La campanella ha suonato a Palazzo Chigi domenica 23 ottobre. Il governo Meloni, il primo a guida femminile nella storia repubblicana, si è insediato. La ricreazione è finita, per tutti. C'è da lavorare sodo per il bene dell'Italia e perché la strada è molto in salita. Sarà difficile per l'Esecutivo e per la maggioranza uscita dalle urne lo scorso 25 settembre; lo sarà per le opposizioni.
La sfida è durissima
C'è la legge di bilancio che incombe in tempi strettisssimi; entreremo in recessione tecnica; l'inflazione - peraltro esogena all'economia - non mollerà la presa; la povertà cresce (anche se qualcuno, nella passata legislatura, sosteneva di averla debellata); e il Covid resta pericolosamente in agguato. Non solo. C'è il fiume di denaro del PNRR da convogliare bene e in maniera efficace. Sullo scacchiere geopolitico, poi, con guerra in Ucraina e il problema dell'energia (per quanto Mario Draghi abbia lasciato una buona eredità) si dovrà misurare la capacità di tenuta e coesione dell'Europa.
Tutti capitoli noti. Vedremo. Bisognerà osservare l'azione complessiva del governo alla prova dei fatti, senza pregiudizi. Anche sull'innovazione e sulla transizione digitale: adesso che non c'è più un ministero apposito diventrà un'attenzione trasversale oppure si tratta di una grave disattenzione?
Comunque sia, inutile strepitare in anticipo. Conteranno numeri, provvedimenti, salvaguardia dei diritti civili, riforme, la capacità di rendicontare. E, da subito, la postura che assumeremo a livello internazionale.
Il destra centro, cui spetta il diritto-dovere di governare, è sotto la lente per come farà i conti - culturalmente, e non solo - con il passato di sapore fascista. E deve muoversi con attenzione come coalizione. Intanto, per garantire stabilità e continuità durante la legislatura: i più attenti osservatori, considerando come sono stati "sfilati" dei senatori per farli diventari ministri (circostanza che potrebbe aumentare il numero anche con viceministri e sottosegretari), prevedono già colpi di scena in Parlamento, specie nel ramo dove la maggioranza è meno netta.
Mi è parso molto suggestivo il paragone di Berlusconi blindato come Hannibal Lecter alle consultazioni con Mattarella perché non combinasse uno dei suoi numeri a sorpresa. Però, signori, siamo seri: non venite più a raccontarci delle "dichiarazioni fuori contesto", perché le bugie hanno le gambe cortissime. Piuttosto, requisite i cellulari ai vostri incontri oppure trovate un modo garbato per leggere all'anziana creatura di Arcore il libro del Qoelet: c'è un tempo per ogni cosa nella vita. Rispetto per i vegliardi, insomma, ma spazio ai giovani e divieto nei palazzi romani per gli spettacoli circensi.
L'opposizione vera
Strada in salita anche per i perdenti. Non si alleano neppure lì, all'opposizione, che infatti adesso tutti chiamiamo al plurale: le opposizioni. Sveglia, ma pensate che basti - per quanto importante - dire che sarete «intransigenti»? Il Pd rissoso e dal pallore cadaverico è al lumicino e deve rigenerarsi dalle fondamenta. I 5Stelle baldanzosi, ormai orfani da tempo della meteora Di Maio, tentano di guadagnare spazio con l'avvocato del popolo. Il Terzo Polo, il quale resta una opzione interessante da coltivare per il futuro, deve dimostrare che Calenda e Renzi fanno sul serio e mettono da parte i pavoneggiamenti. C'è solo da auspicare una opposizione solida e molto propositiva per il bene della democrazia. E che però dovrebbe combattere l'astensionismo - questa sì che è opposizione pregiata -, proponendo una legge elettorale degna di questo nome e favorendo il germogliare di un nuovo innamoramento per il bene comune, cioè la politica vera (insieme anche ai vincenti). In particolare, convincendo le nuove generazioni con autorevolezza e senza mettersi a fare i cretini su TikTok.
La sobrietà del linguaggio
La ricreazione è finita. Dunque, stop alla campagna elettorale continua. Serve una moratoria per affermare cose serie, in particolare sui social media. Da parte di tutti, beninteso. Sorvegliato speciale il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Ha twittato che è al lavoro per l'Italia. Benissimo, lo dimostri. Con un apparato digital che sia al servizio del Paese e non suo, tanto per cominciare. Senza fake news e stupidaggini assortite. Si prodighi "da bestia" affinché strade, autostrade, tunnel, diventino volani per l'economia. Stia lontano dai porti (anche se temo che l'invito cadrà nel vuoto). Per il ponte sullo Stretto di Messina c'è tempo più avanti. Pochi annunci, molta concretezza.
La natalità e il merito
Non amo le posizioni assunte negli anni dal nuovo ministro della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella. E non solo perché è stata portavoce del contestatissimo Family Day a Verona nel 2019. Valuteremo sui fatti (Elena Bonetti, che l'ha preceduta, è stato un buon ministro, e c'è il Family Act da attuare e implementare). Ci indigneremo, se il caso, al momento opportuno se toccherà alcuni diritti civili faticosamente conquistati. Ma non deridiamo il termine "natalità". L'inverno demografico è già iniziato e stiamo diventando un Paese di vecchi: bisogna fare in modo che le giovani coppie possano procreare senza scivolare nel baratro della povertà (come oggi si rischia).
Una nota sul merito, che accompagna adesso la definizione del ministero dell'Istruzione. Un economista che stimo molto, come Luigino Bruni, è da sempre (in questi giorni ancora di più) in trincea per sostenere che «la meritocrazia è il principale tentativo di legittimazione etica della diseguaglianza». Lo ha scritto su Avvenire. Io sono d'accordo sul fatto che dobbiamo impegnarci per una scuola inclusiva, che dia opportunità a tutti: i talenti sono un dono e non un merito. Ma devi avere qualcuno che ti aiuti a fare fruttare al meglio ciò che hai, non a sotterrarlo. E lo può fare un sistema scolastico dove il merito e la valutazione vanno imposti in prima battuta agli insegnanti. Alcuni sono eroi, per la passione che mettono e per come sanno organizzarsi in provertà di risorse. Altri sono in catteda perché non hanno trovato altro, sono svogliati e detestano i ragazzi. I genitori sanno bene quanto un insegnante "sbagliato" possa incidere negativamente su una personalità in formazione. E non è pensabile che le carriere degli insegnanti - retaggio sovietico di un sindacato miope e fuori dal tempo - siano basate soltanto sulla anzianità anagrafica.
La sovranità alimentare
C'è un po' di retorica patriottica che serpeggia. Ed è l'elemento che fa spellare le mani a Marie Le Pen e a Viktor Orbán. Vedremo anche qui alla prova dei fatti. Però, almeno, documentiamoci: la sovranità alimentare non ha nulla a che vedere con reminiscenze del Ventennio. Ha detto bene il neo ministro Lollobrigida: non è un concetto fascista. Ha tutt'altro respiro, è adottato in Francia, riguarda la sostenibilità.
Ecco, la ricreazione è finita. Soprattutto per l'Italia. Desideriamo che i decisori pubblici, ai diversi livelli di responsabilità, ne siano pienamente consapevoli. È pretendere troppo?
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