Ogni epoca ha le sue sfide. L’epoca che viviamo – indicativamente dal termine del primo decennio di questo secolo – risulta marcatamente segnata dalla diffusa consapevolezza, di fatto globale, del concetto di sostenibilità, seppure già emerso dagli anni ‘70: è una sostenibilità non solo ambientale, ma anche energetica, di sfruttamento del suolo, di sicurezza (si pensi agli incidenti, soprattutto stradali, quale prima causa di decesso sotto i quarant’anni in varie nazioni del mondo), d’intensità di mobilità sia pro-capite sia complessiva quotidiana (passeggeri per chilometri percorsi ogni anno oppure flussi veicolari/anno), d’impiego delle risorse della terra in generale.

Pertanto - pur in mezzo a varie contraddizioni (sprechi vs. parsimonia o povertà; una guerra sterminante e climaticamente impattante in Europa vs. obiettivi di contenimento dei singoli decessi sulle strade ed obiettivi climatici basati sulle unità percentuali di emissioni; soluzioni commercialmente interessanti ma non parimenti efficienti), il Mondo occidentale sta tentando di indirizzarsi in modo sostanziale - ed anche tecnicamente e giuridicamente formalizzato - verso una maggiore sostenibilità: in gioco c’è la “salute” della terra e dei suoi abitanti.

Approdando ad un livello più continentale e dei temi che coinvolgono i Trasporti, l’UE negli anni ‘80 e ‘90 ha scelto di darsi, con già in pectore vene di sostenibilità, un’ossatura per la mobilità e la logistica – i.e. una rete di primo livello - consona al proprio territorio, compatibile con numerose città medio-grandi, molte metropoli, rare megalopoli: un continente, peraltro, che poggia molto sulla terra ferma e su città storiche. Tale rete è stata notoriamente denominata TEN-T e la sua spina dorsale è proprio quella ferroviaria.

Osservando, tecnicamente, i consumi specifici delle alterative modali di trasporto si trovano in vetta, in termini di efficienza, gli impianti a fune, evidentemente però con impieghi dell’ordine delle centinaia di metri o alcuni chilometri; subito a seguire le ferrovie (circa 0.04÷0.09 kWh/pass·km e 0.03÷0.1 kWh/t·km[1]), con le quali il trasporto aereo inizia ad essere energeticamente competitivo sopra i gli 800-1000 km. Anche nelle analisi di sicurezza (incidenti a persone rapportati al flusso di traffico della modalità di trasporto), nelle posizioni di testa nel mondo, il trasporto aereo e ferroviario si contendono lo scettro.

Il confronto
Il confronto
Fonte: elaborazione Mondo Economico su dati «Detr Research»

Il trasporto ferroviario di passeggeri e merci ha tuttavia un vantaggio in più, oltre a quello energetico, di emissioni inquinanti locali trascurabili nonché di elevata sicurezza, nella mobilità delle persone: la facoltà di usare il proprio tempo di spostamento. Su questo fronte, assai moderno, della comunicazione con spostamento integrata con quella che non richiede mobilità, la ferrovia ha ben pochi contendenti, specie sulle distanze dell’ordine delle centinaia di chilometri. La sua vera alternativa è non spostarsi. Questo è il vero quesito, se l’obiettivo di sostenibilità energetica divenisse assolutamente predominante.

Una velocità sostenibile

Con l’arrivo del Covid abbiamo visto esplodere le comunicazioni senza spostamento ed abbiamo dovuto prendere atto del fatto che la tecnologia ci consente oggi parzialmente una vita sedentaria: tele-acquisti, tele-diagnosi, tele-conferenze e, talvolta, tele-produzione. Ma si può pensare ad un mondo così? Sedentario? È questo il prezzo estremo della sostenibilità? Invero la presenza fisica è evidentemente insostituibile pur dovendo integrarsi con le (tele)comunicazioni: se mettiamo quindi in discussione la scelta europea di una rete di rilievo continentale, la ferrovia è senz’altro la scelta giusta. L’Hyperloop  – proposto di recente per le merci dopo una prima ipotesi per il trasporto dei passeggeri - non può esserlo, se non altro perché richiederebbe una infrastruttura ex-novo e questo rappresenta nei fatti un problema di sostenibilità territoriale, di interoperabilità delle reti, oltre che per il cospicuo consumo energetico in esercizio.

