Chi l’avrebbe mai detto che avremmo rimpianto il famigerato 2020? L’anno della pandemia e dei lockdown. Eppure per chi investe in Borsa sarà proprio così. I dodici mesi appena passati sono stati una vera e propria mannaia per i mercati azionari. Soprattutto negli Stati Uniti, dove l’indice generale S&P 500, che raccoglie le principali 500 società quotate, ha lasciato sul terreno in un anno circa il 20% del proprio valore.
Molto peggio è andata ai titoli tecnologici, che più di tutti hanno subito gli effetti di questa tempesta perfetta fatta di guerra, inflazione, caro-energia e rialzo dei tassi. Il Nasdaq, il paniere dei titoli hi-tech americani, ha perso il 32.36% nel 2022. Società come Tesla, Amazon, Apple, Google, Facebook hanno accusato colpi durissimi. Basta pensare che Elon Musk, ceo di Tesla e nuovo patron di Twitter, ha visto crollare di 132 miliardi di dollari il proprio patrimonio netto.
Poco meglio è andata a Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, che ha perso 84 miliardi di dollari, mentre Amazon dimezzava il proprio valore di mercato. E a Mark Zuckerberg che si è visto andare in fumo circa 80 miliardi di ricchezza. C’è da dire che i titoli quotati sul Nasdaq venivano da tempi di vacche grasse, anzi grassissime. Le misure di contrasto alla pandemia avevano messo il turbo al commercio elettronico e alle nuove tecnologie di comunicazione. E il 2020 era stato un anno d’oro per le società hi-tech.
Le cose sono andate invece leggermente meglio in Europa, dove le Borse continentali hanno limitato i danni, facendo registrare ribassi intorno al 10%. Nello specifico, il Dax tedesco ha perso il 12%, il Cac francese poco meno del 9%, mentre il Ftse 100 ha rosicchiato un +1.53% rispetto all’inizio dell’anno. Per ridimensionare le perdite del 2022 in Europa è servito un vigoroso scatto d’orgoglio negli ultimi mesi dell’anno, dovuto in gran parte al rallentamento della spirale inflazionistica grazie al forte calo del prezzo del gas. Senza il quale il bilancio finale sarebbe stato molto più pesante: a ottobre gli indici europei erano in passivo di quasi il 25% rispetto a Dicembre 2021.
E il Italia? Il nostro principale indice azionario, il Ftse Mib, è stato tra i peggiori in Europa, bruciando circa il 13% del proprio valore nel 2022. Negli ultimi dieci anni, solamente nel 2018 era andata peggio (-16.15%). Il Ftse Mib ha cominciato l’anno col freno tirato, ma la vera prima mazzata è arrivata a febbraio con lo scoppio della guerra in Ucraina, a cui è seguito il dato allarmante sull’ulteriore impennata dell’inflazione a marzo (+1.6% rispetto a febbraio).
Ed è di nuovo il dato preoccupante sull’inflazione a maggio (+0.8% rispetto ad aprile) a provocare un nuovo vertiginoso crollo della nostra Borsa. Come d’altra parte è il primo dato incoraggiante sulla stessa inflazione a novembre (-0.4% rispetto ad ottobre) a rappresentare la prima vera schiarita sulla piazza di Milano, da cui l’indice italiano ha preso finalmente un po' di fiato e coraggio. Il buon trend con cui la Borsa ha chiuso il 2022 è proseguito anche nei primi giorni del 2023 e ha permesso in questi giorni al Ftse Mib di tornare ai livelli pre-guerra. Come si vede in figura 2, invece, il rialzo dei tassi d’interesse da parte della Bce non ha provocato grossi scossoni perché i mercati avevano già ampiamente scontato l’intervento della banca centrale.
