Verso la metà dello scorso decennio incomincia a diventare popolare l’investimento in materie prime – in commodities. Si sosteneva (1) che rendevano bene e con poco rischio e che avevano anche andamenti diversi da quelli di azioni e obbligazioni. In altre parole, che oltre al «rendimento poco rischioso» si aveva anche la «diversificazione». Infine, le commodities avevano andamenti fra loro indipendenti, e questo era un ulteriore vantaggio di «diversificazione». Di questo parliamo nella prima parte. Sempre dalla metà dello scorso decennio, arriva la domanda aggiuntiva dalla Cina, che fa esplodere la domanda di commodities. Di questo parleremo nella seconda parte. La conclusione è che abbiamo un nuovo tipo di volatilità di origine finanziaria, e che lo scenario delle risorse naturali decrescenti sembra il più probabile.

Perché rendevano bene e con poco rischio? È necessaria una lunga premessa. Il meccanismo è questo: siamo al 1° gennaio, sono un allevatore e le mie bestie mi costano 100 euro. Se le vendo a 120 euro, ho guadagnato. Ma le bestie saranno macellate a settembre. Come faccio a essere sicuro di guadagnare 120 euro? Cerco chi me le comperi oggi, anche se le consegnerò a settembre. Provo a vendere un contratto che consente di ritirare le mie bestie a qualcuno. Il «future» sulle mie bestie a settembre provo a chiuderlo a 120 euro e perciò sono tranquillo. Se però il prezzo delle (ormai non più) mie bestie a settembre è di 120 euro, chi ha comprato il contratto non guadagna. Il prezzo potrebbe essere eguale (e non guadagna), maggiore (e guadagna), minore (e perde). Chi compra vuole giustamente un premio per il rischio. Chiudo allora il contratto con l’acquirente a 115 euro. Io sono comunque sicuro di rientrare dai miei costi e ho anche un guadagno, quindi pago volentieri a qualcuno un premio per prendersi il rischio. Chi compra il future sulle mie bestie può guadagnare 5 euro (120 – 115) se il prezzo a settembre sarà di 120 euro. Se dubbioso, può vendere subito le (ora sue) bestie ai macellai e quindi coprirsi dal rischio con lo stesso meccanismo di prima.

Il ragionamento sui mercati future va complicato, perché, nell’esempio, la merce è deperibile, mentre vi sono anche merci non deperibili, come il petrolio.

Il premio per il rischio fa sì che il prezzo puntuale (spot pari a 115 euro) sia inferiore a quello futuro da contratto (forward pari a 120 euro). Questa è la condizione normale dei mercati (backwardation). Naturalmente, il costo finanziario (il cost of carry) deve essere inferiore alla differenza di 5 euro, altrimenti il contratto non conviene all’acquirente. Infine, se uno compra i contratti e poi li sposta continuamente nel tempo (il rolling over) lucra la differenza fra il prezzo puntuale e futuro pattuito.

Da qui l’asserzione, da cui eravamo partiti, che si guadagna con poco rischio. Il meccanismo del guadagno con poco rischio funziona salvo quando prevale il contango, che è l’opposto della backwardation, ossia quando il prezzo corrente è maggiore di quello espresso nei contratti futuri.

Fino alla metà dello scorso decennio la condizione prevalente era quella della backwardation. Il contango si ha quando si teme che manchi un’offerta adeguata, nell’immediato, della commodity. In questo caso sale il prezzo della commodity, perché la si vuole avere subito, mentre il prezzo nel lontano futuro resta inferiore a quello corrente, perché si suppone che col tempo tornerà a esserci un’offerta sufficiente. Questo è il contango per così dire normale, quello che è prevalso nel passato. Con l’arrivo della Cina le cose si sono complicate, come vedremo.

Ed eccoci alla finanza, che ha reso popolari gli investimenti in commodities. Comprando copiosamente i contratti future, ne ha alzato i prezzi. La finanza non compra, infatti, la materia prima, ma i contratti che poi sposta nel tempo. I prezzi futuri sono andati sopra quelli correnti – così è riapparso il contango. Nel mondo delle merci non deperibili, immediatamente è cominciata la corsa a non offrire subito tutta la quantità richiesta della commodity, perché il prezzo puntuale era inferiore a quello futuro. Le navi piene di petrolio si sono fermate fuori dai porti, aspettando i maggiori prezzi.

