Quale eredità lascia il primo Presidente afro-americano della storia statunitense e quali sono stati i punti salienti della sua amministrazione?

L'inaspettata affermazione di Donald Trump nelle recenti elezioni presidenziali ha spiazzato tutti: i Repubblicani hanno anche mantenuto il controllo di entrambe le Camere del Congresso e niente sembra ora poter impedire al nuovo Presidente di modificare o cancellare tutta quella serie di leggi e provvedimenti che, insieme alla partecipazione americana ad alcuni accordi internazionali, costituiscono il grosso dell'eredità politica di Obama.
Avvocato e attivista impegnato nella difesa dei diritti civili, Obama era stato eletto senatore dell'Illinois a sorpresa nel 2004. Dopo aver superato Hillary Clinton nelle primarie del partito democratico, aveva poi vinto le elezioni presidenziali del 2008 (Figura 1) sconfiggendo il candidato repubblicano John McCain.

Ma che eredità lascia il primo Presidente afro-americano della storia statunitense e quali sono stati i punti salienti della sua amministrazione?
Una presidenza divisa a metà
Il 2 novembre 2010 è la data che più di ogni altra ha segnato le sorti dell'amministrazione Obama: prima di quella data i Democratici avevano il controllo di entrambe le Camere del Congresso, circostanza che aveva permesso ad Obama di promuovere un'intensa attività legislativa e di presentare una storica riforma del sistema sanitario; inoltre, per far fronte alla crisi, era stato varato un pacchetto di misure del valore di oltre 800 miliardi di dollari, volto a stimolare la ripresa economica e con l'approvazione della legge Dodd-Frank era stato realizzato un significativo intervento in materia di regolamentazione del settore finanziario. Il presidente, tra le altre misure, era anche riuscito a promuovere due donne alla Corte Suprema, Elena Kagan e Sonia Sotomayor, quest'ultima la prima persona di origine ispanica ad essere elevata a quella carica.
Ma nelle elezioni di metà mandato del novembre 2010 i Repubblicani riconquistarono il controllo della Camera dei Rappresentanti, posizione che hanno poi mantenuto per i restanti sei anni dell'amministrazione Obama, mostrando la massima determinazione nell'ostacolare ogni iniziativa dell'amministrazione democratica. Anche in occasione delle elezioni presidenziali del novembre 2012 (Figura 2), quando Obama riuscì a garantirsi un secondo mandato sconfiggendo Mitt Romney, i Democratici non riuscirono a riconquistare il controllo del Congresso e nelle elezioni di metà mandato del 2014 i Repubblicani conquistarono invece anche il controllo del Senato.


Non è quindi certamente un caso che i provvedimenti più significativi dell'amministrazione Obama siano stati concentrati nei primi due anni della sua presidenza: da ciò ne consegue come l’azione complessiva di Obama sia stata oggetto di forti limitazioni.
Nel suo secondo mandato Obama si è dedicato all'implementazione dei programmi già precedentemente approvati dalla sua amministrazione. Un segno importante è riuscito comunque a lasciarlo anche nel suo secondo quadriennio, con la firma dell'accordo di Parigi sul cambiamento climatico: raggiunto nel novembre del 2015, è volto a porre dei limiti alle emissioni di gas serra e l'adesione degli Stati Uniti (uno tra i Paesi maggiormente responsabili per le loro emissioni) è risultata decisiva per il suo raggiungimento.

Obamacare
La storica riforma del sistema sanitario è senza dubbio il provvedimento più rappresentativo dell'amministrazione Obama, sia per le sue implicazioni sulla vita di milioni di americani sia per le durissime contestazioni di cui è stato oggetto.
Il Patient Protection and Affordable Care Act è ormai universalmente noto come Obamacare. Il provvedimento, firmato nel marzo del 2010, stabilisce il principio del diritto-dovere alla copertura assicurativa affiancando ad incentivi fiscali - volti a favorire l'acquisto di una polizza - sanzioni per chi non acquista almeno una polizza comprensiva di prestazioni minime. Impedisce inoltre alle compagnie di assicurazione di rifiutarsi di assicurare qualcuno in base ai suoi precedenti clinici o alle sue condizioni di salute ed introduce la possibilità per i giovani con meno di ventisei anni di usufruire della copertura assicurativa dei genitori.
La riforma è stata fieramente osteggiata dai repubblicani che hanno segnalato il rischio d'incremento della spesa, criticando inoltre l'eccessivo intervento del Governo nel sistema sanitario. Si è trattato di un provvedimento piuttosto impopolare: la maggioranza degli americani infatti era già coperta da polizze legate al contratto di lavoro e negli ultimi anni si sono registrati aumenti significativi nei costi delle polizze per i contribuenti al di sopra della soglia di reddito stabilita per l'accesso ai sussidi. Il sistema penalizza anche chi, pur avendo disponibilità economica, sceglieva precedentemente di non assicurarsi o sceglieva polizze molto economiche con coperture ridotte. La riforma è stata oggetto di critiche anche da osservatori di sinistra per la mancata introduzione di una “public option, un'assicurazione pubblica, che avrebbe dovuto competere con quelle private.

