Durante l'estate si è entrati nel vivo della discussione sul riduzione della spesa pubblica. Ripubblichiamo tre contributi. Il primo sull'entità del taglio; il secondo sulla concentrazione territoriale del taglio; il terzo sull'assenza di proposte esplicite sul taglio. Ecco il secondo.

Ultimamente di dibatte sulla Spending Review, ossia lo studio – voluto dal governo - della spesa pubblica volta a trovare quella inefficiente da tagliare. Per esempio, se una siringa costa all'ospedale X il triplo di quanto costi a quello Y, qualche cosa da tagliare ci sarà … Questa della Spending Review è un'analisi puntuale della spesa, ma si hanno anche degli studi sulla spesa aggregata, dalla quale si evince che ci sono una quarantina di miliardi di spesa inefficiente. Piaccia o non piaccia, la spesa inefficiente è concentrata in tre regioni: la Sicilia, la Calabria e la Campania. Hanno dunque ragione i Secessionisti, che vogliono portare la spesa pubblica delle diverse regioni in linea con il reddito della regione medesima? No, a rovinare il loro ragionamento non è solo la difficoltà di ripartire in modo efficiente la spesa pubblica fra le regioni, ma anche l'impatto del debito debito pubblico in un'Italia divisa.

Proviamo a immaginare che cosa accadrebbe in caso di secessione. Immaginiamo l’Italia composta di due regioni di riferimento, la Lombardia e la Sicilia. Le regioni italiane si dispongono a partire dalla più ricca alla più povera, e perciò l'usare solo due regioni importanti agli estremi rende semplice il ragionamento. Per esempio, il Veneto avrà un tasso d’interesse sul proprio debito pubblico simile a quello della Lombardia, e la Calabria simile a quello della Sicilia. E via dicendo, allontanandosi dalle due regioni messe agli estremi. I numeri che mostriamo sono rozzi, ma se i numeri veri si dispongono non troppo lontano dai nostri numeri rozzi, abbiamo un punto di riferimento. La regione più ricca ha un reddito pro capite di circa 35 mila euro, la più povera un reddito pro capite di circa diciassette mila e cinquecento euro. Immaginiamo ora che il debito pubblico sia diviso pro capite. Tanto è il debito pubblico, e tanto va a carico di ognuno. Il debito pubblico italiano è all'incirca pari a 30 mila euro per abitante (ossia, vecchi e neonati inclusi). Ogni lombardo ha perciò un reddito di 35 mila euro e un debito di trenta mila. Ogni siciliano ha un reddito di 17.500 euro e un debito di trenta mila. Nel caso del lombardo il debito sarebbe inferiore al suo reddito annuo. Nel caso del siciliano sarebbe quasi il doppio.

Il debito pubblico italiano è oggi intorno al 100% del reddito nazionale (prendiamo quello netto, ossia il debito lordo pari al 120% meno i beni dello stato, per avere un numero “tondo”). Se il debito pubblico fosse diviso per abitante in un’Italia divisa per effetto della secessione, avremmo alcune regioni – quelle simili alla Lombardia - con un debito pubblico inferiore al 100% e altre – quelle simili alla Sicilia - con un debito pubblico che tende al 200%. Si deduce che i tassi d’interesse sulle obbligazioni delle regioni simili-longobarde sarebbero intorno intorno al 5%, il rendimento precedente la crisi del 2011, mentre quelli delle regioni simili-sicule sarebbero superiori a quelle greche prima della grande crisi del 2011, quindi sopra il 10%. La Grecia aveva, infatti, un debito pubblico che per effetto della crisi lambiva il 150% del suo reddito nazionale.

Dopo la secessione, le regioni simili-sicule sarebbero schiacciate dal debito pubblico. Il 20% (il 10% d’interesse sul 200% di debito) di quanto producono andrebbe a pagare gli oneri del debito. Si tenga conto che oggi per l’Italia gli oneri sul debito pubblico sono pari al 5% circa di quanto prodotto annualmente. Le regioni simili-sicule pagherebbero per gli interessi sul debito quattro volte quanto paga oggi l’Italia. La loro economia, già debole, sarebbe polverizzata. Si avrebbero imposte altissime per pagare il debito, tagli alle spese pubbliche, investimenti decapitati dall’alto costo del denaro.