Sembra un meccanismo che porta all’ascesa perpetua dei prezzi. L’offerta della materia prima nel breve termine è rigida e dunque il prezzo non cade, mentre i prezzi nei contratti futuri sono costantemente maggiori di quelli correnti. Eppure non è così semplice (2). Vale la relazione: immagazzina se il prezzo spot è inferiore a quello futuro meno il costo del magazzino, vendi se il prezzo spot è maggiore di quello futuro meno il costo del magazzino.

L’offerta di magazzino è, infatti, rigida. Il costo dei magazzini aumenta, man mano che si riempiono. Nel caso ricordato prima, non ci sono abbastanza navi per stipare il petrolio, dunque dopo un po’ aumentano i noli. Diventa talmente costoso continuare a immagazzinare che il petrolio è venduto. La sua vendita ne fa cadere il prezzo anche con violenza.

Questa è la volatilità che si genera per l’interazione fra l’investimento finanziario nelle commodities (che alza i prezzi forward) e l’impatto della crescita cinese sulle stesse (che rende l’adeguamento dell’offerta meno facile). Con una complicazione positiva, che agisce nella direzione di una minore volatilità.

Man mano che l’industria finanziaria fa arrivare del denaro nel mercato delle commodities, di queste aumenta il magazzino (3). I contratti future, infatti, debbono essere coperti dalla disponibilità fisica di merci. Aumenta il magazzino, per cui quando si ha uno shock di domanda come quello della fine del 2009, legato al peggioramento delle condizioni atmosferiche, non si hanno variazioni percentuali all’insù del prezzo del petrolio come in passato, perché il magazzino è parzialmente svuotato e quindi il prezzo «sbalza di meno» (4).

Siamo giunti ai cinesi. Le materie prime (agricole e minerali) non hanno fatto altro che cadere di prezzo (in moneta costante) negli ultimi cento anni – fino al 2002 (5). Ossia, anche la produttività decrescente delle terre, delle miniere e dei pozzi di petrolio è stata più che compensata dal progresso tecnologico. I fertilizzanti e le migliori tecniche di estrazione hanno permesso di produrre di più anche da terreni, miniere e pozzi meno attraenti.

Poi di colpo, dal 2002, ecco che i prezzi delle materie prime, con poche eccezioni, esplodono. Ed esplodono in maniera vorticosa: in alcuni casi, quattro volte la deviazione standard – ossia quattro volte la dispersione che si era avuta in cento anni. Anche in passato si sono avute dispersioni violente – seppure meno violente di quella iniziata nel 2002. Questo è avvenuto in occasione della prima e della seconda guerra mondiale e ai tempi dello shock petrolifero dei primi anni Settanta. Poi – e tutte e tre le volte – i prezzi delle materie prime hanno incominciato a scendere (6).

Accadrà di nuovo, oppure abbiamo di fronte un mutamento di paradigma? L’ingresso dei cinesi nell’economia mondiale è la spiegazione migliore che abbiamo per lo shock. (Sostenere che la speculazione possa aver fatto variare i prezzi all’insù fino a quattro volte la deviazione standard è arduo, vedi le argomentazioni della prima parte.)

I cinesi consumano una parte considerevole delle materie prime di origine minerale (7). La domanda cruciale è: ci sarà uno sviluppo tecnologico – proprio come quello che abbiamo avuto in passato – capace di produrre quanto i cinesi consumano? Ossia, senza che la modesta produzione corrente rispetto alla domanda crescente faccia esplodere i prezzi? Nessuno, ovviamente, lo sa. Se uno pensa che la tecnologia risolverà tutto, può mettersi l’anima in pace e aspettare fiducioso la fine dell’inflazione della maggior parte delle materie prime. Altrimenti, può investire nello scenario delle risorse decrescenti, nonostante la frequenza dei contango alimentati dagli investimenti finanziari.

(1) Robert J. Greer, The Nature of Commodity Index Return

(2) Philip Verleger, The Relationship between Phisical and Financial Markets

(3) Philip Verleger, The Relationship between Phisical and Financial Markets, grafico 1 e tabella 1

(4) Philip Verleger, The Relationship between Phisical and Financial Markets, grafici 3 e 4

(5) GMO, Quarterly Letter, aprile 2011, Exhibit 2

(6) GMO, Quarterly Letter, aprile 2011, Exhibit 3

(7) GMO, Quarterly Letter, aprile 2011, Exhibit 4