Non esistono accordi internazionali che vietino la combustione dei gas associato,  malgrado le conseguenti emissioni di più di 300 milioni di tonnellate di CO2 annue nell'atmosfera.

Miliardi di metri cubi di gas naturale sono letteralmente bruciati ogni anno nei siti di produzione di petrolio in tutto il mondo. Quanti dei non addetti ai lavori lo sanno? Si tratta del cosiddetto gas associato, un gas naturale che nel sottosuolo è disciolto nel petrolio o costituisce lo strato di copertura del giacimento petrolifero: al momento dell'estrazione del greggio anche il gas associato fuoriesce e se in alcuni Paesi le imprese petrolifere riescono a catturarlo e riutilizzarlo, in altri - meno dotati di infrastrutture per il trasporto del gas o di leggi in materia - viene bruciato. La combustione di gas associato nel mondo, secondo la Banca Mondiale, raggiunge i 140 miliardi di metri cubi all'anno, con conseguente emissione di più di 300 milioni di tonnellate di CO2 nell'atmosfera.

Secondo la rivista Nature, nel 2012 la combustione di gas associato ha portato alla perdita del 3,5% di gas naturale mondiale. I dati presentati dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense, che attraverso l'uso di satelliti è riuscita a stimare la quantità di gas associato bruciato nei diversi Paesi, dicono che nel 2014 esistevano nel mondo 17.314 singoli siti che praticano la combustione, con un aumento annuo che oscilla tra gli 11.800 e i 13.600. I dati di dettaglio disponibili risalgono al 2012 e mostrano che gli Stati Uniti detengono il record del numero di siti produttivi dove il gas viene bruciato – 2.399 siti (Figura 1) -, mentre la Russia (qui i dati sono del 2014) è il primo Paese al mondo per volume totale di gas bruciato: quasi 20 miliardi di metri cubi. (Figura 2)

Attualmente non esistono accordi internazionali che vietino la combustione dei gas associato, anche se le emissioni causate da tale combustione sono registrate nell'ambito della Convenzione quadro dell'ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
La Banca Mondiale ha attivato la Global Gas Flaring Reduction Partnership (GGFR), un'iniziativa che coinvolge Stati, imprese petrolifere e istituzioni internazionali di tutto il mondo e che si impegna a rimuovere le barriere tecniche e normative alla riduzione della combustione di gas associato. Nel 2015 la GGFR ha proposto l'iniziativa “Zero Routine Flaring by 2030”, che vincola i suoi contraenti - attualmente sono 22 Paesi, 25 imprese petrolifere e 13 istituzioni internazionali in tutto il mondo – a non bruciare il gas associato nei nuovi giacimenti e a eliminare la combustione in quelli già esistenti al massimo entro il 2030.
L’impresa italiana ENI nel 2015 ha ricevuto l'Excellence Award 2015 della GGFR, di cui è partner, per il suo progetto di riduzione della combustione di gas associato nel giacimento onshore di M’Boundi in Congo. Il progetto, terminato nel 2014, ha richiesto un investimento di 300 milioni di dollari e ha portato nel 2014 all’installazione di un treno per la compressione del gas che trasporta gran parte del gas all’impianto della CEC (Centrale Electrique du Congo) e per la costruzione di un meccanismo di re-iniezione del gas restante nel giacimento stesso, giungendo alla riutilizzazione del 100% del gas precedentemente bruciato.

Analoghi investimenti dell’ENI sono attivi in Nigeria, dove anche la Shell, un altro partner dalla GGFR, ha iniziato programmi di riduzione della combustione di gas: i dati della Nigerian National Petroleum Corporation mostrano come la percentuale di gas bruciato nei giacimenti operati da Shell nel Paese sia passata dal 22,22% nel 2016 al 5% nel 2015. Un trend che riguarda l’intero settore in Nigeria, che ha visto la combustione scendere dal 35,42% nel 2006 a poco più di 11% nel 2015 (Figura 3).
Negli Stati Uniti la North Dakota Industrial Commission ha sviluppato da settembre 2015 un progetto di riduzione graduale della combustione di gas associato, dotando il pozzo di estrazione di un meccanismo per il reinserimento nel giacimento di almeno il 75% del gas naturale associato prodotto dal lavoro estrattivo. Il programma di riduzione della North Dakota Industrial Commission prevede una riduzione della percentuale massima di combustione dal 23% del 2015 al 15% per il periodo da novembre 2016 a ottobre 2018, e via via scendendo fino al 9% a partire da novembre 2020. Secondo i dati EIA, nel 2015 il 18% del gas prodotto è stato bruciato (Figura 4).
Un progetto interessante, premiato recentemente dal World Bank Group, è quello dalla Basrah Gas Company, una joint venture di Shell, South Gas Company e Mitsubishi, che in Iraq cattura il gas associato dai tre giacimenti meridionali di Rumaila, West Qurna 1 e Zubair – che assieme producono più della metà del petrolio dell’Iraq (Figura 5) -, per il riutilizzo sul mercato domestico, raggiungendo recentemente una produzione record di 14,5 milioni di metri cubi di gas al giorno: una quantità che, se fosse usata totalmente per la generazione di corrente, darebbe energia a 3,5 milioni di case.