In caso di secessione, ogni regione si terrebbe quanto guadagna, perciò i trasferimenti dalle regioni simili-longobarde a quelle simili-sicule s’interromperebbero. Il debito pubblico polverizza le regioni simili-sicule dopo la secessione, perché si alza il costo del loro debito che arriva a “mangiarsi” un venti per cento del loro reddito, reddito che intanto è diminuito non poco, perché sono finiti i trasferimenti dalle regioni simili-longobarde, che sono circa il 15 per cento del loro reddito. Una devastazione.

Se il debito pubblico andasse, invece, tutto alle regioni simili-longobarde, gli oneri da interesse sarebbero inferiori a quelli che pagherebbe le regioni simili-sicule nel caso di equipartizione, perché la loro base fiscale è molto più robusta. Avremmo un debito pubblico maggiore che supponiamo sia sottoscritto al 5 per cento come maggiori costi. Avremmo le molte decine di miliardi di euro come minori trasferimenti verso le regioni simili-sicule come minori costi.

Il reddito pro capite lombardo è di 35 mila euro, e il debito pubblico per italiano è di 30 mila euro. Un terzo del debito pubblico è, nei nostri conti, di pertinenza delle regioni simili-sicule. Il debito italiano passa tutto ai simili-longobardi e diventa di 45 mila euro pro capite (45X66%+0X33%=30). Con un rendimento eguale a quello di oggi, il 5 per cento, il maggior debito – 15 mila euro - costerebbe circa 750 euro l’anno a ogni simile-longobardo.

Luca Ricolfi (Il sacco del Nord, da pagina 160) stima in 60 miliardi di euro i minori trasferimenti verso le regioni simili-sicule nel caso in cui ogni regione trattenesse quanto produce, lasciando invariata l'evasione. Immaginando che i simili-longobardi siano quaranta milioni, si avrebbero mille e cinquecento euro pro capite di minori trasferimenti. I maggiori esborsi pari a circa 750 euro a fronte di minor esborsi per mille e cinquecento euro danno un saldo di nemmeno mille euro.

Nel caso di equi ripartizione del debito pubblico e d’interruzione dei trasferimenti fra regioni italiane, avremmo la devastazione delle regioni simili-sicule (circa un terzo del loro reddito verrebbe a mancare per il pagamento del debito di loro pertinenza e per il taglio dei trasferimenti) e mille e cinquecento euro in più per ogni abitante di quelle simili-longobarde (il loro maggior reddito, frutto del taglio dei trasferimenti). Nel caso di accollo di tutto il debito pubblico a carico delle regioni simili-longobarde e d’interruzione dei trasferimenti fra regioni italiane, avremmo nemmeno mille euro l’anno in più per ogni abitante simile-longobardo, e una minor devastazione (pari al quindici per cento circa del reddito) delle regioni simili-sicule.

La secessione non mostra dei conti finali che la rendano attraente: genera un maggior reddito di dimensioni modeste nelle regioni messe meglio, e devasta in misura più o meno marcata quelle messe peggio. Se ci fosse un referendum “Secessione, si o no?” chi scrive voterebbe - sulla base dei numeri mostrati – no. Chi scrive è economicamente classificabile come simile-longobardo. Per origine famigliare è classificabile come simile-siculo. Per un importo che oscilla fra i nemmeno mille e i mille cinquecento euro l'anno (circa cento euro al mese, oggigiorno un pieno di benzina) preferisce non imbarcarsi in un processo sfuggente e politicamente pericoloso come quello della secessione. Preferisce la lotta agli sprechi e all'evasione condotta da un ministero dell'economia con sede a Roma occhiuto e con il cuore gelido.

Pubblicato inizialmente su: http://temi.repubblica.it/limes/litalia-dopo-litalia/17249 e poi su: http://www.lafeltrinelli.it