Dopo anni segnati da eventi spesso drammatici, la Serbia odierna si proietta con ottimismo verso l'Unione Europea

Definire la recente storia serba come complicata potrebbe sembrare un eufemismo. La Serbia, vero fulcro geostrategico e geopolitico di tutta l'area dei Balcani, negli ultimi 20-25 anni è stato attraversata da una serie di eventi che ne hanno segnato l'identità. Dalla morte di Tito all'ascesa di Milosevic, dalla frammentazione balcanica all'omicidio di Zoran Djindjic: ognuno di questi avvenimenti non è stato certamente avvertito in maniera indolore dalla popolazione locale. Tuttavia, la Serbia odierna si proietta verso gli anni a venire con un certo ottimismo (Figura 1), all'interno dell'Unione Europea: nel mese di gennaio 2014 sono state avviate le trattative sull'adesione all'interno dell'Unione e, complessivamente, tutto il sistema Paese ha fatto enormi passi in avanti (Figura 2). L'implementazione di una serie di riforme ha reso la Serbia un'interessante piattaforma in cui investire (Figura 3), esportare e costituire presidi produttivi; Belgrado oggi si configura tra le capitali europee più dinamiche, vitali ed interessanti dell'intero scenario europeo e la popolazione locale, soprattutto quella più giovane, mostra una grande apertura e volontà di confronto con i vicini occidentali.

Analizziamo dunque quello che è accaduto nel Paese balcanico dagli anni 90 in poi. Il crollo del muro di Berlino, il successivo smembramento della ex-Jugoslavia, di cui la Serbia costituiva l'asse portante (Figura 4), l'ascesa di Slobodan Milosevic e i due lunghi e sanguinosi conflitti con la Bosnia-Erzegovina (1992-95) e con la regione secessionista del Kosovo (1998-99) hanno rappresentato i veri bivi della storia del Paese, con una conseguente caduta della propria immagine a livello globale ed un isolamento politico ed economico (eccezion fatta per il suo storico partner, la Russia) che Belgrado ha pagato duramente. La comunità internazionale ha spesso bollato la Serbia con la fastidiosa etichetta di Paese guerrafondaio, litigioso ed instabile. Successivamente, ha dovuto anche accettare l'indipendenza del Montenegro (avvenuta tuttavia in maniera pacifica), che le è costata l'accesso al mare, e quella del Kosovo, ben più pesante da un punto di vista storico-culturale e mai completamente digerita, basti pensare a quanto successo nel corso dell'ultima partita delle qualificazioni agli Europei di calcio disputatasi a Belgrado, tra Serbia ed Albania

Neanche la fase di transizione post-Milosevic si può definire tranquilla. Nonostante l'esito della guerra del Kosovo, l'ex Presidente non ha mai mostrato l'intenzione di farsi da parte e si è dovuto aspettare fino alla fine del 2000 perché si tirasse fuori dalla vita politica: solo le crescenti proteste della popolazione locale e il periodo di tensioni che ne è conseguito, caratterizzato dalla Bager Revolucija (Rivoluzione dei Bulldozer) hanno consentito alla Serbia di cambiare definitivamente pagina. Con l'ascesa dell'ex Presidente Vojislav Kostunica (nazionalista) e dell'ex Primo Ministro Zoran Djindjic (riformista e filo-occidentale) si è assistito ad un iniziale periodo di riforme economiche, messo successivamente in stand-by a causa delle differenti vedute e dell'eccessiva litigiosità tra i due leader. Il momento di massima gravità si è raggiunto nel 2003 con l'omicidio da parte della criminalità organizzata di Djindjic, il quale avrebbe pagato il suo collaborazionismo nella consegna di Slobodan Milosevic al Tribunale Penale Internazionale.

La svolta è avvenuta in particolar modo l'anno successivo: con la vittoria alle elezioni presidenziali di Boris Tadic, candidato del Partito Democratico, si è avuto un processo di accelerazione verso le necessarie riforme economiche ed un atteggiamento sempre più conciliante nei confronti della stessa Europa e della Giustizia internazionale, per quanto riguarda gli atroci crimini di guerra commessi negli anni 90. Di fatto, in questo periodo si sono gettate le basi per l'avvicinamento di Belgrado verso Bruxelles, che ha portato, come vedremo successivamente, all'ottenimento nel marzo 2012 dello status di paese candidato all'ingresso nell'UE.
Nel 2006, come accennato prima, la nazione balcanica ha dovuto accettare la separazione pacifica del Montenegro, attraverso un referendum; nello stesso anno si è avuta l'approvazione della nuova Costituzione, che ha sancito la totale indipendenza della Serbia dall'unione politica con il Montenegro e ha fatto del Paese una Repubblica Parlamentare semipresidenziale, in cui il Presidente resta eletto a suffragio popolare diretto. Due anni dopo, la Serbia ha dovuto incassare anche la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del parlamento kosovaro, riconosciuta da Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito ed Italia ma non da Belgrado, ovviamente, e dal suo storico partner, la Russia: la questione kosovara, seppur lontana da una completa risoluzione, rappresenta, ad ogni modo, l'ultimo atto delle guerre balcaniche e delle frammentazione dell'ex Jugoslavia.

