Abbandonare lo spread non sarà facile essendo oramai entrato a far parte del lessico quotidiano. Ma una maggiore attenzione al livello assoluto dei tassi più che a quello relativo è indispensabile. Sicuramente per i responsabili delle emissioni del Tesoro italiano che devono rinnovare i titoli che scadono con nuovo debito, come nel caso dell’ultima emissione di nuovi titoli trentennali pienamente sottoscritta con una cedola del 4,75%. Inoltre, e qui le cose si complicano, esiste un meccanismo molto finanziario che riguarda la sensibilità ai movimenti dei tassi ed oggi, in virtù dei livelli dei rendimenti particolarmente bassi per le aree avanzate più importanti, questa variabile assume una particolare importanza.
Questo meccanismo si chiama durata finanziaria (duration) e dice che più un titolo obbligazionario scade lontano nel tempo maggiore è la sensibilità del suo prezzo alla variazioni delle aspettative sui tassi (presenti e futuri). E’ come una corda o un elastico o un'onda marina: all’inizio la vibrazione o l’onda è insignificante ma più ci si allontana dal punto di partenza più l’oscillazione si amplifica e più l’onda diventa grande. Non solo. Nel caso delle onde marine fino a quando il fondale è profondo (tassi alti) l’altezza delle onde è meno visibile ma quando il fondale si abbassa (tassi bassi) le onde non riescono più a scaricare la loro forza verso il basso e diventano enormi.
Questo fenomeno sta manifestandosi sui titoli di stato giapponesi con scadenza ventennale (e decennale) e con effetti significativi sui bilanci delle banche giapponesi (e dei fondi pensione) che ne detengono grandi quantità. Il rialzo recente dallo 0,9% dei primi di aprile al 1,7% attuale è come un onda di minusvalenze che improvvisamente si scarica sui portafogli nipponici (il decennale è passato da 0,3% a 0,8%). Ma perché detenere titoli con rendimenti così bassi che, al primo colpo di vento, possono allagare e distruggere? Perché i modelli di valutazione del rischio (cosiddetto VaR, Value at Risk) segnalano un basso rischio quando i fondali sono molto bassi senza considerare che, in caso di tempesta, è meglio essere dove l’acqua è profonda che vicino a riva.
L’impatto sembra meno significativo per le grandi banche mentre più fragili sono le piccole banche Regionali e Cooperative (Shinkin). L’analogia con il mondo delle grandi navi e dei piccoli navigli è immediata. Questo fenomeno si è già verificato nel 2003 quando tra giugno e settembre di quell’anno i tassi decennali giapponesi passarono dallo 0,5% all’1,6%. Non solo. Il fenomeno si auto alimenta in quanto i detentori dei titoli tendono ad amplificare l’effetto dell’onda vendendo sempre più titoli e provocando ulteriori rialzi dei rendimenti e discesa dei prezzi. Rispetto al 2003 l’impatto oggi è maggiore perché la durata finanziaria dei portafogli (la sensibilità ai bassi fondali) è maggiore a causa della spasmodica ricerca di rendimenti. Alcune valutazioni stimano che una variazione di 100 punti base (1%) avrebbe un impatto negativo sui requisiti patrimoniali del 10% per le grandi banche e del 35% per le banche minori.
Ritornando all’inizio, in presenza di livelli di debito eccessivi avere tassi troppo alti comporta oneri finanziari elevati, come nel caso delle finanze pubbliche italiane, con la necessità di intraprendere e perseguire politiche di risanamento del bilancio statale. La vicenda dei tassi giapponesi dovrebbe spostare l’attenzione dai differenziali (spread) ai valori assoluti in quanto anche livelli troppo bassi dei tassi, non solo giapponesi, possono generare una errata percezione del rischio.
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