Sessant'anni fa iniziavano le manifestazioni di Italia 61 a Torino. Cento anni di unità nazionale, una occasione di festa per la città della Mole e non soltanto. A che punto siamo? Mi è venuto in mente il giorno della marmotta. Per due motivi. Il primo è che negli Stati Uniti e in Canada la tradizione vuole che in questa circostanza si può stabilire se l'inverno è alle spalle oppure no osservando il comportamento del roditore. Ma Groundhog Day è anche un film di Harold Ramis, interpretato nel 1992 da Bill Murray e Andie McDowell, con protagonista un meteorologo intrappolato in un ciclo temporale che si ripete.

Talvolta è così, osservando le vicende del Belpaese, a conferma che la storia - spesso e volentieri - non è maestra di vita. Mi è capitato tra mano uno scritto di Carlo Casalegno proprio del 1961, riportato dal notiziario del Comitato nazionale di Italia 61, intitolato «Realizzata un'altra volta l'unità d'Italia a Torino». Casalegno, che sarebbe diventato nel 1968 vicedirettore di Arrigo Levi al quotidiano La Stampa, verrà poi assassinato dalle Brigate Rosse nel 1977, primo giornalista a cadere negli anni di piombo. Ebbene, quella sua riflessione rivelava l'effervescenza del boom economico in corso e l'orgoglio della democrazia ritrovata dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Era questo il clima, ma con due temi che ritornano ancora oggi.

Gli immigrati. «Anche questa volta - scriveva Carlo Casalegno ricordando gli esuli che ripararono in città a metà Ottocento - l'inserimento dei nuovi cittadini suscita contrasti, polemiche, malumori. È naturale che i vecchi torinesi (per esempio l'autore di questa nota) già pensino con nostalgia alla città di trent'anni or sono, più "piemontese", e temano la scomparsa di un certo costume, di un certo stile... A quanti di noi accade di indugiare con malinconica tenerezza su memorie e impressioni dell'infanzia, o di aggrapparsi alla speranza che una certa atmosfera torinese sopravviva almeno in qualche strada, in qualche quartiere? Eppure tutti sappiamo che questa immigrazione massiccia è una condizione essenziale per il progresso della città, è un fenomeno giusto e "sano", è un titolo di nobiltà per la vecchia capitale piemontese».

La speranza. «Si sta realizzando un'altra volta, a Torino, l'unità d'Italia - sono ancora parole di Carlo Casalegno -: non più attraverso la collaborazione di forze politiche (e in prevalenza borghesi) delle varie regioni, ma per il confluire delle forse di lavoro di ogni provenienza in un unico slancio produttivo. Il Risorgimento, mirabile costruzione politica, aveva lasciato non risolti tanti problemi sociali: essi stanno avviandosi ora a soluzione, anche e particolarmente con questo afflusso di lavoratori verso la nostra città. Ecco perché diciamo che il 1961 è non soltanto per motivi storici, ma per ragioni di concreta attualità, l'anno di Torino».

La nota di Carlo Casalegno
La nota di Carlo Casalegno

L'articolo di Carlo Casalegno pubblicato sul notiziario di Italia 61

Il giorno della marmotta - e della sua trappola temporale - dipende da noi.

A rileggere Casalegno c'è da vergognarsi un po' per ciò che più generazioni non hanno saputo costruire in questi anni. Ma può essere ancora adesso, anche in onore alla sua memoria, un pungolo. L'ultimo, forte, slancio progettuale di Torino - e dell'Italia, diciamolo - si è esaurito per inerzia proprio nel 2011, guarda caso con le celebrazioni per i 150 anni di unità nazionale. Eravamo nella morsa dura della crisi mondiale innescata dai subprime americani. Adesso siamo in uno spartiacque decisivo, di vera e propria rifondazione: pandemia, Next Generation Eu, riforme. Torino non è più la città monoculturale fordista, ripiegata attorno alla Fiat: sta diventando policentrica, ha saperi e risorse da mettere con intelligenza a sistema, scegliendo (speriamo, con un sussulto) se rilanciarsi in una dimensione europea competitiva o rannicchiarsi come pensionata dall'età media elevata. Vale per la città della Mole, vale per il Belpaese.

Sì, il giorno della marmotta dipende molto da noi. A tutti i livelli. La discriminante si chiama corresponsabilità civica. È l'intelligenza concreta (non solo artificiale) di mettere definitivamente al bando la mediocrità. Per poter poi parlare di Italia 2021.