Sul 5G, per dire un tema, abbiamo sentito di tutto negli ultimi tempi. Teoremi complottisti in chiave antiscientifica, allarmismi sulla salute, stupidaggini assortite. E abbiamo anche visto di tutto, compresi gli assalti ad antenne e impianti.
Stiamo vivendo in una inedita Babele, acuita da questi lunghi mesi della crisi pandemica, dove chiunque – nel minestrone della Rete, delle televisioni e dei giornali – si sente in dovere di dire la sua in campo altrui. Medici, monsignori, economisti, casalinghe, dentisti con il braccio di silicone, conduttori di talk-show, influencer, sciamani improvvisati, terrapiattisti e pure Radio Maria. Una sorta di idiozia comunitaria.
Tra urla e segnali
Si urla, pur di apparire. Ci si mette in mostra come no-vax e poi come no-vax pentiti. Si agita il sospetto insulso. Nulla di nuovo, purtroppo. Però qualche segnale positivo c’è. Bisogna registrarlo, coltivarlo, incentivarlo. Ne indico due.
La Commissione Europea ha lanciato il 9 dicembre il Social Economy Action Plan. Bruxelles, in buona sostanza, sta mettendo con convinzione l’economia sociale al centro della rotta per un nuovo paradigma economico. Non si tratta soltanto di valorizzare le migliaia di organizzazioni – tra società benefit, coop, imprese sociali e associazioni – che hanno come obiettivo principale una ricaduta sociale della loro attività. C’è qualcosa di più. Pensiamo al Data governance act, dove s’introducono concetti come il “data altruism” e le “data cooperatives”: a precisare che i dati sono un bene comune e che sui dati non si può scherzare.
Lo “spazio ibrido”
Se tutto questo è un riconoscimento indubbio per l’imprenditorialità sociale, che ha quindi i numeri anche per contribuire eccome alla ripresa, è nello stesso tempo una indicazione forte verso l’impact economy. È quello “spazio ibrido” che in Italia sta crescendo tra terzo settore e profit (di cui ha ragionato in maniera convincente Mario Calderini su Repubblica) e che purtroppo non ha trovato uno spazio nel PNRR. Siamo in arretrato come capacità di visione. Eppure, Next Generation Eu ci pungola a progettare il futuro pensando alle nuove generazioni.
Senza agorà
Siamo arenati in queste secche perché manca un dibattito arricchente che sappia contaminare con intelligenza diverse discipline. Ne ho avuto ulteriore conferma moderando un articolato confronto proprio sulla quinta generazione delle telecomunicazioni alle OGR-tech di Torino. Il tema? «Tecnologie 5G in Europa: cogliere le opportunità ed evitare i rischi di una rivoluzione già iniziata».
L’iniziativa è stata promossa dallo European Liberal Forum (ELF). Si tratta della fondazione politica ufficiale dell’ALDE (Alliance of Liberals and Democrats of Europe), federazione che raggruppa e rappresenta i partiti liberaldemocratici al Parlamento Europeo, affiliata al gruppo parlamentare Renew Europe. È composto da una cinquantina tra fondazioni, think tank e altre organizzazioni di ispirazione liberale provenienti da 25 paesi. Il Centro Einaudi ne fa parte dal 2019.
La sfida è sulla democrazia
L’obiettivo del confronto tra fisici, imprenditori, economisti, sociologi, da dove nasce? «A fianco delle implicazioni tecno-economiche – hanno spiegato gli organizzatori – questa fase della digital transformation sta suscitando in Europa molta attenzione anche per i risvolti geostrategici connessi alla produzione delle tecnologie necessarie, attualmente nelle mani di pochi operatori, così come per le conseguenze sociali che potrebbero derivarne, in termini di ampliamento del digital divide e di polarizzazione politica». Il confronto è stato molto ricco (e al fondo di questo editoriale avete a disposizione la videoregistrazione).
Ecco, impostiamo il futuro non soltanto lavorando per cambiare il “paradigma economico”, rendendolo più “civile”, con una circolarità virtuosa tra business community, istituzioni e società. Ma anche nel modo in cui contribuiamo a costruire una agorà seria, basata sui dati (imprescindibili per conoscere deliberare).
Insomma, se non lo abbiamo capito, è in gioco qualcosa di più grande e di sostanziale: la democrazia. Se i dibattiti e ragionamenti non hanno basi scientifiche e non si nutrono di interdisciplinarità, lì si annida il rischio: sovranismo, egoismi nazionali, miopia politica, diseguaglianze. Vogliamo questo per il futuro dei nostri figli?
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