Forse gli studi statistici che analizzano la frequenza delle parole utilizzate dagli strumenti di comunicazione di massa potrebbero segnalare una decisa caduta nella frequenza della parola “spread” rispetto a qualche tempo fa. Non lo sappiamo e non abbiamo evidenza. A pelle sembrerebbe essere meno presente, magari sostituita da altri termini che oggi sono maggiormente in voga. Non che il fenomeno sia sparito, tutt’altro (oggi siamo intorno a 250 punti di differenza tra il decennale italiano e quello tedesco, ovvero 4,4% (tasso decennale italiano) - 1,9% (tasso decennale tedesco)= 2,5%(spread)).
Un' interessante analisi di Barclays approfondisce l’impatto dello spread sui tassi degli emittenti finanziari (banche, assicurazioni) cercando di individuare la componente imputabile all’emittente separandola da quella imputabile al paese. In parole povere, se vado a chiedere un prestito in banca (o se, come società, emetto una obbligazione) mi domando quanto del tasso che mi applicheranno dipende dalla mia personale solvibilità/affidabilità e quanto dalla solvibilità/affidabilità del paese in cui risiedo. L’analisi è effettuata alla data del 30 settembre 2011, poco prima della fase acuta della crisi, utilizzando i rendimenti medi con scadenza tra 5 e 10 anni e gli spread esistenti (3,75% Italia, 3,1% Spagna, zero Germania).
Il conto è presto fatto. Il costo di finanziamento del settore finanziario italiano era pari al 8,92%, lo spread sul debito pubblico italiano era pari a 3,75% e il tasso tedesco era 1,56%. Quindi, il premio specifico pagato dal settore finanziario italiano era: 8,92% - 3,75% - 1,56% = 3,62%. Lo sguardo all’indietro racconta che anche nel momento di maggiore crisi le banche/assicurazioni italiane hanno pagato un premio per il rischio specifico più basso (3,62%) non solo della banche/assicurazioni spagnole (8,88% - 3,10% - 1,56% = 4,23%) ma anche, e soprattutto, delle banche tedesche (6,39% - 1,56% = 4,83%).
Il famoso senno di poi non cambia la sostanza delle cose ma può indurre alcune riflessioni. Innanzitutto, i mercati finanziari, persino nei momenti peggiori, sapevano prezzare la rischiosità relativa dei settori finanziari più di quanto gli osservatori riuscissero a raccontare. In secondo luogo, la necessità di “toccare” le fragilità della finanza e della spesa pubblica italiana rispetto alle singole realtà industriali e finanziarie sembra trovare anche una conferma a posteriori, se necessaria.
Inoltre, sempre la compressione dello spread sul debito pubblico diventa elemento particolarmente importante per alimentare il finanziamento bancario. Infatti, un minor costo-paese permetterebbe, partendo da un costo specifico del settore finanziario inferiore, una maggiore capacità di finanziamento di impresa da parte delle banche avendo queste ultime minori oneri sul debito da sostenere. Infine, data la situazione attuale di generalizzato rialzo dei rendimenti, si riduce la rilevanza dello spread ed aumenta l’attenzione al livello assoluto dei tassi. Sarebbe poco consolante avere lo spread a 100 con tassi italiani al 5% e quelli tedeschi al 4%.
© Riproduzione riservata