Con la revoca dell'autonomia del Kashmir da parte dell'India cambiano le relazioni tra il governo centrale e una regione epicentro dell’instabilita’ politica

Il 5 luglio 2019 il governo indiano, tramite decreto presidenziale sottoscritto dal premier Narendra Modi, ha revocato l’articolo 370 della Costituzione. Questo articolo era stato redatto al momento dell’indipendenza indiana nel 1947, ed era effettivo dal 1954. Esso garantiva ampia autonomia alla regione del Kashmir, teatro di una lunga, sanguinosa e tutt’ora aperta disputa con gli storici rivali del Pakistan. La mossa di Modi, leader del partito di destra indu’ BJP (Bharatiya Janata Party, o Partito Popolare Indiano), e’ a ben vedere storica, in quanto va ad alterare le relazioni tra il governo centrale e la regione che e’ da decenni l’epicentro dell’instabilita’ politica nel subcontinente.

In primo luogo e’ utile inquadrare la vicenda del Kashmir nelle complesse vicende storico-politiche che risalgono ai tempi della decolonizzazione del subcontinente indiano.
All’interno del Raj Britannico, durante l’epoca coloniale, parte del territorio indiano non era sotto il diretto controllo della Corona. Vi erano invece territori definiti ‘stati principeschi’ (talvota anche ‘stati nativi’). Questi mantenevano un’indipendenza formale dalla Gran Bretagna, pur rimanendo indirettamente, in ultima istanza, sotto l’egida coloniale (Figura 1). Con la fine del Raj nel 1947, agli stati principeschi fu data la possibilita’ di scegliere se diventare effettivamente indipendenti; oppure unirsi all’India o al Pakistan nel contesto della Partizione del subcontitente secondo linee settarie (uno stato a maggioranza indu’ in India, uno a maggioranza musulmana in Pakistan). Vi furono resistenze, ma alla fine ogni stato principesco (erano circa 550) fini’ per unirsi ora all’India, ora al Pakistan (Figura 2).

Il Kashmir, stato principesco del montuoso nord ovest, si trovava in una situazione molto complessa. Infatti, giaceva esattamente sulla traiettoria della nuova linea di demarcazione tra India e Pakistan tracciata dal diplomatico britannico Ciryll Radcliffe nel 1947 (il confine e’ tra i piu’ militarizzati al mondo, tanto che e’ possibile vederlo persino dallo spazio - Figura 3). In secondo luogo, il sovrano locale, il maharaja indu’ Hari Singh, regnava su un territorio a maggioranza musulmano. Dopo varie esitazioni, solo nell’agosto 1947, a Partizione ormai in corso, egli decise di sottoscrivere una richiesta di unione all’India. Secondo la storiografia ufficiale indiana, questo avvenne solo dopo l’invasione del Kashmir da parte di elementi tribali pakistani che avevano in effetti spinto il maharaja a chiedere l’aiuto indiano. Secondo invece la storiografia pakistana, tale attacco si verifico’ solo dopo la sottoscrizione da parte di Singh dell’unione con l’India, ed era in risposta al principio settario fondante della Partizione, ovvero che stati a maggioranza musulmana dovessero essere integrati nel Pakistan.


In questo quadro, si ebbe la prima guerra indo-pakistana per il Kashmir. Si concluse nel 1948 con la partizione della regione in due parti, una sotto controllo indiano e una pakistano. Entrambi gli stati rivendicano da allora la totalita’ del territorio (come si evince anche guardando alle mappe ufficiali dei due stati – Figura 4 e Figura 5), e non riconoscono come legittima la presenza del rivale nelle zone occupate dopo il 1947. A dividere i due contendenti e’ infatti una ‘Linea di Controllo’ che funge da confine di fatto, ma non de jure, e che e’ in effetti il prolungamento verso nord della linea Radcliffe.
Dopo il 1947-8, il Pakistan divise il territorio sotto il suo controllo in due macro regioni federali: il Gilgit-Baltistan, piu’ a nord; e il Kashmir Libero, o Azad Kashmir. L’India ammise i territori ottenuti con l’atto di Hari Singh come stato di Jammu e Kashmir. All’interno di questo stato federato, vi era anche una regione, il Ladakh, a confine con il Tibet, a maggioranza buddhista (Figura 6 – come accennato sopra, l’India ha un contenzioso aperto anche con la Cina per territori a suo avviso appartenenti al Kashmir di Singh).
Nella nuova India indipendente, lo stato del Jammu Kashmir era l’unico a maggioranza musulmana, sebbene tale maggioranza fosse concentrata nella valle del Kashmir propriamente detta con capitale Srinagar; infatti, nell’altro distretto che da il nome allo stato, il Jammu, troviamo invece una maggioranza indu’ (Figura 7). Conscia di questo problema, la costituente indiana propose il citato articolo 370, che prevedeva un’amplissima autonomia amministrativa e politica al Kashmir indiano. Lo stato del Jammu Kashmir avrebbe avuto una sua costituzione in parallello a quella indiana; una propria bandiera; autonomia fiscale, di polizia, amministrativa, giudiziaria, e in materia di istruzione; e, cruciale, di residenza: solo i kashmiri potevano comprare proprieta’ terriere o immobiliari. A Nuova Delhi spettavano relazioni estere, difesa e telecomunicazioni.

