Con bail-out si intende quel meccanismo di protezione dalle crisi sistemiche bancarie che implica l’intervento pubblico a tutela dei depositanti e, più in generale, dell’intero sistema finanziario. Si contrappone al bail-in che prevede l’intervento degli azionisti e degli obbligazionisti delle banche in stato di insolvenza, escludendo il coinvolgimento dei contribuenti.

 

Il bail-in è entrato in vigore dal primo gennaio 2016 in Italia e nei paesi dell’Eurozona con la nuova normativa europea ­ Bank Resolution Recovery Directive (BRRD)  sui salvataggi dei grandi gruppi bancari, pensata con l’obiettivo di evitare che future crisi bancarie possano pesare sui contribuenti dei paesi membri dell’area euro. Una normativa fortemente voluta dalla Germania da sempre contraria ad una unione bancaria che prevedesse la copertura dei depositanti, e delle crisi bancarie, da parte della Banca Centrale Europea.

Con questa normativa si è passati da un meccanismo di risanamento esterno, appunto il bail-out, che prevedeva un intervento diretto da parte dello Stato nel piano di salvataggio delle banche attraverso i soldi di tutti i contribuenti, ad uno strumento interno, il bail-in, che prevede l’intervento degli investitori nel salvataggio delle banche in odore di fallimento. Sono quindi gli azionisti e gli obbligazionisti a rimetterci per ripianare le perdite e, come estremo rimedio, i correntisti per la parte di depositi eccedenti i centomila euro.

Il recente articolo sul Financial Times del ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz sembra riaprire la questione ma in una direzione che di fatto sconfessa quanto affermato con il BRRD. La proposta di trasformare la BCE in prestatore di ultima istanza sembra essere, nella formulazione del politico tedesco, unicamente finalizzata alla condivisone del salvataggio di Deutsche Bank (DB) e delle fragili Landesbank tedesche da parte dei contribuenti della zona euro.

Nella proposta, infatti, sarebbero escluse le banche con livelli di sofferenze superiori al 5% e verrebbe considerato l’investimento in titoli di Stato tenendo conto del diverso rischio-paese come individuato dal rating. Quest’ultimo vincolo sembra particolarmente in contraddizione con l’idea stessa di una unione bancaria. E’ chiaro che questi due passaggi escludono l’intero sistema bancario italiano dalla possibilità di essere considerato parte del progetto di Scholz di unione bancaria.

In sostanza o le banche hanno caratteristiche di bilancio analoghe a quelle della banche tedesche, ritenute per definizione virtuose, o non possono far parte dell’unione. Un atteggiamento contenente una dose particolarmente elevata di sovranismo ‘finanziario’ che non può non sconcertare visto la fonte di questa ipotesi ovvero il candidato segretario del partito socialdemocratico tedesco.

Ma sarà poi vero che le caratteristiche dei bilanci delle banche tedesche siano cosi virtuose da poter pretendere che anche gli altri siano se non uguali almeno simili? La questione sembra avere caratteristiche eccessivamente propagandistiche per non richiedere una minima verifica. Per esempio, gli investitori di tutto il mondo, buoni o cattivi che siano ma spietatamente neutrali nel punire o premiare, condividono l’impostazione di Scholz e dell’opinione pubblica tedesca? Non sembra.

Se effettivamente gli attivi delle banche italiane, e non solo, fossero così disgustosi e quelli di DB & C. viceversa degni della massima considerazione, il rapporto tra il valore di Borsa e Totale Attivo dovrebbe dirlo con chiarezza. Come dire: gli investitori sanno leggere un bilancio di una banca e se devono metterci dei soldi lo fanno anche con un certo scrupolo. Quindi, ad una valutazione elevata della qualità dell’attivo deve corrispondere una valutazione elevata della capitalizzazione di Borsa e viceversa.

La prima tabella illustra il rapporto tra Capitalizzazione di Borsa (CB) e Totale Attivo (TA) delle trenta banche dell’indice DJ Titans Bank ovvero i colossi mondiali del credito. Per facilitá di lettura DB l’abbiamo evidenziata in rosso ma è comunque facile trovarla perché è impietosamente ultima. Non è diverso il risultato della seconda tabella dove sono presenti trenta banche della zona euro. Persino Montepaschi di Siena, che notoriamente detiene una cospicua quantità di titoli di Stato italiani oltre a livelli di sofferenze superiori a quanto proposto da Scholz, riesce a ricevere dagli investitori una valutazione dell’attivo migliore di DB.

Il merito della dichiarazione di Scholz, se possibile, e di aver dato voce alla visone tedesca dell’unione bancaria, e non solo, ma rappresenta purtroppo un passo avanti e tre indietro. Potrebbe essere il segnale di apertura su un argomento cruciale ma ha più il sapore di una minaccia che di una proposta in quanto trasforma la necessita in vizio, facendo rientrare il bail-out dalla finestra solo in funzione della salvaguardia della sovranità tedesca e dando la netta impressione di non volersi prendere la responsabilità del salvataggio di DB nonostante la eclatante solidità delle finanze pubbliche della Germania.

 

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