Economia
Obama si è insediato alla Casa Bianca pochi mesi dopo il fallimento della Lehman Brothers, nel bel mezzo della Grande Recessione. Ha affrontato la crisi con provvedimenti di ispirazione keynesiana, in particolare con il Recovery Act, un pacchetto da oltre 800 miliardi di dollari contenente misure volte a stimolare la ripresa economica (attraverso investimenti in infrastrutture, istruzione, sanità ed energie rinnovabili), che ha contribuito a potenziare gli ammortizzatori sociali e ha stimolato la creazione di posti di lavoro: gli effetti di questi interventi sono stati considerati sostanzialmente positivi, ma i critici hanno sottolineato come i risultati siano stati ottenuti a fronte di costi ingenti.
Per la gestione delle crisi Obama ha potuto utilizzare il Troubled Asset Relief Program (TARP), uno degli ultimi provvedimenti approvati dall'amministrazione Bush, che ha consentito al governo federale di acquisire attività finanziarie da imprese ed istituzioni finanziarie: si tratta di uno strumento che ha permesso il salvataggio di grandi imprese come General Motors e Chrysler e la salvaguardia di milioni di posti di lavoro.
Per quanto riguarda la regolamentazione del sistema finanziario non è stata introdotta la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, da molti invocata come un antidoto per scongiurare i rischi di una nuova crisi: la regolamentazione è stata affidata alla legge Dodd-Frank Act, che impone maggiore trasparenza agli intermediari finanziari e un più attento monitoraggio del sistema con particolare attenzione dedicata ai derivati.
In relazione agli accordi economici internazionali, nell'aprile del 2016 Obama ha firmato il TPP (Trans-Pacific Partnership), trattato commerciale fra 12 nazioni affacciate sull’Oceano Pacifico, volto soprattutto ad arginare lo strapotere cinese nell'area: l'accordo però non è stato ancora ratificato dal Congresso e il presidente eletto Trump ha già annunciato di volersi opporre. Sorte forse analoga per il TTIP, un analogo trattato transatlantico che ha suscitato molta opposizione in Europa.
Obama lascia comunque una situazione da un punto di vista economico migliore rispetto a otto anni fa, soprattutto in termini di crescita del PIL (Figura 3 e Figura 4), disoccupazione e aumento del salario minimo (Figura 5). L'economia statunitense è uscita, in tempi piuttosto rapidi, dalla peggiore recessione dai tempi della Grande Depressione, ben prima di quanto non sia accaduto in Europa. Importante evidenziare come la ripresa sia stata certamente favorita dall'atteggiamento conciliante della Federal Reserve, la Banca Centrale americana, che ha inondato i mercati con enormi quantità di moneta.

Politica estera
“No boots on the ground” (no ad interventi di truppe): questo è uno dei principi a cui si è ispirato Obama in politica estera. Al momento del suo insediamento nel 2009, l'opinione pubblica americana era ancora scossa dalle disgraziate avventure belliche di George Bush in Medio Oriente e sembrava desiderare un minore coinvolgimento negli scenari internazionali. Obama, che nel dicembre di quello stesso anno era stato insignito del Premio Nobel per la pace, era certamente su quella stessa lunghezza d'onda: appena è stato possibile ha quindi provveduto a ridurre i contingenti americani dapprima in Iraq e poi a partire dal 2014 anche in Afghanistan; in Libia si è mostrato riluttante ad intervenire contro il regime di Gheddafi ma, cedendo alle pressione dell'allora segretario di Stato Hillary Clinton, ha acconsentito alla partecipazione americana ai bombardamenti della coalizione NATO.
Sul fronte della lotta al terrorismo l'uccisione di Osama Bin Laden nel 2011 è stata senz'altro un successo dal punto di vista mediatico.
Ma l'ascesa dell'ISIS, rafforzatosi fino al punto di controllare una fascia di territorio tra Siria e Iraq e di autoproclamarsi Califfato, resta un nodo difficile da sciogliere. Ed è proprio nella gestione della situazione in Siria (Figura 6) che l'approccio Obama ha mostrato tutti i suoi limiti: la strategia è rimasta immutata nel tempo, ovvero invitare il presidente siriano Bashar al-Assad a farsi da parte spontaneamente. Gli Stati Uniti hanno persino permesso che i loro alleati nella regione, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, finanziassero gruppi dell'opposizione siriana (principalmente formazioni jihadiste sunnite), nella speranza che questo potesse mettere pressione su Assad, ma alla prova dei fatti il sostegno dell'Iran, dei combattenti di Hezbollah e l'appoggio diplomatico di Putin hanno rafforzato il regime di Assad. Nel 2012, Obama aveva parlato dell'utilizzo di armi chimiche come della “linea rossa” da non superare, pena un intervento militare diretto degli Stati Uniti, ma quando nell'agosto del 2013 giunsero notizie dell'utilizzo di tali armi da parte del regime di Assad, Obama si limitò a rimandare la questione al Congresso e, in difficoltà, dovette accettare la mediazione proposta della Russia: quest’ultima prima riuscì a farsi consegnare l'arsenale chimico in possesso del regime siriano e poi nel settembre 2015 intervenne direttamente a sostegno di Assad.
Maggiore successo hanno avuto i tentativi dell'amministrazione di cercare un disgelo nelle relazioni diplomatiche con Cuba: dopo anni di trattative, facilitate forse anche dalla mediazione di papa Francesco, il processo di riavvicinamento è culminato con la visita di Obama a L'Avana nel marzo del 2016.
Particolarmente significativo è stato il raggiungimento dell'accordo sul nucleare con l'Iran nel luglio del 2015: in cambio di riduzioni del programma nucleare iraniano sono state cancellate le sanzioni economiche che strangolavano l'economia iraniana. Un accordo che sottolinea il raffreddamento della relazioni con Israele e Arabia Saudita, gli storici alleati americani nella regione.

