Il Mediterraneo orientale, con i paesi che vi si affacciano, è diventato un centro di gravità attorno al quale ruotano diverse questioni energetiche, talora intrecciate e contrastanti

Dalla scoperta, nel 2009 e 2010, dei bacini di gas naturale Tamar e Leviathan in acque territoriali israeliane, il versante orientale del Mar Mediterraneo ha assunto via via maggiore importanza per gli equilibri energetici mondiali. Già nel 2010, la US Geological Survey (USGS) stimava le riserve di gas nel Mediterraneo orientale in 3.455 miliardi di metri cubi: una quantità comparabile a quella delle riserve dell'Iraq.
La scoperta ha fatto di Israele, un tempo importatore netto di energia, un paese esportatore di gas naturale. Così, se nel 2010 Tel Aviv importava dall'Egitto il 40% del suo fabbisogno di gas naturale, nel 2013, anno in cui entra in funzione il bacino Tamar, il paese esporta il 43% del gas prodotto internamente. E' del 2014 un accordo con Amman per l'esportazione in Giordania di 2 miliardi di metri cubi all'anno per 15 anni, mentre a marzo del 2015 lo stesso Egitto, da esportatore, diventa importatore per la fornitura di di 140 milioni di metri cubi di gas all'anno per tre anni.

Negli ultimi anni, di conseguenza, nel totale dell'energia usata da Israele, il gas naturale ha sostituito percentuali sempre maggiori delle tradizionali fonti, ed è pertanto aumentato il consumo interno (Figura 1).
Il Tamar, con la sua riserva di 283 miliardi di metri cubi, non è tuttavia il maggior bacino del paese: il Leviathan, giacimento non ancora attivo, sembra infatti dotato di una riserva di 510 miliardi di metri cubi di gas (Figura 2).
Il potenziale del Mediterraneo orientale non si esaurisce qui. Nel 2011, l'impresa Noble Energy scopre in acque cipriote il bacino Afrodite, che si presume possa contenere 128 miliardi di metri cubi di gas. Secondo il Ministero dell'Energia cipriota il potenziale di gas offshore nelle acque del paese raggiungerebbe i 1700 miliardi di metri cubi di gas.
Il maggior detentore di gas nella regione, tuttavia, sarebbe il Libano. Nel 2013, il ministero dell'Energia del Paese dei Cedri ha stimato il potenziale di gas offshore in 2718 miliardi di metri cubi. Le esplorazioni, però, iniziate tardi e a rilento, non hanno ancora confermato questi dati.
Anche i Territori Palestinesi hanno il proprio bacino di gas: risale al 1999 la scoperta, nelle acque territoriali di fronte alla Striscia di Gaza, del giacimento Gaza Marine, che conterrebbe 28 miliardi di metri cubi (Figura 3).


Questi giacimenti di gas naturale scoperti negli ultimi anni stanno ridisegnando gli equilibri energetici dell'intera regione. E, trattandosi di una regione particolarmente cruciale, a ridosso di un Medio Oriente in fiamme, a cavallo tra Europa, Asia e Africa e nel mezzo delle dispute tra Russia e vicini europei, questa nuova variabile è destinata a influenzare la vita politica di un'area geografica molto vasta.
Le scoperte di giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale entrano infatti nel complesso mosaico di questioni geopolitiche precedenti alle scoperte stesse, o successive.
Dal 2011, il Libano è in disputa con Israele per un tratto di Zona Economica Esclusiva (ZEE) sul Mediterraneo, ampia 850 km quadrati, di cui entrambi i Paesi rivendicano la competenza (Figura 4). L'importanza di tale tratto di mare è evidente: esso contiene parte dei due grandi bacini di gas Leviathan e Tamar. L'assenza di accordi diretti tra i due Governi, che hanno invece delimitato i propri confini marittimi tramite accordi separati con Cipro, sta bloccando le attività estrattive del Libano, che si ritrova in possesso di un tesoro sigillato in un forziere del quale non ha la chiave.
In secondo luogo, il contrasto tra Gaza e Israele. Sebbene le riserve del Gaza Marine possano sembrare esigue rispetto a quelle dei paesi vicini, con il gas naturale del piccolo bacino i territori Palestinesi potrebbero ottenere l'indipendenza energetica. Ed emanciparsi, così, dalla minaccia di black out ad opera di Israele. Tuttavia, lo scoppio della Seconda Intifada subito dopo la scoperta del giacimento, così come il 'Blocco della Striscia di Gaza' imposto dalle autorità israeliane nel 2007, hanno impedito finora uno sviluppo di queste risorse.
Anche la questione cipriota risente delle nuove scoperte energetiche. Da ottobre 2014 un vascello da ricognizione turco starebbe solcando le acque della Zona Economica Esclusiva (ZEE) cipriota alla ricerca di gas naturale. Di conseguenza, Nicosia ha interrotto il dialogo con Ankara per la sistemazione della questione turco-cipriota e ha coinvolto i vicini Grecia, Egitto e Israele per formare un fronte anti-turco, in modo tale da esercitare contro Ankara una maggiore pressione.

Nel frattempo, si inserisce in questo gioco anche il gigante energetico russo. Detentore della seconda riserva di gas al mondo (Figura 5), la Russia sta risentendo negli ultimi anni delle tensioni con l'Unione Europea, a causa della questione ucraina. In seguito all'abbandono del progetto South Stream, Mosca sta proponendo una nuova via del gas verso i mercati dell'Europa meridionale: la cosiddetta Turkish Stream. Si tratta di un gasdotto che entrerebbe in territorio turco dopo aver attraversato il Mar Nero, per connettersi all'Europa tramite Cipro o la Grecia, senza passare per il territorio ucraino (Figura 6). In quest'ultima direzione sembra puntare il Memorandum d'intenti di metà giugno tra Atene e Mosca per estendere il Turkish stream in territorio greco. L'accordo sembra avvicinare i malcontenti di Atene e Mosca nei confronti di Bruxelles, e, tramite il coinvolgimento della Turchia, non può che scontentare anche Cipro.
In questo modo, il Mediterraneo orientale, con i paesi che vi si affacciano, diventa un centro di gravità attorno cui ruotano diverse questioni energetiche, talora intrecciate e contrastanti, che assume sempre più rilevanza per l'intera macroregione eurasiatica.