Stiamo entrando in emergenza demografica. Il 2020 sarà a lungo ricordato come un annus horribilis: le due ondate epidemiche di febbraio-maggio e settembre-dicembre hanno provocato in Italia almeno un 10% di decessi in più rispetto a quelli attesi alla luce delle condizioni tendenziali di sopravvivenza, con una riduzione della speranza di vita alla nascita che si presume compresa tra uno e due anni. Nelle province più colpite, come Cremona e Bergamo, la riduzione potrebbe risultare superiore ai cinque anni. Anche sul versante della mobilità, l’impatto del Covid-19 è stato fortissimo: mobilità interna e migrazioni internazionali si sono drasticamente ridotte, con una serie di effetti collaterali che vanno da una profonda crisi del trasporto aereo, paragonabile a quella post 11 settembre, alla drammatica contrazione delle rimesse verso i paesi più poveri.

Il crollo delle nascite

Da un punto di vista demografico occorre tuttavia riconoscere che l’effetto forse più gravido di conseguenze sul lungo periodo potrebbe non essersi ancora manifestato: diversi indizi depongono a favore di quella che al momento è solo un’ipotesi fondata, ma che già dai prossimi mesi potrebbe diventare realtà, ossia un’ulteriore diminuzione del già esiguo numero di nascite. Consideriamo alcuni risultati dell’indagine dell’Istituto Toniolo realizzata in collaborazione con Ipsos sui progetti di vita di un campione di 2.000 giovani di età compresa fra i 15 e i 32 anni. Dalle loro risposte traspare chiaramente il peso dell’incertezza dovuta al perdurare della crisi sanitaria ed economica: dei giovani intervistati che all’inizio del 2020 avevano in mente di concepire/avere un figlio, il 37% ha dichiarato ad ottobre 2020 di aver deciso di posticipare il progetto, mentre il 21% lo ha addirittura abbandonato.

Quote simili di rinvii e di rinunce si sono registrate anche per altri progetti di vita, come sposarsi o iniziare una convivenza.

Lo studio rivela che l’elevata propensione a rimandare o persino abbandonare il progetto di avere un figlio nel 2020 non è circoscritta alle categorie più deboli sul mercato del lavoro (precari e disoccupati), ma interessa anche le fasce più tutelate (lavoratori dipendenti). In altre parole, la combinazione di grandi difficoltà quotidiane e di maggiore incertezza sugli orizzonti futuri potrebbe determinare condizioni sfavorevoli alla procreazione indipendentemente dall’effettivo impatto della pandemia sul reddito e sull’occupazione dei potenziali genitori.

Un sondaggio tra i demografi

Nell’attesa dei dati validati dall’Istat sulle nascite dei primi mesi del 2021, ci si interroga sul tema. A novembre 2020 è stato realizzato un sondaggio tra gli studiosi di popolazione per cogliere le loro opinioni sull’evoluzione della fecondità a seguito della pandemia (i risultati sono riportati nell’Appendice I di un Rapporto del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio). Hanno risposto in 75: a prima vista possono sembrare pochi, ma in quel campione è racchiusa la quasi totalità dei demografi italiani.

Tre quarti dei rispondenti sono dell’opinione che nel 2020 vi sia stata una sensibile riduzione dei concepimenti; solo il 5% sposa l’idea – seducente dal punto di vista mediatico, ma nei fatti poco probabile – di un baby boom indotto dal lockdown. Di conseguenza, il consenso della maggioranza si concentra sulla previsione di un numero decisamente modesto di nascite nel 2021: potrebbero attestarsi a quota 393mila, incluse le nascite di bambini stranieri in Italia. Decisamente meno non solo rispetto alle generazioni degli anni sessanta e settanta – formate da oltre 900mila persone – ma anche alle generazioni che attualmente frequentano le scuole – comprese tra 500mila e 600mila persone.

Tra pochi mesi le congetture lasceranno il posto alla lettura della realtà e alla discussione delle conseguenti decisioni politiche.

Sapremo dunque se il Covid-19 avrà effettivamente dato un altro giro di vite alla denatalità italiana, restringendo ulteriormente la base sulla quale possiamo costruire il capitale umano del futuro. In tal caso, la questione potrà destare l’attenzione di un Paese che non ha mai mostrato particolare inquietudine per la propria salute demografica.

Fare in modo che il rinvio da parte delle giovani coppie non si traduca in rinuncia definitiva diventerà probabilmente un obiettivo più esplicito per le misure adottate dal Family Act nonché per quelle finanziabili da Next Generation Eu, come l’assegno unico universale per i figli e il potenziamento dei nidi d’infanzia su tutto il territorio nazionale.