All'origine della crisi della Spagna si hanno i cospicui investimenti fatti dalle banche (soprattutto dalle Casse di Risparmio, anche con i crediti erogati dalle banche estere) nel settore immobiliare. Si è costruito troppo, perciò, a fronte di una domanda in contrazione, la grande offerta ha fatto cadere i prezzi degli immobili. Gli immobili invenduti sono circa un milione. Il credito del settore bancario verso quello immobiliare è di seicento miliardi di euro e i crediti inesigibili sono cospiscui.
Le banche spagnole debbono perciò far emergere i crediti inesigibili verso il settore immobiliare. Se lo fanno, ecco che debbono ridurre il patrimonio netto. (I crediti sono nell'attivo, il patrimonio nel passivo, e l'attivo e il passivo debbono essere eguali). Se riducono il patrimonio netto, debbono erogare meno crediti. (I crediti sono erogabili un numero limitato di volte il patrimonio netto – la famigerata leva bancaria). Ciò che metterebbe in crisi profonda l'economia. Segue che le banche – proprio per evitare che l'economia si avviti - debbono varare degli aumenti del proprio capitale di rischio.
Non trovano però dei sottoscrittori privati. O meglio potrebbero anche trovarli, ma a condizioni capestro per i vecchi azionisti e per i dirigenti (questo punto cruciale sarà ripreso dopo).
Deve perciò intervenire lo Stato. Lo stato per sottoscrivere gli aumenti del capitale delle banche deve emettere obbligazioni. Le obbligazioni sono vendute al pubblico e con il controvalore sono sottoscritti gli aumenti del capitale. E qui arrivano le complicazioni. La crisi economica ha ridotto le entrate fiscali. La Spagna, a differenza del passato, ha incominciato ad avere un cospicuo deficit pubblico. Il quale deficit alimenta il debito, perché è finanziato con l'emissione di obbligazioni e non con moneta. In pochi anni il suo debito passerà dal 60% al 90% del PIL. Si ha un debito pubblico che cresce per effetto del deficit e (potenzialmente) per effetto della crisi bancaria.
La sua notevole crescita spinge i mercati a chiedere dei rendimenti maggiori per sottoscriverlo (un'offerta crescente di debito spinge i prezzi all'ingiù. Nel caso delle obbligazioni la cedola è fissa. Perciò se il prezzo dell'obbligazione scende, sale il rendimento – pari alla cedola sul prezzo). I maggiori oneri finanziari peggiorano i conti pubblici. Il che fa aumentare il deficit, e così via in una spirale di crisi.
Tempo fa il Fondo Monetario Internazionale aveva fatto delle stime sull'andamento dell'economia spagnola nel caso in cui le cose avessero preso la piega peggiore. Nel 2012 e 2013 A) il PIL sarebbe caduto cumulativamente del 5,7%; B) la borsa sarebbe caduta cumulativamente del 51,7%; C) il prezzo degli immobili sarebbe caduto cumulativamente del 23,5%; D) il credito si sarebbe contratto cumulativamente del 26,5%.
Il fabbisogno di capitale delle banche spagnole, per bilanciare le perdite sui crediti nel caso di questo scenario dell'orrore, sarebbe stato secondo il Fondo Monetario pari a 37 miliardi di euro. Un numero alla fine modesto data l'entità dell'orrore. L'aiuto dei paesi dell'euro-area alle banche spagnole deciso sabato scorso arriva, infatti, fino a 100 miliardi di euro. Possiamo perciò dire che le banche spagnole (si noti che in difficoltà sono le Casse di Risparmio e non le grandi banche spagnole internazionalizzate) a questo punto sono blindate. Tutto bene allora? Non proprio.
Vi sono due punti aperti. Il primo è che la Spagna ha ricevuto l'aiuto dell'euro-area senza alcuna condizione, ma l'aiuto va registrato come un incremento del debito pubblico (il Tesoro spagnolo riceve i denari dai vari fondi “salva stati” dell'euro-area e quindi incrementa il proprio debito). Il debito pubblico spagnolo – per la spinta del deficit centrale e regionale - punta al 90% del PIL, anche senza la contabilizzazione dell'aiuto dei paesi dell'euro area alle banche. Arriva quindi al 100% contando gli aiuti dei paesi dell'euro area alle banche.
Il secondo è che le banche spagnole molto mal messe sono le Casse di Risparmio, che è il luogo dove si concentrano i poteri locali. I quali saranno sotto il giudizio dei poteri centrali spagnoli, ma di nessun altro. Ergo, la “sovranità nazionale” spagnola non è minimamente scalfita. Altrimenti detto, gli altri paesi europei, timorosi che una crisi maggiore delle banche spagnole si potesse riverberare sulle loro, mettono i soldi, ma non hanno alcune voce in capitolo.
La conclusione è triplice: A) positiva a riguardo dell'entità del salvataggio, che blinda i conti delle banche; B) negativa sul versante dell'accelerazione della crescita del debito pubblico; C) negativa relativamente alla sopravvivenza dei poteri locali, che hanno contribuito alla generazione della crisi attraverso l'alimentazione dell'investimento immobiliare. Altrimenti detto, i paesi dell'euro area evitano una crisi maggiore del proprio sistema bancario, la Spagna aumenta il proprio debito pubblico, salva le banche messe peggio, mentre il regolamento dei conti avviene fra i i suoi diversi poteri aviene senza che i creditori abbiano voce in capitolo. Il salvataggio senza condizioni del sistema bancario spagnolo solleva il problema dell'unificazione dei controlli bancari in Europa.
L'europa dell'euro ha comprato del tempo. Intanto questa settimana si hanno elezioni in Grecia. Il leader – Alexis Tsipras - del partito favorito – Syriza, l'Unione della Sinistra radicale – ha dichiarato che la Grecia resterà nell'euro e che riformerà l'intervento pubblico, mantenendo la spesa sul livello medio europeo, laddove si trova, così come alzerà le entrate, che sono ben sotto.
Uscito il 14 giugno 2012 anche su:
http://temi.repubblica.it/limes/la-spagna-salva-le-banche-non-il-suo-debito/36104
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