Umberto Bocchino è professore ordinario di Economia aziendale e docente di Bilancio delle assicurazioni all’università di Torino. Da aprile è presidente Assiprovider, da tempo ha esperienze in consigli di amministrazione e collegi sindacali nel settore insurance e banking. A lui abbiamo chiesto di tracciare il profilo dell’assicurazione fabbricati oggi, indicando anche quali percorsi e soprattutto quali cambi di passo le permetterebbero di assumere la rilevanza che merita.
Professor Bocchino, com’è mutato nel tempo il prodotto assicurativo immobiliare?
«In realtà, non abbiamo ancora assistito a una evoluzione in linea con le nuove disposizioni. Pertanto, le polizze non si sono adeguate al cambiamento e sono rimaste abbastanza tradizionali. Ciò che risulta sembrerebbe un non ancora adeguato aggiornamento per esempio rispetto agli eventi sismici che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi anni o ai fenomeni meteo estremi sempre più frequenti con i quali dovremmo confrontarci con strumenti adeguati, non solo di polizza ma anche di tipologia di indennizzo ricostruttivo».
In che modo i criteri Esg potrebbero favorire il cambiamento?
«I tre pilastri della sostenibilità per l’Unione Europea dovrebbero essere centrali nel segmento fabbricati. Le ricostruzioni in caso di sinistro dovrebbero avvenire non secondo standard tradizionali, ma rispettando i nuovi traguardi di impatto ambientale e risparmio energetico. Inoltre, circa l’emergenza climatica in atto e alla vulnerabilità sismica del nostro territorio, si potrebbero prevedere premi più bassi e pure franchigie più ridotte nel caso di ricostruzioni in coerenza con questi obiettivi. Fissare cioè una premialità per chi persegue la sostenibilità ambientale. Alcune Compagnie stanno muovendo in questa direzione, ma ci vorrebbe una maggiore velocità».
Sembra un ritardo trasversale all’intero sistema assicurativo: qual è la causa di questo scollamento tra servizi offerti nel real estate e l’evoluzione del mercato?
«Le ragioni sono diverse. Potrei riassumerle anche nel fatto che il mondo delle assicurazioni è un contesto vigilato. Come tale, ha una maggiore difficoltà strutturale nei percorsi di adeguamento delle polizze, in quanto comunque sottoposto al vaglio dell’Ivass: la minore velocità di reattività delle compagnie è anche dovuta a questi motivi. Per altri versi, le assicurazioni godendo di ottima salute non sono sollecitate geneticamente a un vero cambio di passo, e questo sentimento trova spesso terreno fertile anche tra alcuni manager».
E quando le assicurazioni intervengono sul loro patrimonio immobiliare?
«In questo caso è diverso. Impostano operazioni decisamente più green e anche maggiormente compatibili con i rischi “meteocatastrofali”. Basta guardarsi intorno nelle grandi città dove le assicurazioni posseggono la più elevata quantità di immobili, per rendersi conto della qualità delle ristrutturazioni. Occorre precisare che il settore creditizio, in questo senso, è molto più avanti. Da tempo propone prodotti nuovi, prestiti green, azzera le spese di istruttoria nel caso di immobili in classe energetica elevata».
Questa “immobilità” è presente anche in altri Paesi europei?
«Assolutamente no. Il confronto con l’estero ci vede un po’ più in ritardo. Per esempio, in Francia chi affitta una casa deve avere prima stipulato una polizza su quell’immobile perché obbligatoria, affinché sia protetta su tutti i rischi, un po’ come in Italia lo è la polizza Rc Auto. In Italia non solo non c’è una normativa di questo tipo che sarebbe necessaria, ma quando ci sono polizze sovrapposte tra locatore e locatario e si registra un sinistro, inizia la catena dei rimpalli. Alla fine, si parla tanto di innovazione, troppo, ma alla resa dei conti si fa ancora troppo poco. Almeno nel campo assicurativo fabbricati».
Siamo di fronte anche a un vuoto legislativo, che ne pensa?
«Sì, io chiamerei in causa legislatore, nonché in parte la vigilanza o regolatore (Ivass) che dir si voglia. In Italia, purtroppo, il regolatore è ancora troppo concentrato sulle verifiche: la mia opinione è che svolga di più il ruolo di “mamma che tira le orecchie al figlio quando sbaglia” piuttosto che quello di creare le condizioni giuste per evitare l’errore e soprattutto aiutare le Compagnie a semplificare. Molto spesso se da un lato Ania cerca di proporre servizi nuovi, dall’altro Ivass risulta essere troppo poco ricettiva continuando a esercitare un eccessivo ruolo di vigilanza. A molti operatori del settore sembra esistere quasi solo per sanzionare, anziché essere “guida” per le Compagnie. Questo è uno dei motivi per cui è così faticoso “svecchiare” il settore. E purtroppo il comparto immobiliare non fa eccezione: la sua offerta è ancora pertanto troppo limitata ai prodotti tradizionali».