Entriamo quindi dentro l’indice. Scomponiamolo e con la lente d’ingrandimento dei singoli settori vediamo meglio chi ha guadagnato e perso nel 2022. Neanche a dirlo, l’unico settore che ha chiuso l’anno col segno più è quello che racchiude le società petrolifere. Anche se oggi è lontano dai picchi toccati a giugno, proprio a causa della progressiva discesa del prezzo del gas e del petrolio.
All’opposto, l’industria dell’health care ha perso oltre il 30% in questi dodici mesi, in larga parte dovuto alla minore attenzione rivolta a queste società con la fine sostanziale dell’emergenza Covid e della conseguente campagna vaccinale.
Per il resto, tutti i principali settori hanno registrato saldi negativi. Anche nel nostro Paese i titoli tecnologici hanno pagato uno scotto significativo (-25%), mentre le banche (‘solo’ -7% a fine anno) sono ora in decisa ripresa dopo aver pesantemente accusato il colpo della crisi russo-ucraina a causa dell’ingente esposizione dei nostri principali istituti verso l’economia russa, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo.
Infine, una veloce panoramica sui singoli titoli, che ci permette di capire immediatamente quanto difficile questo anno sia stato per la nostra economia. Sui 115 titoli quotati in Borsa Italiana che abbiamo tracciato, ordinati dal peggiore al migliore in termini di rendimento finale annuo, bisogna arrivare al titolo numero 97 per raggiungere lo zero termico, come si direbbe in meteorologia. Ovvero, 96 titoli su 115 hanno accusato perdite nel 2022. Alcuni davvero pesanti.
È paradossale, per esempio, che la peggiore di tutte sia stata proprio un’azienda del settore energetico come Saipem (-76.55%). A causa di un aumento di capitale avvenuto a metà dell’anno non proprio apprezzato dagli investitori. Più plausibile è trovare invece tra i peggiori 5 un’azienda delle telecomunicazioni come Tiscali (-57.93%). Ma c’è anche chi ha chiuso l’anno col botto. L’azienda D’amico International Shipping ha brindato alla mezzanotte del nuovo anno con un +341%.
La crescita vertiginosa dei prezzi al consumo è stata sicuramente la cartina tornasole delle molteplici criticità che i nostri mercati finanziari e l’economia internazionale in generale hanno affrontato in questi mesi. E ha rappresentato il riferimento principale a cui gli investitori hanno guardato per orientare le proprie scelte di acquisto e, soprattutto, di vendita. Il motivo è semplice: un’inflazione alta mette in allarme le banche centrali che, per raffreddare l’economia, reagiscono attraverso il rialzo dei tassi di riferimento interbancari, da cui dipendono a catena tutti i tassi d’interesse che caratterizzano la nostra vita quotidiana: i muti e i prestiti diventano più onerosi, così come gli investimenti per le imprese.
Insomma, il denaro diventa più costoso e anche prendere in prestito soldi per investirli sui mercati azionari è meno profittevole e quindi meno attrattivo. Una grande liquidità, che in tempi di interessi prossimi allo zero aveva inondato il sistema finanziario, viene quindi drenata, asciugata, assorbita. Si toglie spazio di manovra agli investimenti in Borsa e anche alla speculazione finanziaria.
Questo spiega anche il crollo dei titoli tecnologici, che tanto avevano beneficiato della grande immissione di liquidità da parte delle banche centrali durante i mesi della pandemia. E spiega in parte anche il crollo delle cripto-valute e del prezzo del gas. Purtroppo però, una politica monetaria aggressiva non frena solamente la speculazione finanziaria. Anzi. Contraccolpi negativi, e pesanti, si avvertono anche sull’economia reale, sulla capacità di fare investimenti delle imprese, e quindi di assumere, dare lavoro. Su questo sottilissimo filo rosso si muoveranno quindi nel 2023 le banche centrali e i decisori politici ed economici nel nuovo anno. Lotta all’inflazione, certamente, e in parte quindi anche alla speculazione finanziaria. Ma con un occhio a potenziali danni collaterali.
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