanziarie, o a diventare moroso verso il mutuo ipotecario e verso il credito al consumo. Se molti diventano morosi, ecco allora che emerge la crisi dei mutui e delle carte di credito. (Negli Stati Uniti alcuni contratti prevedono che uno, se moroso, semplicemente renda la casa alla banca, ma, a quel punto, la casa resta alla banca. La casa vale meno di quanto fu pagata con i denari presi a prestito dalla banca. Dunque la banca perde, e, se tutte le banche vendono le case dei morosi, ormai rifugiati nelle case prese in affitto, o dai parenti, i prezzi cadono ancora di più).

Un sistema rigido con stato sociale si avvita meno, perché è difficile ridurre la manodopera ed i disoccupati sono protetti dal punto di vista sanitario, dal punto di vista dei sussidi, dal punto di vista pensionistico. Possono quindi ridurre meno i propri consumi. L’avvitamento da debito ha così un pavimento. Con un minor avvitamento si ha una minor caduta del reddito, e quindi, alla fine, delle entrate fiscali. I deficit pubblici nei paesi con mercati rigidi crescono in tempi di crisi, perché aumentano o restano costanti le spese, mentre cadono le entrate, ma non è detto che crescano più di quelli con mercati flessibili. I quali ultimi, hanno minori spese, ma, se il debito si avvita molto, generando una crisi, anche molte meno entrate fiscali.

Detto in breve, nelle fasi di crescita le economie flessibili sono messe meglio. Nelle fasi di crisi, se si ha una grave crisi da debito, sono messe peggio. I giudizi molto negativi che si sentono sui paesi con i mercati rigidi e stato sociale diffuso vanno, nei tempi di crisi, temperati. Vedremo se i prezzi registreranno le cose qui discusse.