Basta guardare a quel che l'1 novembre è accaduto al titolo Telecom Italia in Borsa. Il +5,15% di chiusura arriva all'indomani della nomina da parte del Governo Meloni dei 31 sottosegretari, di cui 8 viceministri con delega. Il senatore Alessio Butti (coordinatore di Fratelli d'Italia per le strategie sulle telecomunicazioni) è stato nominato Sottosegretario dell'Innovazione tecnologica alla Presidenza del consiglio, subentrando di fatto a Vittorio Colao, ex ministro dell'Innovazione. 

Con la nomina di Butti, peraltro largamente attesa dopo la formazione del nuovo Governo, potrebbe tornare in auge il progetto Minerva (di cui Butti è stato il principale promotore durante la campagna elettorale) qualora da qui a fine novembre non si dovesse raggiungere un accordo per l'acquisizione di NetCo (la società con all'interno rete primaria e secondaria di Tim oltre a Sparkle) da parte di Cdp e Macquarie (gli azionisti di Open Fiber con Cdp in posizione di pivot). Il progetto – che peraltro si pone in antitesi rispetto al piano che attualmente vede impegnata come detto Cdp per portare la rete Tim in seno a Open Fiber - prevede il mantenimento della rete in capo a Tim, che come detto anche dalla premier Giorgia Meloni in Parlamento dovrà «rimanere pubblica».

Il tutto potrebbe passare da un'opa di Cdp su Tim, vendendo poi la parte servizi. Ma c'è anche la possibilità della vendita di una quota di minoranza della rete. Magari a fondi come Kkr che sul dossier sono da tempo (un anno fa si era ventilata un'Opa da 0,505 euro ad azione: valori ben lontani dagli 0,21 euro di oggi)

La banda larga

Va detto che sulle deleghe per le Tlc la sfida è aperta con il ministero delle Imprese e del Made in Italy (eredità del Mise). Il mercato sente comunque aria di stabilizzazione per l'ex incumbent delle Tlc. Che da qui a fine anno dovrebbe arrivare a capire (buona parte) del suo destino. 

Si tratta della partita più immediata e visibile. Forse la più spinosa. Non l'unica però che il Governo Meloni dovrà giocare sui temi del digitale. Il 27% dei fondi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è destinato al digitale nelle sue varie articolazioni. Sul tavolo ci sono però partite delicatissime da gestire. Il piano banda larga in toto per esempio, con la necessità di rispettare la scadenza del 2026 per il completamento della copertura del territorio e della popolazione con le reti ad altissima capacità. C'è poi tutta l'azione che riguarda il Psn: il cloud nazionale dove far confluire i dati delle pubbliche amministrazioni che da ottobre vede alla guida l'ex ad di Ericsson Italia Emanuele Iannetti.

La società di scopo partecipata da Tim (45%), Leonardo (25%), Cdp (20%) e Sogei (10%) c'è. Ma il progetto ha bisogno di un sostegno politico reso evidente innanzitutto dagli obiettivi. A regime, il polo dovrà portare il 75% delle amministrazioni italiane a utilizzare i servizi cloud entro il 2026.

Spid e cybersecurity

Ci sono poi i capitoli di Spid e cittadinanza digitale o anche dalla cybersecurity. Il giudizio di analisti e osservatori è sospeso: l'aver detto addio al ministero guidato prima da Paola Pisano e poi da Vittorio Colao è un punto di forza o di debolezza? Il committment deve essere forte ma dall'altra parte la trasversalità degli interventi non confligge affatto con un'azione in seno alla presidenza del Consiglio come in questo caso con la nomina del sottosegretario Butti.

Con una certezza: si tratta di una sfida chiave per il sistema Paese. In anni decisivi per trascinare l'Italia fuori dai Paesi che sul digitale rincorrono il gruppo di testa nella Ue.