Non è questione della politica assente o non pervenuta. In Italia il vero dramma è che manca una vera cultura civica della famiglia, nonostante le fondamenta della Costituzione. Anche per questo motivo i decisori pubblici riflettono una indifferenza di fondo nel sostenere genitori, figli e il sistema di cura dei nostri anziani. Il sondaggio Eumetra diffuso insieme al Cisf Family Report 2023 – di cui vi diamo conto su Mondo Economico – è impietoso. Il 5 è il voto in media (su scala da 0 a 10) che un campione rappresentativo di famiglie con bambini in età da a 12 anni assegna agli interventi dello Stato in favore della famiglia. Insufficienti e inadeguati. Punto.
La situazione rischia di aggravarsi, anche perché – e gli aggiornamenti della manovra del Governo lo dimostrano per l’ennesima volta – le risorse non ci sono e ciò che viene annunciato trionfalmente come intento strutturale per la famiglia alla fine dell’estate viene puntualmente disatteso. Perché accade questo? Perché – date le previsioni demografiche che ormai ben conosciamo – la classe dirigente politica non fa tendenzialmente nulla e – soprattutto – non fa nulla di organico e ben orchestrato per minori e anziani? Nel Belpaese s’incrociano ragioni economiche, sociali e culturali. Intanto, le logiche corporative hanno già concesso tutto quello che si poteva concedere, e le coperture finanziarie non ci sono: i numeri dicono questo, le casse sono vuote, inutile promettere se non si agisce di riforme serie.
Va aggiunto che nell’Italia diventata nostro malgrado patria del rovescio da culla del diritto che era, più che la famiglia esiste il familismo, quel familismo amorale endemico e duro da estirpare di cui si è occupata a lungo la sociologia. Di questo si tratta: clientele, il cugino o il figlio da piazzare, con tanti saluti al merito e ai problemi quotidiani di madri e padri, o di nonni, che si trovano così a essere ammortizzatori sociali per figli e nipoti più efficaci dello Stato.
Ci siamo rassegnati? Non sono stati capaci a invertire la rotta i cattolici – o sedicenti tali – della Democrazia Cristiana negli anni ruggenti. Non lo sono stati gli esecutivi del centrosinistra. Non è riuscita nell’operazione in epoca recente, nonostante le ottime intenzioni, il ministro centrista Elena Bonetti. E non lo è, alla fine, il governo di Giorgia Meloni e del ministro Eugenia Maria Roccella, checché ne dicano.
Il problema ulteriore è che siamo vittime di un dibattito polarizzato ed esasperato sulla famiglia. Un paradosso, perché ci si scanna in Parlamento, nei talk show, e sui social. Intanto, il Fisco non riesce a garantire equità alle famiglie; e, beninteso, senza discutere del tipo di legame che le unisce, se religioso, civile, di semplice convivenza, monoparentale oppure omogenitoriale. Il risultato finale è che la “cura” – dei grandi anziani come dei figli – finisce sulla schiena quasi esclusivamente della famiglia privando in questo modo l’Italia di futuro.
Che fare? Il Cisf indica alcune strade. Riduzione del debito pubblico, va da sé; politiche giovanili in cui inserire gli interventi per la natalità, e qui hanno ragione, perché aiuta l’ottica, la visione complessiva. Ma la questione dirimente è cambiare l’assetto con cui i policy makers devono guardare al momento delle riforme e dei provvedimenti. La famiglia, da “invisibile” (e quindi destinataria di interventi sporadici e maldestri) deve diventare il baricentro di modelli family-centered e policies intersettoriali. Perché è questa l’unica postura con cui si può pensare di cambiare la cultura civica del nostro Paese. Chiudendo i capitoli vecchi e stantii che finora non hanno portato da nessuna parte.
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