Nonostante le tensioni mai sopite, la Serbia è tuttavia riuscita a raggiungere nel corso degli anni importanti successi diplomatici: in primo luogo, la scelta di collaborare con il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia, avente sede a l'Aja, che ha portato agli arresti nel 2011 dell'ex colonnello serbo Ratko Mladic e dell'ex Presidente della Repubblica serba di Krajina Goran Hadzic, ha notevolmente rafforzato la posizione e l'immagine della Serbia a livello internazionale, dimostrando la ferma volontà del Paese di superare le ferite del passato; in secondo luogo, la volontà di normalizzare e stabilizzare i rapporti con il Kosovo ha portato ad un accordo con Pristina che ha rappresentato un punto di strategica importanza per Belgrado. Infatti, nel mese di aprile del 2013, dopo diversi mesi di negoziati, l'ex Premier Ivica Dacic (attuale vice Primo Ministro e Ministro degli Esteri) e l'ex Premier kosovaro Hashim Thaci, hanno firmato un accordo di intesa di 15 punti, sotto la supervisione dell'ex Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea, Catherine Ashton, in relazione allo status e all'autonomia politica, culturale e giudiziaria del Kosovo settentrionale e alle condizioni dell'adesione di Pristina alle organizzazioni internazionali (sostanzialmente, l'accordo obbliga le parti a non ostacolarsi nei rispettivi processi di integrazione europea). Anche se, come visto in precedenza, la Serbia non riconosce l'indipendenza di Pristina, si è trattato di un passaggio fondamentale che ha consentito di fatto l'apertura dei negoziati di adesione all'UE.
Da un punto di vista di politica interna, le elezioni presidenziali del 2012 hanno decretato la vittoria di misura di Tomislav Nikolic, attuale Presidente e membro del Partito progressista, su Boris Tadic, uno dei principali artefici del new deal serbo. Il partito di Nikolic, di ispirazione nazionalista, si è spostato nel corso degli anni su posizioni più moderate, fino ad allearsi con il Partito socialista. Oggi, il Primo Ministro serbo è Aleksandar Vucic (membro del Partito progressista) che ha preso il posto di Ivica Dacic, esponente del Partito socialista, a seguito delle elezioni legislative anticipate del 16 marzo 2014 (Figura 5). L'azione di Vucic è tesa all'ingresso della Serbia nell'UE, verso una maggiore integrazione nel mondo globalizzato e l'attuazione di riforme economiche e sociali, volte allo sradicamento della corruzione e della criminalità ed alla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo (Figura 6).
La Serbia attuale è dunque proiettata verso Bruxelles e vede nell'ingresso nell'UE un passaggio fondamentale per la sua storia, nonostante gli storici ed indissolubili legami storico-culturali con Mosca e nonostante l'Unione non goda oggi proprio di ottima salute. A testimonianza di ciò, basti pensare a quanto affermato dal Premier Vucic, il quale ha dichiarato che il 21 gennaio 2014, data in cui sono ufficialmente iniziate le trattative per l'ingresso nello spazio comunitario, rappresenta il giorno più importante per la Serbia dalla seconda guerra mondiale in poi.

La Serbia é avviata ora verso l'ultima fase del suo cammino di integrazione europea (Figura 7) e, a tal proposito, deve affrontare ora la fase più complessa, introducendo sostanziali riforme per portare la propria legislazione in linea con gli standard europei. Tuttavia, Belgrado mira a riconquistare un ruolo di leader regionale, non nasconde la propria ambizione e punta a concludere i negoziati entro il 2018, per poter poi effettuare il proprio ingresso entro il 2020. Una visione forse più realistica porterebbe a pensare ad un ingresso nel 2022, se si considera che la vicina Croazia ha impiegato otto anni per completare il suo processo di adesione e che la questione del Kosovo rappresenta uno scoglio non facile da superare.