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La rete ferroviaria, sia convenzionale sia ad alta velocità, rappresenta senz’altro un buon connubio tra la necessità di spostarsi e di comunicare ovvero usare il proprio tempo, di contenere traffico ed emissioni stradali di veicoli per persone e merci, nonché impareggiabile su scala continentale in termini di velocità elevata ma accettabile, di sicurezza, di uso del suolo, di uso di energia, di emissioni locali.

Se l’oggetto della discussione è quindi la singola linea della rete, come la nuova Torino-Lione, dubbi irrisolti non ve ne sono.  

Merci su ferrovia o su ferrovia ad alta velocità?

Spostando l’obiettivo sul solo trasporto delle merci, ci riproponiamo il quesito: sono le ferrovie a dover maggiormente spostare le merci nel futuro? Al merito, occorre richiamare un doppio concetto chiave dei trasporti:

  1. la quantità di domanda è funzione dell’offerta, se esiste naturalmente una domanda potenziale;
  2. i trasporti si effettuano in genere dove l’impedenza è minore, così come accade per l’acqua e per l’energia elettrica (che prendono la via della minore resistenza).

Con questi due concetti è presto spiegato che la merce va prevalentemente verso gli archi della rete a più bassa resistenza (valichi di Ventimiglia, Lötschberg, San Gottardo, un domani il Brennero)  e prevalentemente su strada perché la nostra società ha investito (offerta) sul grande business del trasporto stradale dagli anni ‘50 in poi e quasi per nulla sulla ferrovia, avendo carri merci o vagoni uguali (fisicamente i medesimi ) di 40-50-60 ed anche 70 anni fa.

L’impedenza è minore su strada laddove flessibilità e presa/consegna finale non sono agevolati dalla ferrovia.

Oggigiorno, a parte casi saltuari, il salto per i treni merci - non la ferrovia, attenzione – al fine di renderli competitivi è molto grande, ma tecnologicamente già a lungo sperimentato per i treni passeggeri.

Nell’offerta di trasporto ferroviario della seconda metà del Novecento e primo ventennio del XXI secolo, quella delle merci – tranne alcune eccezioni - è sovente rimasta infatti inalterata: carri in solo acciaio, come quelli di circa 70 anni fa, molti dei quali in circolazione con 30-40 anni di esercizio cumulato.

 

I carri merci degli anni 50 del secolo scorso sono non di rado esattamente i medesimi dei giorni nostri.

Il trasporto ferroviario delle merci ha inevitabilmente perso a mano a mano, nei decenni passati, quote importanti di traffico nei confronti di quello stradale; questo è essenzialmente attribuibile a due motivi:

  1. è venuto a mancare il trasporto di materiali pesanti, vale a dire quel genere di traffico che ha accompagnato l’epoca delle grandi urbanizzazioni e dello sviluppo degli stabilimenti industriali nonché delle infrastrutture autostradali (anni ‘50-‘80);
  2. non si è avuto quel rinnovo del materiale rotabile finalizzato a consentire il trasporto di quelle merci che richiedono una temperatura controllata, quelle refrigerate e tutti quei prodotti per i quali è richiesta una minima verifica di parametri fisico-chimici durante lo spostamento, anche se non propriamente deperibili; i veicoli per trasporto stradale si sono invece grandemente e gradatamente trasformati negli ultimi decenni. 

Questo genere di traffico, che richiede controllo termico su ferrovia, può essere oggi soddisfatto solo con soluzioni particolari che si avvalgono di carri con gruppi elettrogeni o con casse coibentate, tuttavia sempre con soluzioni peculiari e, talvolta, adatte solamente a percorsi sufficientemente brevi in modo da non compromettere l’autonomia del gruppo termico e la capacità adiabatica delle casse coibentate o refrigerate.

