Quasi 1.500 dighe sono state proposte o sono già in costruzione anche in aree protette nei Balcani. È una forma di sviluppo sostenibile?

La costruzione di dighe nel mondo sembra non fermarsi (Figura 1) e una buona parte di esse verrà realizzata nei Balcani. Oltre 3.000 progetti per la produzione di energia idroelettrica stanno cambiando il volto della regione, dalla Slovenia alla Grecia: 1.003 dighe esistenti, 188 progetti in costruzione, 2.798 dighe proposte (Figura 2). Ma se in passato l’idroelettrico era considerato una forma di energia rinnovabile pulita e le dighe un esempio di sviluppo e progresso di un paese, oggi non è più così. Sempre più spesso la costruzione di dighe viene contestata dalla popolazione locale, sia per motivi ecologici che sociali. Non fanno eccezione i Balcani, dove un crescente numero di persone e di organizzazioni internazionali si sta mobilitando per bloccare tali progetti e salvare, dicono loro, il cuore blu d’Europa.

A giugno 2018, il brand di attrezzature tecniche e sportive di montagna Patagonia ha presentato alla BERS, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, una petizione con oltre 120.000 firme. Mai una petizione tanto partecipata aveva raggiunto l’istituto. La campagna Save the Blue Heart of Europe chiede alla BERS, alla Banca Europea per gli Investimenti e all’International Finance Corporation della Banca Mondiale di fermare i prestiti internazionali per i progetti di dighe sui fiumi balcanici, che secondo Bankwatch ammontano a 727 milioni di Euro.
Gli oltre 34.000 km di fiumi nella regione (Figura 3) sono considerati un hotspot di biodiversità unico al mondo. Qui esistono 69 specie di pesci autoctoni, tra cui il salmone del Danubio, che non si trovano in altre parti del mondo, e oltre il 40% dei molluschi a rischio estinzione in Europa. Questa ricchezza è data dal fatto che il 30% dei corsi d’acqua nella regione è considerato incontaminato, mentre un ulteriore 50% è in buone condizioni. L’ultimo fiume libero in Europa si trova in Albania. Il fiume Vjosa scorre libero da interventi umani per oltre 270 chilometri, compresi tutti i suoi affluenti. Oggi, la proposta di 38 progetti idroelettrici potrebbe cambiare l’intero sistema fluviale del Vjosa.


Se una mobilitazione per dei molluschi può far sorridere alcuni, le questioni ambientali, sociali, economiche e addirittura geopolitiche sono invece molto serie. Innanzitutto, il rischio ambientale si ripercuoterebbe sull’intero ecosistema. Tanto più che quasi 1.500 dighe sono state proposte o sono già in costruzione anche in aree protette: per la precisione, in 188 parchi nazionali. Paradossalmente, l’attuale boom idroelettrico nei Balcani deve la sua esistenza alla misure adottate dall’UE a difesa dell’ambiente, in un primo tempo favorevoli ai progetti basati su questa forma di energia in quanto alternativi alle energie fossili e meritevoli perciò di appetibili sussidi statali. Ma la questione della biodiversità investe l’intero modello di sviluppo basato sull’idroelettrico. È una forma di sviluppo sostenibile?
A lungo si è pensato che dighe di piccole dimensioni non avrebbero avuto impatti negativi sull’ambiente. Oggi vi è la consapevolezza che tutte le dighe inquinano. Tante piccole dighe e derivazioni possono infatti avere un impatto cumulativo perfino maggiore di quello provocato dalle grandi dighe. Infatti, derivazioni e bacini artificiali rischiano di prosciugare interi tratti di corsi d’acqua. La minor quantità d’acqua raccolta è maggiormente esposta a processi di evaporazione e surriscaldamento, provocando l’estinzione della popolazione ittica e della fauna selvatica. È stato calcolato che dal 1970 le dighe hanno contribuito a un calo medio della fauna selvatica d'acqua dolce pari all'81%. Inoltre, la riduzione dei flussi d’acqua intrappola il calore, che provoca la proliferazione di alghe tossiche, compromettendo così la qualità dell’acqua. Le dighe bloccano anche i sedimenti benefici, che così non possono diffondersi nell’ambiente circostante, colpendo anche la fertilità delle terre agricole. Dighe e centrali idroelettriche provocano emissioni di gas serra, che sono alla base del surriscaldamento del globo: le grandi dighe hanno un impatto del 4% sull’intera produzione globale di gas serra.