Al momento tutto lascia presupporre che i primi capitoli negoziali siano aperti entro la fine del 2015 e la comunità internazionale ha apprezzato e continua ad apprezzare le riforme, gli sforzi e i progressi compiuti. Negli ultimi mesi e nelle ultime settimane, si sono susseguiti diversi incontri tra i leader internazionali e quelli serbi. Sia il Presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz, sia David McAllister, relatore del Parlamento europeo per la Serbia, entrambi in visita a Belgrado, hanno ribadito l'importanza dell'apertura entro l'anno dei capitoli negoziali; anche il Presidente della Repubblica, Mattarella, ospite nella capitale serba a maggio, ha teso la mano nei confronti del Governo locale, ribadendo i rapporti di stima ed amicizia del nostro Paese.

Belgrado pare dunque esser pronta per l'apertura delle trattative e l'approccio che intende utilizzare Bruxelles in questo caso risulta diverso rispetto ad alcuni casi precedenti: ovvero, si intende dare spazio prima alle questioni più controverse e successivamente a quelle meno problematiche. Qualora i negoziati si aprissero entro la fine dell'anno, il primo capitolo che sarà aperto sarà il 35, quello relativo alla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo (richiesta fatta in particolar modo dalla Germania). Poi si procederà probabilmente con l'apertura di altri capitoli di fondamentale importanza, quali il 23 (Sistema giudiziario e diritti fondamentali), il 24 (Giustizia, libertà e sicurezza) e il 32 (trasparenza economica e finanziaria). Vi sono inoltre una serie di questioni per quanto riguarda la lotta alla corruzione e al crimine organizzato (sui quali il Governo si sta impegnando ma su cui deve fare ancora passi in avanti), ambiente, agricoltura, protezione dei diritti umani, libertà d'espressione delle minoranze e libertà di informazione che dovranno necessariamente essere affrontate.

L'Europa, d'altro canto, spinge per accelerare il processo di adesione, per una serie di motivi:

• la Serbia è il più grande Paese dei Balcani e la sua importanza geopolitica in chiave di sicurezza e stabilità regionale si rivela quanto mai fondamentale;
• il Paese balcanico potrebbe rappresentare il ponte ideale per la distensione dei rapporti tra Mosca e Bruxelles;
• la sua favorevole posizione geografica fa sì che si configuri come area di integrazione per i mercati da un punto di vista economico e per lo sviluppo infrastrutturale. La Serbia, infatti, guarda con estremo interesse sia alla regione danubiana sia a quella mediterranea.
Da segnalare però come vi siano dei motivi che potrebbero rallentare il percorso di avvicinamento verso l'UE. L'amicizia con Mosca non è vista di buon grado da molti Paesi europei (la Germania soprattutto): la Serbia è infatti l'unico paese europeo ad avere siglato un accordo di libero scambio con la Russia, la quale ha effettuato nel corso di questi anni ingenti investimenti nei Balcani, in particolar modo nel comparto energetico. A tal proposito, il Governo serbo pur affermando con estrema chiarezza come il proprio futuro sia in Europa, non intende rinunciare all'amicizia storica con Mosca e dovrà adoperarsi al massimo, da un punto di vista diplomatico, per non rompere gli equilibri raggiunti fino ad ora.
Ci sono stati importanti passi in avanti sulla questione del Kosovo, e lo scorso 25 agosto le delegazioni di Belgrado e Pristina, sotto la mediazione europea di Federica Mogherini, sono riuscite a trovare uno storico accordo su vari temi, tra cui quelli riguardanti la presenza delle comunità serbe in Kosovo, le telecomunicazioni e la complessa questione di Mitrovica (Figura 6); tuttavia, vi è ancora molto da fare, se si considera che la Serbia non intende almeno per il momento riconoscere l'indipendenza del Kosovo e che l'opinione pubblica serba spesso dimostra di non gradire le concessioni verso Pristina (l'ex Premier Dacic pare abbia pagato dazio durante le ultime elezioni, proprio in relazione a questo tema).
Infine, un altro potenziale intralcio potrebbe essere rappresentato dal rivale di sempre, la vicina Croazia, anche se nel 2011 Zagabria ha approvato una dichiarazione in cui afferma che non saranno ostacolati i processi di dialogo dei Paesi limitrofi con l'UE.
A prescindere da queste ultime considerazioni, tutto lascia presupporre che il futuro di Belgrado sia all'interno dell'UE. I vantaggi derivanti sono notevoli per entrambe la parti: sia per l'Unione Europea, per le ragioni che abbiamo già menzionato, sia per la Serbia che, sottoponendosi ad un ulteriore processo di trasformazione e modernizzazione della propria società e della propria economia (la Polonia, da questo punto di vista, rappresenta il più fulgido esempio), vedrebbe incrementare enormemente gli interscambi commerciali con i partner europei, migliorerebbe l'afflusso di capitali stranieri e riceverebbe ingenti finanziamenti da Bruxelles.