I margini di manovra sono stati fin dall’inizio molto stretti per la legge di bilancio che il Governo ha presentato nei giorni scorsi e che il Parlamento dovrebbe approvare con le rituali modifiche entro la fine dell’anno. Molto stretti perché le premesse erano già molto chiare nella direzione della politica economica di quel Governo di Mario Draghi che un’inconsulta alleanza tra 5Stelle, Lega e Forza Italia ha fatto cadere all’inizio dell’estate.

Come ha ben spiegato nei giorni scorsi Mario Deaglio in un video su Mondo economico la direzione era già precisa: interventi per limitare l’impatto negativo del caro energia, revisione delle leggi più costose (come il superbonus), piena attuazione dei programmi del Piano nazionale di ripresa e resilienza mettendo a frutto gli investimenti dell’iniziativa europea Next Generation Eu.

Il paradosso: la continuità difesa da chi era all’opposizione

Il varo di una manovra, sostanzialmente in linea con l’agenda Draghi, è avvenuto tuttavia all’insegna del paradosso. I partiti che facevano parte della maggioranza, in particolare la Lega e Forza Italia, hanno cercato di piantare le loro bandierine anche a costo di scardinare i conti, mentre l’unico partito allora di opposizione, Fratelli d’Italia, è stato quello che ha garantito la maggiore continuità e il più significativo rispetto della compatibilità europee.

Per il nuovo Governo con una maggioranza per la prima volta di destra-centro era tuttavia quasi scontato che andasse alla ricerca di una forte visibilità e di una nuova identità issando le proprie bandiere. Con due strategie comunque differenti: da una parte una maniera tranquilla per segnalare la nuova gestione politica, dall’altra parte una maniera sguaiata proclamando che la pacchia era finita (di volta in volta per gli immigrati, l’Europa, le banche).

Una delle foto simbolo della guerra russa in Ucraina

La forza tranquilla è stata così quella di Giorgia Meloni, impegnata positivamente a rassicurare i mercati, a farsi un punto d’onore il rispetto dei vincoli europei, a mantenere l’Italia saldamente legata alla Nato nell’esplicita condanna dell’aggressione russa all’Ucraina.

La maniera sguaiata è stata quella della Lega di Matteo Salvini, strenuo difensore della linea dura sulle navi delle Ong, anche a costo di creare uno scontro diplomatico, forte sostenitore dell’innalzamento della soglia per i pagamenti in contanti e di quella per l’obbligo di accettare quelli elettronici, instancabile propugnatore di passi in avanti per introdurre la flat tax anche a costo di squilibrare tutto il sistema fiscale.

Targate Lega le misure che proteggono l’evasione fiscale

E non è un caso che proprio le misure che Matteo Salvini ha preteso, condizionando almeno a parole la sua stessa partecipazione al Governo, sono state quelle che hanno suscitato più critiche e perplessità a largo raggio e in particolare dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei conti nelle loro audizioni in Parlamento. E non poteva essere diverso il giudizio di quanti ritengono che le misure adottate vadano nella direzione esattamente opposta alla necessaria lotta all’evasione fiscale.  I giudici contabili hanno infatti sottolineato che non aiutano il contenimento dell’evasione “alcune delle misure della manovra che interrompono un percorso intrapreso per la tracciabilità dei pagamenti, che ampliano l’area dei ricavi soggetti a regime forfettario o che propongono regimi di favore che, se consentono di ottenere un incremento del gettito immediato, ipotecano entrate future”.

 
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Nell’audizione alla Camera, il capo della struttura economica di Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, non ha poi avuto timore a segnalare che «i limiti all’uso del contante, pur non fornendo un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione.  Negli ultimi anni sono emersi studi che suggeriscono che soglie più alte favoriscono l’economia sommersa. E c’è inoltre evidenza che l’uso dei pagamenti elettronici ridurrebbe l’evasione fiscale».

Positivi gli interventi a favore delle famiglie in difficoltà

Nel mirino delle critiche non potevano che esserci la flat tax al 15% per i lavoratori autonomi fino a 85mila euro, l’innalzamento a 5mila euro del tetto ai pagamenti in contanti e a 60 euro quello per poter rifiutare i pagamenti tramite Pos, la rottamazione delle cartelle esattoriali fino a mille euro. Tutte misure che un vecchio maestro avrebbe sottolineato come errori da matita blu, misure che aumentano i privilegi e i pagamenti non tracciabili e che peraltro hanno poco a che fare con il sostegno all’economia, il rilancio degli investimenti, la ricerca di una maggiore equità sociale. Tutti elementi che dovrebbero trovare un punto di forza nell’attuazione, ancora tormentata, del Pnrr con i fondi europei.

La prima riunione del governo di destra-centro guidato da Giorgia Meloni

Sarebbe tuttavia ingeneroso fermarsi alle pur giuste e meritate critiche ad alcuni provvedimenti dimenticando che nella sua complessità la manovra porta con sé anche alcune azioni positive. Vanno in questa direzione gli interventi contro il caro energia, in prosecuzione di quelli varati dal Governo Draghi, il fondo (500 milioni) per aiutare i Comuni nel sostegno alle famiglie in difficoltà, l’aumento delle soglie per l’assegno unico per le famiglie, il taglio del cuneo fiscale per i redditi più bassi, il ripristino del contributo (70 milioni) per le scuole paritarie, il rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

Il ceto medio indifeso contro l’inflazione

Niente di rivoluzionario. I tempi peraltro non lo permetterebbero. Ma almeno è una manovra che non aumenta le tasse anche se non si può dimenticare che la quasi totalità delle misure di sostegno vanno a redditi più bassi. Il ceto medio, soprattutto dipendenti e pensionati che pagano le tasse fino all’ultimo euro, non ha praticamente difese contro un’inflazione che in un anno taglierà del dieci per cento il potere d’acquisto con inevitabili effetti sulla qualità della vita e sulla tenuta dei consumi. Le pensioni più basse saranno rivalutate al 120%, quelle più alte, che sono quelle che hanno alla base maggiori contributi, in modo poco più che simbolico.

È in fondo una manovra che vive di rendita, che sfrutta la spinta di due anni di crescita economica da incorniciare grazie al vento favorevole, fatto di fiducia e di coerenza, del Governo Draghi. Ma i tempi si sono realmente fatti più difficili. E forse sarebbe ora che la politica si renda conto che non si può continuare con la campagna elettorale permanente.

Nelle prime mosse del Governo non si vede quindi, potremmo dire per fortuna, nessuna svolta radicale. Non c’è nemmeno l’ombra di una rivoluzione liberale, resta qualche accenno di tentazione statalista ed emergono alcuni ammiccamenti verso l’evasione fiscale di piccolo cabotaggio. Ci si poteva aspettare di meglio, ma la navigazione può continuare nella speranza di acque meno agitate e di condizioni più favorevoli.