Il tema dell’immigrazione (più precisamente: l’immigrazione irregolare sulla rotta mediterranea) riempie le prime pagine dei quotidiani, non solo – e forse nemmeno tanto – per la vicenda in sé, quanto per le controversie che suscita. Non si tratta, tuttavia, di un problema solo nostro: i flussi migratori, rallentati negli anni del Covid, sono ripresi in tutto il mondo, dai paesi più poveri a quelli più ricchi, sospinti anche da condizioni climatiche e politico-sociali che in molte regioni sono diventate più dure e pericolose. In parallelo, si sono rafforzate ovunque le voci critiche del fenomeno e soprattutto della sua gestione da parte dei governi dei paesi di destinazione. Tipicamente, queste polemiche sono diventate un’arma classica degli “imprenditori politici” della paura. Quanto viene recepito, però, il loro messaggio? E anche, da chi?
Per provare a rispondere guardiamo ai più recenti dati Eurobarometro (un sondaggio commissionato due volte all’anno dalla Commissione Europea in tutti i paesi dell’Unione), affidabili perché offrono serie storiche e confronti fra paesi diversi, ma soprattutto perché le domande vengono formulate in maniera per quanto possibile “neutrale”, tale cioè da minimizzare il rischio di influenzare le risposte. All’inizio dell’estate, è stato chiesto a un campione di cittadini europei quali fossero, scegliendo su una lista di tredici problemi, i due più importanti che in quel momento dovevano affrontare l’intervistato personalmente, il suo Paese, e l’Unione Europea. A livello personale, prevalgono, come ci si poteva aspettare, le preoccupazioni legate all’inflazione e al caro vita, seguite da situazione economica della famiglia e salute; meno prevedibile è che l’immigrazione risulti al penultimo posto in media europea (4 per cento, precede solo il terrorismo, con l’1 per cento) e addirittura al 3 per cento in Italia.
Le cose cambiano quando alle persone si chiede di guardare al governo nazionale e comunitario. Nel primo caso – a livello nazionale – l’immigrazione sale al quarto posto in media Ue, a pari merito con la sanità (14 per cento entrambe); anche in Italia è al quarto, con il 15 per cento, preceduta da inflazione, situazione economica e disoccupazione. A livello comunitario, infine, in media Ue l’immigrazione arriva al terzo posto con il 24 per cento (7 punti in più rispetto a sei mesi prima), preceduta dalla situazione internazionale e seguita dal cambiamento climatico. In Italia è solo al quarto, con il 18 per cento, alla pari con il cambiamento climatico. I dati relativi a Germania, Francia e Olanda proposti per confronto confermano che tre mesi fa gli italiani erano un po’ meno preoccupati dell’immigrazione non solo rispetto agli europei nel loro complesso, ma anche, per esempio, ai “cugini” francesi. E c’è una spiegazione razionale: la presenza di popolazione immigrata nel nostro paese (calcolata come quota dei residenti nati all’estero, pari al 12,1 per cento), è ancora sotto la media europea (13,7 per cento); la Germania, per confronto, è al 21,9.
Molto si è scritto della distorsione percettiva legata al tema dell’immigrazione (ne ho scritto anch’io qualche anno fa): l’amplificazione del tema nella polemica politica, riflessa soprattutto sui mezzi di comunicazione e in particolare sui social media, produce un allarme in qualche misura “artificiale”, che in Italia per di più si giova di una scarsissima conoscenza dei “numeri veri” nei campi più diversi, dalla salute a fenomeni sociali come, appunto, l’immigrazione.
I dati Eurobarometro autorizzano però anche una lettura più pacata: i cittadini europei – e quelli italiani – sono preoccupati dei flussi migratori (tanto più preoccupati quanto più tali flussi sono intensi) e chiedono ai loro governi, nazionali e comunitario, di occuparsene. È difficile dar loro torto.
Sempre i dati Eurobarometro spiegano anche, almeno in parte, perché la questione immigrazione venga usata dagli “imprenditori politici della paura”. Si vede cioè, guardando alle caratteristiche sociodemografiche degli intervistati, che il timore dell’immigrazione non è diffuso in maniera uniforme: è più elevato negli uomini rispetto alle donne, negli anziani rispetto ai giovani, fra coloro che hanno un basso livello di istruzione, fra lavoratori autonomi e pensionati, fra coloro che si definiscono come appartenenti alle classi alte e medio-alte; ma, soprattutto, fra coloro che hanno un’immagine negativa dell’Unione Europea (11 per cento per chi ha un’immagine positiva dell’Ue contro 21 per cento per chi ne ha un’immagine negativa nella domanda sul governo nazionale; 22 contro 30 per cento in quella sul livello comunitario). In altre parole, esiste un segmento della popolazione che “teme” il mondo che cambia: ed è a questo segmento che si rivolge (cercando di allargarlo) chi, invece di provare a costruire soluzioni che tengano nel tempo, si preoccupa soltanto di qualche punto percentuale in più alle prossime elezioni.
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