Per attrarre merci su ferrovia non è sufficiente avere l’infrastruttura: la capacità di attrarre traffico merci in campo ferroviario può essere ottenuta oggi con l’impiego di treni merci - anche da 35 carri, 750 m - a trazione multipla, potenza distribuita, con singoli gruppi di carri elettrificati, per garantire anche il trasporto di merce a temperatura controllata e con il comando elettrico di frenatura, sempre pneumatica, sul singolo carro. Ma ci vorrà pazienza per creare questa diversione modale che asseconda la sostenibilità.

L’allungamento dei treni a 750 m e un innalzamento delle masse complessive fino ed oltre 2000 t è una richiesta europea finalizzata prevalentemente alla riduzione dei costi unitari, a condizione - beninteso - di riempire il treno.  I treni lunghi, con l’elettrificazione lungo il convoglio, in virtù della possibilità di ampliare fortemente il bacino di merci acquisibili permettono evidentemente la riduzione dei costi unitari di trasporto: semplificando, di 35/20 (o ridotti a 0.57), se si considera il rapporto tra i carri sui quali i costi vengono distribuiti.

Tuttavia realizzare un treno pesante (1600-2500 t) con i carri e locomotive attuali genera e sfida altri problemi (non ci hanno pensato in UE?): la ripartenza da fermo in salita, l’elevata potenza necessaria, la trazione multipla delle locomotive non effettuabile in telecomando, possibili rottura del gancio di testa, il surriscaldamento dei freni nelle discese presenti sulla rete ferroviaria convenzionale. 

I treni lunghi e pesanti richiesti dall’UE possono comportare potenze non disponibili in trazione semplice o doppia, surriscaldamento dei freni in discesa, perdita di aderenza nella ripartenza da fermo, rottura dei ganci di testa (qui sopra, un esempio di rilevazione temperature con telecamera termica).
Il salto tecnologico qui suggerito permette in sostanza di comporre anche treni lunghi, aventi velocità sostenute (140- 160 km/h, non oltre) senza problemi di potenze concentrate eccessive - come accadrebbe nel caso di ricorso ad una o due locomotive tradizionali - e presumibilmente incompatibili con la tripla trazione; la potenza viene infatti distribuita lungo il treno, così come avviene negli ETR (elettrotreni) per il trasporto passeggeri da circa quarant’anni.

I tempi di ricarica di un serbatoio ad aria compressa - per la frenatura - risultano nettamente inferiori; i carri risultano diagnosticabili (assili, boccole, impianti frenanti) singolarmente a distanza, in quanto dotati di sensori connessi ad una rete elettrica e di comunicazione di bordo, requisito irrinunciabile nel momento in cui tali treni utilizzano linee per alta velocità/alta capacità o AV/AC (così come promesso per la nuova ferrovia Torino-Lione).

Si ricorda che in Francia il limite di carico per le linee ad alta velocità è di 17.5 t/asse e l’uso delle linee è per i treni passeggeri; distribuire potenza implica contenere il massimo carico per asse, altrimenti molto concentrato oggi sulle locomotive di trazione (che arrivano a 22.5 t/asse).

Infine la merce risulta sia conservabile (per alimentari e non) sia monitorabile, specie in percorsi molto lunghi.

Risulta spontaneo pensare, nell’epoca attuale, ad ETR merci i cui carri siano comunque a pianale, come quelli esistenti per il trasporto intermodale (non come l’esperienza, sospesa nel dicembre 2022, di Mercitalia Fast), quindi adatti ad ospitare qualunque unità di trasporto intermodale (UTI) da poter trasbordare sia presso terminal per il trasporto combinato strada-rotaia, sia presso terminal con funzione gateway, eventualmente coincidenti con i precedenti.

Nei terminal, dove la trazione mediante assorbimento di energia elettrica dalla catenaria risulta difficoltosa a causa dell’interferenza con le gru e mezzi di movimentazione delle UTI, si può sfruttare un sistema di bi-modale di trazione, equipaggiando il treno anche con motori di nuova generazione, con combustibili alternativi ai fossili (es. idrogeno), ed eventualmente un accumulatore (batteria). Ciò permette di evitare il cambio di trazione e di mantenere la merce alla temperatura controllata per un certo tempo, fino al trasbordo. Ma esistono questi treni? No.