Come? Uno studio condotto da un’equipe di ricercatori coordinati dal brasiliano Nathan Barros e pubblicato in un articolo per Nature Geoscience nel 2011, ha infatti dimostrato che i laghi artificiali sono produttori di metano. La preesistente vegetazione, che viene sommersa in seguito alla costruzione dello sbarramento del fiume, subisce trasformazioni anaerobiche che sono alla base della produzione del gas. Il metano, ancora in forma solubile sul fondo del lago, viene poi rilasciato nell’atmosfera in forma gassosa sia dal lago stesso, sia a valle attraverso le turbine dell’idroelettrico (Figura 4).
Non vi sono solo effetti ambientali. Le popolazioni locali sono spesso costrette a spostarsi o per far posto al bacino artificiale o a causa del deperimento delle acque. In entrambi i casi il costo sociale sofferto da piccole comunità locali è alto, con storie di relazioni decennali lacerate e perdita di reti di solidarietà.
Per quanto una diga sia sempre invasiva nei confronti dell’ambiente, i costi e i benefici sociali, economici ed ambientali non sono però sempre uguali. Se le grandi dighe sui più importanti fiumi della Terra, come il Tigri, l’Eufrate, il Mekong, il Nilo o il Rio delle Amazzoni hanno effetti negativi su scala mondiale e richiedono dei costi sociali molto alti, molto diversa è la situazione di una piccola diga in una valle di montagna. Nonostante le alterazioni del sistema fluviale naturale, essa può infatti assicurare una produzione di energia elettrica alla popolazione locale. Può garantire un più efficiente controllo e utilizzo delle acque, anche a fini economici nel settore agricolo, o fungere da riserva in caso di scarsità idrica. Con una corretta e costante manutenzione ed interventi di compensazione dell’alterazione dell’ecosistema, una piccola diga può rivelarsi ancora una preziosa risorsa per le comunità. Ma essa deve sempre essere inserita all’interno di un contesto più ampio, poiché non sempre i confini amministrativi coincidono con quelli del bacino idrico. E il costo cumulativo di tante piccole dighe non sarebbe inferiore a quello dei grandi progetti di sviluppo idroelettrico.

Ma è possibile produrre energia idroelettrica davvero ecosostenibile? La risposta sembra essere negativa. La produzione idroelettrica ha un costo ambientale e sociale alto, anche a fronte di un relativamente basso rendimento energetico. Le Nazioni Unite hanno infatti rilevato che nei bacini artificiali di tutto il mondo evapora più acqua di quanta ne viene consumata globalmente dall’uomo. Per contro, i benefici sono tutti relativi all’indipendenza energetica nazionale e alla filiera tecnologica. Non all’occupazione però. Le dighe richiedono grandi finanziamenti, ma non impiegano un alto numero di lavoratori, e non producono molta energia. E quindi?
Le ragioni dell’idroelettrico (Figura 5) sono forse da cercarsi nella doppia logica geoeconomica e geopolitica. Da una parte, l’elevata richiesta di capitali internazionali mette in moto diversi interessi finanziari privati. Dall’altra, una diga significa controllo politico del territorio. Capitale internazionale e competizione politica si incontrano nella trasformazione ambientale e sociale del territorio. Ma le dighe aumentano anche la conflittualità, esacerbando le relazioni interstatali. La corsa all’idroelettrico (Figura 6) potrebbe quindi trasformarsi in una scommessa perdente in una regione complessa e storicamente instabile come i Balcani.