La Circular Economy è un nuovo paradigma di sviluppo che propone di rigenerare il capitale naturale: ne esaminiamo il contributo in ambito alimentare

 

Fenomeni attuali e impattanti quali lo sfruttamento delle risorse esauribili, l’aumento della crescita demografica e le conseguenze del cambiamento climatico stanno progressivamente rendendo evidente l’insostenibilità del modello di produzione e di consumo tradizionale e incentivano la riflessione verso la definizione di modelli economici alternativi. Tra essi si inserisce la Circular Economy (Economia Circolare), un nuovo paradigma di sviluppo che propone di rigenerare il capitale naturale, re-immettendo nel ciclo della biosfera i materiali di origine biologica e progettando i materiali di origine tecnica in modo tale da massimizzarne il grado di utilizzo (nella Figura 1, uno schema di flusso rappresentativo delle fasi di un sistema industriale circolare - vedi anche immagine originale).

Origine e vantaggi della Circular Economy
Questa impostazione è stata postulata dalla Fondazione Ellen MacArthur, che, per prima a livello mondiale, ha promosso una riflessione sul tema e ha concorso alla creazione di un Network per l’introduzione e l’affinamento di applicazioni concrete basate su cinque pilastri: Input; Recovery, Recycling and Upcycling; Product Life Extension; Sharing Economy; Product As a Service. Rispetto all’attuale modello lineare <take → make usedispose>, l’approccio preferibile si basa invece su una sequenza ricorsiva del tipo <produzione → vendita/noleggio → acquisto/pay for use → utilizzo → ritiro → rigenerazione → vendita/noleggio → [..]> (Figura 2).
Un orientamento del tipo descritto, che risulta applicabile a tutti i segmenti industriali, consente infatti vantaggi attinenti alla stabilità e all’indipendenza dall’aumento dei prezzi delle materie prime, ha ricadute positive sull’indotto e agevola la creazione di filiere trasversali e l’estrazione di valore da asset esistenti. Le ultime stime disponibili mostrano poi gli effetti concreti dell’economia circolare in termini di vantaggio competitivo e di produttività, rispettivamente dell’ordine di 1.800 miliardi di euro e 3% annui, e di incremento dell’occupazione, con 600.000 nuovi posti di lavoro solo in Europa, nonché di riduzione dei gas serra in atmosfera in misura compresa tra il 2 e il 4% (fonte: McKinsey Center for Business, Enviroment and The Ellen MacArthur Foundation, 2015)..


Alla luce di ciò, la Commissione europea è fattivamente impegnata ad agevolare percorsi di crescita economica sostenibile, attraverso normative, come la comunicazione al Parlamento COM, 2014, 398 final e la proposta di una nuova Direttiva di rilevanza ambientale, e finanziamenti (tra cui 650 milioni di euro provenienti da Horizon 2020 e 5,5 miliardi di fondi strutturali). Tra i paesi europei più attivi nel favorire percorsi di Circular Economy si distinguono qui Olanda, Francia e, nel Regno Unito, la Scozia, dove è forte la valorizzazione delle best practices territoriali che aumentano l’offerta e la domanda di articoli riciclati di alta qualità e la raccolta innovativa. In Italia, lo strumento di ingaggio con le imprese che appare ad oggi più significativo è il Circular Economy Standard, che si avvale di questionari per valutare il grado di circolarità delle aziende e diffonderne i principi, in modo differenziato per i segmenti della produzione, dei servizi e della distribuzione (Deandreis et al., 2018).

Economia circolare per l’economia sociale
La Circular Economy inoltre può apportare dei contributi significativi anche in ambito strettamente sociale, rendendo accessibili beni alimentari, altrimenti destinati al macero, a soggetti deboli esclusi dal mercato. In Italia, infatti, a fronte di una cospicua numerosità di soggetti in condizioni di povertà assoluta, che traggono sostentamento nutrizionale unicamente dall’accesso a mense caritatevoli o a circuiti di pacchi alimentari e di una domanda alimentare che resta quindi di fatto insoddisfatta (Figura 3), ogni anno tonnellate di alimenti ancora idonee al consumo umano vengono inviate al macero, a causa di inefficienze presenti lungo tutta la filiera e attinenti a limiti e difetti tecnici, gestionali, organizzativi, cognitivi e a motivi climatici (Figura 4 e Figura 5). Le evidenze ritratte ad oggi, da una “ricerc-azione” condotta a Napoli (Musella e Verneau, 2017), mostrano invece che, in effetti, è possibile favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di cibo in eccesso, soprattutto grazie all’influsso della Sharing Economy e all’aumento delle realtà attive nel Terzo settore, in una logica di rete.

Case study di Circular Economy
Sempre in ambito alimentare, un recente studio di casi del Food System (Fassio e Tecco, 2018) consente di comprendere come è possibile agire concretamente per una transizione ad un modello auspicabile, visti i vantaggi descritti. Tra le best practices internazionali più significative, che forniscono elementi sulle possibili traiettorie replicabili per uno sviluppo futuro della Circular Economy si colloca, ad esempio, il distretto di Riihimaki in Finlandia, dove, dai rifiuti della città, si ottengono nuovi materiali in misura pari al 96-98% dei casi, grazie ad una preventiva fase di rimozione delle sostanze nocive presenti negli scarti (Figura 6 e Figura 7). In Italia, invece, secondo la rassegna delle iniziative citata, le pratiche circolari sono sostanzialmente poste in atto da imprese di grandi dimensioni (come Autogrill, che, progettando aree-sosta sostenibili, permette un risparmio energetico di 166 MWh annui e una riduzione di CO2 del 52%, oppure Costa Crociere, che, con l’iniziativa Message in a can, in 10 anni ha avviato correttamente al riciclo 393 tonnellate di alluminio o ancora Lavazza, che, in collaborazione con il Politecnico di Torino, ha avviato un progetto di recupero dei fondi di caffè per la coltivazione di funghi commestibili). Non mancano, tuttavia, anche progetti locali, che utilizzano le specificità territoriali in ottica circolare, come Frumat, un’azienda di Bolzano che recupera gli scarti di mela delle zone circostanti per trasformarli in carta e pelle vegetale (Cartamela e Appleskin), e Orange Fiber, una start-up di Catania che sviluppa filati e tessuti sostenibili estraendo la cellulosa dal sottoprodotto agrumicolo.

Alcune considerazioni sul tema e sulle iniziative in atto
Organizzare le attività in logica di Circular Economy significa far sì che, sia in fase di estrazione che di produzione delle risorse, i rifiuti di un segmento economico diventino risorse per altri settori. Si tratta di una sfida che coinvolge le istituzioni e le imprese, nonché tutti i consumatori, i quali, tramite le scelte di acquisto, possono spingere le aziende ad intraprendere buone pratiche di valorizzazione degli scarti. In questa direzione di maggiore consapevolezza e azione personale, la ricerca condotta da Fassio e Tecco è un utile strumento, che rende note le realtà produttive impegnate in percorsi di rigenerazione e i progetti più innovativi e promettenti in questo campo (Figura 8). Conoscere e far conoscere le opzioni alternative è un primo passo importante per realizzare effettivi livelli superiori nel consumo critico e nella Extended Producer Responsibility (EPR).