Diritti civili
Durante la presidenza Obama è avvenuta la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso decretata dalla sentenza della Corte Suprema nel giugno del 2015: la decisione è stata certamente facilitata dalla presenza nella corte di giudici di orientamento progressista che erano stati precedentemente nominati dal Presidente.
Il mancato perdono di Edward Snowden invece, il whistleblower (‘gola profonda’) che ha denunciato i criminosi abusi dell'apparato di sorveglianza della NSA, ha messo in luce l'ambiguità dell'amministrazione Obama che non solo non ha smantellato ma ha fatto largo uso dell'apparato di sorveglianza ereditato dall'amministrazione Bush (Figura 7) e non sono pochi coloro che hanno sottolineato l'uso spregiudicato dei droni in Pakistan, per quelle che avrebbero dovuto essere azioni mirate, ma che nei fatti hanno causato la morte di centinaia di innocenti.
Malgrado vari tentativi, Obama, a causa della ferma opposizione del Senato a maggioranza repubblicana, non è riuscito a mantenere la promessa di chiudere il campo di prigionia di Guantanamo; per la stessa ragione non è stato possibile introdurre limiti più stringenti per il controllo della diffusione delle armi nonostante i reiterati appelli del Presidente a seguito di vari episodi di cronaca.

Il bilancio: risultati positivi a fronte di una rivoluzione incompiuta
Ad eccezione dei primi due anni di presidenza, Obama ha sempre dovuto vedersela con l'ostilità di un Congresso a guida repubblicana. La sua popolarità è tuttavia rimasta quasi intatta durante gli anni della sua presidenza, mentre il sostegno popolare al Partito Democratico è andato calando di anno in anno.
Obama con grande pragmatismo si è concentrato su obiettivi realizzabili, ma la sua politica dei piccoli passi non ha portato a quei cambiamenti che sarebbero stati necessari per far riguadagnare al Partito Democratico la fiducia di un elettorato sempre più scettico nei confronti dell'establishment.
La performance dell'economia, pur senza brillare, è stata positiva soprattutto considerato il grigio contesto dell'economia mondiale: la disoccupazione si è ridotta significativamente e gli appelli del presidente si sono tradotti in un aumento del salario minimo in molti Stati. Non sono invece cresciuti i salari della classe media, la cui frustrazione è stata decisiva ai fini dell'elezione di Donald Trump.
Se da un lato ha raggiunto obiettivi importanti sul piano della politica interna e sembra essere riuscito a trasformare gli Stati Uniti in un paese più moderno, dall'altro ne ha indebolito la posizione sullo scacchiere internazionale. I critici non mancheranno di sottolineare come il contesto storico, con la diffusione sempre più rapida dell'integralismo islamico in Africa ed in Asia, le ritrovate mire espansionistiche della Russia di Putin ed un'Unione Europea in piena crisi d'identità, avrebbe richiesto invece una leadership americana più risoluta.
Obama ha avuto il merito di promuovere un nuovo approccio alle relazioni internazionali basato sulla diplomazia e sul dialogo, in rottura con la tradizione dell'interventismo a stelle e strisce, ma è andato in difficoltà di fronte alla Realpolitik della Russia di Putin. Le stesse difficoltà le ha incontrate in politica interna di fronte all’opposizione repubblicana poco propensa a qualsiasi forma di dialogo.
Obama è riuscito comunque ad ottenere risultati positivi, ma troppo spesso ha accettato compromessi al ribasso, raramente ha voluto alzare i toni, mai ha cercato di forzare la mano al Congresso facendo leva sulle sue prerogative presidenziali. E' stato un presidente moderato e centrista, ecologista, sensibile alle istanze delle minoranze e dei meno abbienti, ma non particolarmente coraggioso.
Le forti tensioni interrazziali emerse negli ultimi anni e il malcontento che ha contribuito prima all'avanzata di Bernie Sanders e poi all'elezione di Donald Trump portano a pensare che quel cambiamento che era stato promesso nella storica campagna elettorale del 2008 (‘Yes, we can’) non si sia realizzato sino in fondo e che la presidenza di Barack Obama sia stata caratterizzata da tante occasioni mancate, non sempre per cause da ricondurre alla sua volontà.