Nessuno è migliore di stesso nel giudicare che cosa gli procuri piacere o dispiacere: ognuno, insomma, è il miglior giudice di se stesso (“no man can be so good a judge as the man himself, what it is gives him pleasure or displeasure”) - affermava J. Bentham, il teorico dell'utilitarismo. Se accettiamo l'assunto, non possiamo che accettare ogni risultato che scaturisca dalle elezioni e dai referendum.
Si ha una prima critica a questo approccio: quanto gli elettori siano realmente informati. Prendiamo le risposte ai quesiti posti dai sondaggi e confrontiamole con i famosi fatti. Notiamo subito una forte discrepanza. Qui sono riportati i risultati dei sondaggi britannici:
A questo punto ci si interroga sulle fonti da cui si traggono le informazioni così distanti dai fatti. Si ha chi afferma che il sistema mediatico tradizionale (televisione, giornali) gonfia più del necessario gli eventi che possono più attrarre l'attenzione (come l'emigrazione). Si ha chi, invece, fa notare che il sistema mediatico informale (come Facebook, i blog) ha sempre più rilevanza, e che quest'ultimo tende a gonfiare gli eventi che più possono attrarre l'attenzione molto più di quanto faccia il sistema mediatico tradizionale. Questi sono riportati i risultati sull'Italia.
In seguito alla crisi economica è risorta l'idea che i “sapienti” non sappiano fare le previsioni e quindi che, alla fine, non sappiano governare. Da cui segue che, se nemmeno loro sanno, allora anche il popolo che non sa, può governare. Questa è una forma di “anti-intellettualismo”, ossia l'idea che la conoscenza vale poco o nulla. Si può far notare che la conoscenza in economia è probabilistica, proprio come le previsioni del tempo, che oltrettutto hanno il vantaggio non minore dei satelliti e il vantaggio maggiore delle nuvole che – a differenza degli umani – non pensano. L'idea che i sapienti in realtà non sappiano è una spiegazione dell'anti-intelletualismo, il quale anti-intellettualismo cerca però, ma rimanendo sempre deluso, il “sapere dei sapienti”.
Si può proporre qui una critica molto più sottile al “sapere dei sapienti”. Se anche “i sapienti sapessero”, questi ultimi non governerebbero nel migliore dei modi il mondo. Il Filosofo, se si fa Tiranno, avrà, infatti, a che fare con cose molto diverse dal pensiero puro di cui cerca l'applicazione, perché, tanto incominciare, deve premiare i seguaci e poi cercare di sopravvivere (A. Kojève, Il silenzio della Tirannide, Adelphi, pagina 11-69).
Sorge il cosiddetto “populismo”. Con ciò si intende – nel pensiero prevalente - un numero crescente di cittadini, privi di un progetto di governo, che deborda nell'arena politica, chiedendo che si attuino delle politiche non realistiche. Questo è il lato della “domanda”. Si ha poi quello dell'”offerta”. Quest'ultima arriva dai leader populisti che hanno dei seguaci più che delle nuove classi dirigenti che li esprimano. Si ha una sorta di “cesarismo”, grazie al quale il leader in contato “pneumatico” con il popolo sa meglio di chiunque altro come esprimere la sua volontà. Nel pensiero prevalente le masse populiste sono mosse dalla paura e non dalla ragione. Paura di non avere lavoro, del lavoro che è rubato dagli stranieri, e via enumerando. Insomma, si ha una parte non modesta della popolazione mossa dalla paura che vota dei leader che non hanno alle spalle una classe dirigente e che vogliono quasi sempre imporre delle politiche non realistiche - questa è l'idea dei critici del populismo.
Il ragionamento sembra filare, ma manca di un anello. Perché sono chieste delle soluzioni non realistiche? Perché le classi dirigenti britanniche sono contrarie a Brexit, che avrebbe un effetto economico negativo dirompente, mentre molti loro concittadini – il popolo - vogliono uscire dall'Unione Europea? Ed eccoci all'anello mancante. Più la situazione è vissuta come disperata, ossia se penso che vivrò molto peggio, e così i miei figli, più si alza la “propensione al rischio”. Se la probabilità che le cose continuino ad andare peggio la giudico altissima, quasi certa, allora tanto vale rischiare. Un po' come una squadra di calcio che sta perdendo quattro a zero mezz'ora prima della fine della partita, e che si butta all'attacco, rischiando, perché si sbilancia molto, di prendere altri quattro goal.
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