Nonostante queste garanzie, dato il costante conflitto con il Pakistan, lo stato del Jammu Kashmir e’ presto divenuto un’area dalla fortissima presenza militare indiana.. Vari moti di insurrezione, a volte puramente locali, altre volte sponsorizzati dal Pakistan, hanno poi dato via a partire dagli anni 80 a fenomeni di aperta ostilita’ verso le truppe e le forze di sicurezza indiane. Nuova Delhi ha spesso reagito inasprendo quella che e’ via via divenuta una politica di repressione, quando non di violenta oppressione, all’interno del Jammu Kashmir.
E’ in questo contesto che il Presidente Modi ha revocato l’articolo costituzionale che garantiva autonomia alla regione. Perche’ lo ha fatto proprio ora? Vi sono tre considerazioni che possiamo avanzare: a differenza del Partito del Congresso che ha guidato l’India per la maggior parte della sua storia, il BJP e’ apertamente un partito nazionalista e induista. Modi, in particolare, e’ un leader dalle spiccate qualita’ ‘decisioniste’, e puo’ rivendicare un ‘successo’ che il Congresso non ha mai potuto vantare: la piena integrazione del Kashmir all’interno della federazione indiana. Modi si pone poi come un uomo forte che fa dell’ostilita’ alle istanze dei musulmani d’India un suo tratto distintivo (quando era governatore dello stato del Gujrat, nel 2002, ignoro’ un pogrom che contò piu’ di 2000 musulmani trucidati). Inoltre, compiendo questa mossa il 5 agosto, a soli 10 giorni dalla celebrazione per l’indipendenza indiana (15 agosto), ha’ galvanizzato ancor di piu’ i suoi sostenitori.

In secondo luogo, Modi e il BJP hanno scelto di capitalizzare l’enorme successo elettorale dello scorso giugno, quando hanno conquistato il 38% dei voti (contro il 20% del partito nel Congresso). Con il premio di maggioranza, hanno poi ottenuto maggiornaza assoluta nella camera bassa (con 303 seggi su 545 – Figura 8) e quella relativa nella camera alta (78 su 245). Tali maggioranze devono essere sembrate un’occasione se non unica, di certo rara per avanzare riforme sostanziali nel Kashmir indiano. E probabilmente, un calcolo politico tra la popolarita’ della mossa nell’India intera da una parte, contro una recrudescenza dei disordini e dello scontro politico nella valle del Kashmir dall’altra, ha fatto propendere il BJP per la revoca dell’articolo.
Modi era ovviamente consapevole delle ripercussioni di tale mossa. Si e’ infatti subito premurato di scorporare Jammu e Kashmir dal Ladakh (Figura 9), ammesso nell’Unione come territorio ma non come stato federale. Perciò non avra’ una sua assemblea legislativa; cosa che invece avverra’ per Jammu e Kashmir, sebbene appunto senza nessuna delle precendenti tutele. Il Presidente ha poi inviato ulteriori truppe per far fronte al prevedibile dissenso e opposizione nel Kashmir; ha vietato dimostrazione e proteste; ha arrestato i leader politici kashmiri; ha tolto accesso a linee telefoniche e a internet alla popolazione. Uno stato di assedio che, a ben vedere, riesce difficile da far quadrare con la retorica del BJP che aveva presentato la revoca dell’articolo 370 come un passo fondamentale verso la pace, la prosperita’ e il progresso nella regione.
Vi e’, infine, un problema legale con la mossa di Modi: l’articolo poteva essere revocato solo con la consultazione e approvazione dell’assemblea Kashmira; la quale pero’ era stata sciolta.Ill Kashmir era governato pro tempore da un funzionario inviato da Nuova Delhi, che ha ovviamente accettato il decreto del governo: è probabile dunque che l’opposizione parlamentare al BJP faccia appello alla corte suprema indiana per invalidare il decreto per vie legali.

Nel frattempo, a livello locale, i musulmani del Kashmir si sono trovati in una situazione in cui, oltre alla perdita di autonomia e all’ulteriore repressione, potrebbero assistere all’influsso di indu’ nella valle per modificarne sostanzialmente il carattere musulmano (data la rimozione appunto del diritto di acquisto di proprieta’ ai soli Kashmiri). Una situazione in qualche modo analoga alle politiche di sinizazzione in Tibet. Al di la’ della Linea di Confine, il Pakistan ha ovviamente reagito in maniera forte, manifestando aperta ostilita’ alla revoca dell’autonomia: ha interrotto il commecio bilaterale con l’India, declassato le sue relazione diplomatiche con Nuova Delhi, e richiamato l’ambasciatore. Imran Khan, il primo ministro pakistano, non ha esitato a bollare su Twitter il provvedimento indiano come ‘nazista’. Dopo gli scontri del febbraio scorso, e’ possibile un nuovo rinfocolarsi delle tensioni militari tra i due paesi (che, lo ricordiamo, sono potenze nucleari).
In ultimo, alcuni hanno fatto notare come anche l’amministrazione Trump fosse in qualche modo oggetto delle manovre del governo indiano. Nella crisi di febbraio cui abbiamo accennato tra India e Pakistan, Trump si era offerto di fare da mediatore, non una ma ben due volte. La prima, per tutta risposta, Modi lo aveva apostrofato come ‘bugiardo’; la seconda volta non si era nemmeno degnato di rispondere. Si ritiene che l’India sia profondamente insoddisfatta della soluzione politica che si va delineando in Afghanistan, dove i Talebani, da sempre vicini a Islamabad, hanno sempre piu’ influenza. La reticenza dell’America ad intervenire, nel quadro dell’isolazionismo di Trump, ha comportato dunque un inasprimento della posizione indiana nel Kashmir in aperta sfida al Pakistan.