Che cosa chiederebbe al legislatore?
«Di creare una condizione normativa affinché le compagnie possano semplificare il linguaggio dei contratti di polizza, senza correre il rischio di essere poi sanzionate. Il linguaggio dei contratti assicurativi, anche agli occhi di un non esperto, comparato per esempio a quelli bancari, risulta decisamente più complesso. E si può dire che quello del ramo fabbricati è in assoluto il più criptico insieme a quello degli infortuni. Questa è la principale difficoltà nella dialettica assicurato/assicurazioni soprattutto in caso di sinistro, generando quel fenomeno emozionale che definirei di “fregatura dualisticamente percepita”, in base alla quale l’assicurato è convinto che l’Assicurazione lo frega, e la Compagnia pensa altrettanto dell’assicurato».
Quali suggerimenti per le assicurazioni?
«Le compagnie dovrebbero essere maggiormente orientate ai clienti del prossimo decennio, ovvero gli attuali venticinquenni, che hanno modelli di sottoscrizione diversi dagli attuali assicurati. Nell’immobiliare devono confrontarsi con un patrimonio molto spesso vecchio, ma anche antico, che è un concetto molto diverso: case quindi con anche un patrimonio artistico e di valore strutturale, affreschi, soffitti a cassettoni e così via».
Il patrimonio immobiliare italiano è molto particolare.
«In effetti uno dei principali problemi per le compagnie risulta essere la parte assuntiva del rischio che si basa ancora troppo su procedure che non sono in grado di restituire le reali criticità di un immobile. Da tempo affermo che le compagnie dovrebbero farsi carico della pre-perizia degli immobili. Solo così saranno in grado di conoscere davvero tutti i rischi. Si tratta peraltro di replicare quanto avviene per le polizze vita. E invece su questo tema siamo purtroppo quasi all’anno zero».
Perché le compagnie non fanno propria questa strategia?
«Perché è ragionevole pensare che si basino troppo sui costi di una pre-
perizia, ritenendo le probabilità di sinistri ancora troppo bassa. Del resto i sinistri nell’immobiliare hanno una frequenza minore rispetto ad altri rami, e non costituiscono una massa. Sebbene, però, quando accade un sinistro importante come l’incendio alla Torre dei Moro di Milano, due anni fa, sono guai seri ed il peso economico si fa sentire».
La Direttiva Case Green, la casa ispirata ai principi della sostenibilità, potrebbe modificare l’approccio e il modello di business?
«La Direttiva europea è molto complessa da attuare, soprattutto nel nostro Paese. Ma la strada è segnata. E anche le assicurazioni dovranno attivarsi. E sono convinto che in questa transizione così accelerata e strategica, ci sono degli attori che possono essere ritenuti “spalla” fondamentale per le compagnie. Mi riferisco ai provider che possono avere un ruolo fondamentale e maggiore, nella filiera assicurativa, perché hanno una grandissima esperienza reale sul campo e non lo sostengo in qualità di neo presidente della relativa associazione, Assiprovider, ma in qualità di accademico e studioso del fenomeno assicurativo. I provider sono infatti quelli che intervengono dopo che il sinistro si è verificato, ne conoscono tutti i particolari perché ne ricercano le cause, redigono le perizie di stima dei danni, possono intervenire riparando e bonificando, quindi hanno contezza dei dettagli e sono un ottimo “raccoglitore” di informazioni».
Quello dell’immobiliare è dunque un segmento ancora sottodimensionato...
«Direi di sì. È un settore che può offrire opportunità e soddisfazioni ma richiede maggiore velocità di adeguamento, maggiore sintonia tra legislatore, Vigilanza e le giuste esigenze delle assicurazioni. E di sviluppare meglio la componente digitale. Anche perché tra cinque, sei anni assisteremo anche qui alla trasformazione che ha quasi dimezzato gli sportelli bancari. I giovani, i clienti di domani, non andranno più in agenzia per stipulare una polizza – non ne abbiano a male gli agenti – e saranno sempre meno fedeli nel tempo. Ma per le compagnie più virtuose e per la rete delle agenzie che saprà rigenerare il proprio business sarà un’opportunità».
© Riproduzione riservata