Caro direttore,
Hai perfettamente ragione quando affermi che il grande problema delle prossime elezioni è un astensionismo che “va combattuto porta a porta”. Hai ragione non soltanto perché una democrazia non può che progressivamente indebolirsi se quasi la metà dei cittadini si disinteressa del proprio destino, ma soprattutto perché si apre la strada alla convinzione che il voto sia sostanzialmente inutile tanto poi a decidere sono quei pochi capipartito che riescono ad avere un impatto mediatico in quest’epoca degli slogan e dello spettacolo.
Alzare lo sguardo sulla realtà del paese
La democrazia in fondo si regge sul filo di un paradosso. In apparenza il mio così come il tuo voto, così come quello di tutti gli altri cittadini-elettori, non conta nulla. Un singolo voto non sposta gli equilibri politici, non contribuisce ad eleggere un candidato piuttosto che un altro, non fa pendere il consenso tra un partito politico e un altro.
Tutto vero se si guarda alla realtà politica dal basso. Ma se cambiamo prospettiva e alziamo lo sguardo ai nostri paesi, alle nostre città, ai bisogni e alle scelte delle donne e degli uomini delle nostre comunità, allora possiamo riflettere sul fatto che se nessuno andasse a votare tornerebbe in vigore la legge del più forte, si sgretolerebbe quello Stato fondato sul diritto che millenni di storia hanno contribuito a costruire.
Difendere la democrazia dagli “asini raglianti”
La nostra democrazia ha certamente tanti difetti, ma non c’è bisogno di scomodare Churchill per affermare che tutti gli altri sistemi politici sono peggio. E i difetti si possono ridurre e superare se si affermano e si difendono le logiche della responsabilità, della competenza, dei valori sociali. E invece?
E invece, come sottolineava nel 2005 un grande politologo come Giovanni Sartori, «la democrazia doveva essere una ideocrazia e come tale, deve essere capita. Invece è sempre più una repubblica di asini raglianti. E una democrazia spiegata e guidata da asini raglianti non può funzionare. Per ora – concludeva – siamo salvati dal principio di legittimità. Ma fino a quando?».
La pericolosa illusione della democrazia immediata
In effetti il panorama della politica attuale è quanto di più disarmante si possa prospettare. La congiura di palazzo promossa dai Cinque stelle e subito avvallata da Lega e Forza Italia ha costretto alle dimissioni il Governo più autorevole della recente storia repubblicana. Con una strategia che è apparsa determinata dall’irruzione di un nuovo protagonista delle scelte politiche: il sondaggio.
Le indagini sociologiche hanno preso il posto dei corpi intermedi, la ricerca del consenso ha occupato gli spazi riservati alla responsabilità. Con la sottile e pericolosa pretesa di costruire quella “democrazia immediata” teorizzata da Maurice Duverger negli anni ’70 del secolo scorso e non a caso ripresa nelle analisi di Gianfranco Miglio e che è ritornata in primo piano nei suoi aspetti più preoccupanti con le ipotesi altrettanto velleitarie quanto vaghe di presidenzialismo.
I valori della rappresentanza e della competenza
In questa prospettiva astenersi dal voto vuol dire lasciare spazio alle logiche di una politica concepita come gestione del potere piuttosto che come servizio al bene comune.
Andare a votare, e se possibile votare bene, vuol dire cercare di raccoglie i cocci e ricompattare dal basso quelle virtù della rappresentanza e della competenza che i partiti politici, liquidi come la società che rappresentano, faticano a riconquistare.
Votare quindi, caro direttore, ma anche e soprattutto votare bene. Non si può e non si deve votare “contro”. Si può e si deve votare “per”.
La politica deve tornare ad essere una cosa seria
Non si può votare per chi all’inizio della scorsa legislatura prometteva di non allearsi con nessuno e poi si è alleato con tutti. Non si può votare per chi considera il lavoro una maledizione che si deve poter abbandonare al più presto. Non si può votare per chi promette di distribuire soldi che non ci sono, aumentando un debito che è già una palla al piede per la nostra crescita. Non si può votare per chi vuole buttare sabbia sugli ingranaggi di un cammino europeo che è fondamentale per il futuro dell’Italia.
Certo, in questa prospettiva la scelta è quanto mai ristretta. E peraltro ugualmente con molte zone d’ombra. Ma votare “per” costruire una democrazia più solida è ancora possibile.
E, comunque, non votare vorrebbe dire non contestare, ma assecondare i lati peggiori della politica.
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