 

I treni a potenza distribuita (ETR) sono notoriamente impiegati per servizi passeggeri in quanto consentono di raggiungere alte velocità, recuperare energia in fase di frenatura ed incrementare in generale le prestazioni del materiale rotabile. Per le merci presumibilmente tutto questo li renderebbe troppo onerosi rispetto al mercato attuale: si possono intravedere quattro strade, anche in parte accomunabili: il Green Deal, gli operatori dell’e-commerce, i detentori di carri che poi li noleggiano alle imprese ferroviarie e le grandi compagnie di navigazione, per integrare la catena logica verso l’entroterra con servizi ferroviari competitivi ed al passo con i tempi. Occorre tenere presente che, per le linee non ad AV, un investimento su un siffatto materiale rotabile evita di contenere l’investimento in ammodernamento delle infrastrutture.

Le operazioni di costruzione, adeguamento e miglioramento delle infrastrutture avallate dal gestore dell’infrastruttura ferroviaria devono pertanto procedere di pari passo con l’evoluzione tecnologica del materiale rotabile.

Il treno merci tele-diagnosticabile ed a potenza distribuita sarà a questo punto di fondamentale importanza per il trasporto intermodale, intercettando la domanda generata nei porti, interporti e nei grossi poli industriali nonché della logistica, eventualmente in fase inziale come treno shuttle, a composizione bloccata. I vantaggi possono essere riscontrabili nell’acquisizione di un bacino potenziale di traffico, a stima, tre volte superiore a quello attuale, nella risposta a trasferimenti di prodotti più rapidi e non solo per il commercio elettronico, nelle prestazioni in fase di trazione e frenata, nel possibile utilizzo sui corridoi TEN-T, nella possibilità di tele-diagnosi e l’incremento del convoglio sino a 750 m ed oltre 2000 t, in linea con quanto previsto all’UE. Le tracce utilizzabili saranno verosimilmente quelle serali, prima della fascia di manutenzione notturna delle linee.

I danni e disagi dei territori attraversati

In tutto questo, è evidente a chiunque che un territorio attraversato (come la Val di Susa, nel caso della linea Torino-Lione) subisce solo dei danni se diviene un semplice bypass di una rete che unisce nodi non compresi nel bacino stesso.  Ma questo non deve accadere se, a livello gerarchico più basso della rete di trasporto, viene servito con una rete ferroviaria di livello locale o metropolitano esteso: dai nodi della rete TEN-T si accede a quelli della rete regionale con un servizio ferroviario e poi ai nodi finali con servizi metropolitani, stradali e per micro-mobilità. Questo è un problema delle persone non tanto delle merci. Per queste ultime un treno interoperabile e capace di accogliere potenzialmente l’intero mercato delle merci può agevolmente percorrere entrambe le reti ferroviarie ed approdare sui nodi per le merci, come sopra descritto.

Un treno merci moderno può essere utile al commercio elettronico, ai corrieri espressi, ai detentori dei carri per fare effettuare treni lunghi e pesanti, alle compagnie di navigazione per smaltire meglio i traffici dai porti, tutti in carenza peraltro di autotrasportatori.

Che cosa fare?

Il problema che emerge è quindi di visione politica e tecnica di sistema nella sua interezza, che lo scrivente non pretende di avere: su un estremo, non è facile comprendere come una generica persona contraria alla rete AV o ad un suo singolo arco possa sostenere proposte come l’Hyperloop, che spinge verso un’estremizzazione della velocità e brucia nuovo territorio per puntare ad un vantaggio di tempo non più figlio di quest’epoca, peraltro a scapito dei consumi. A seguire, realizzare un tronco di una rete ferroviaria europea (come la nuova ferrovia Torino-Lione) è logico e sostenibile, accumula traffici di varie origini e destinazioni più o meno distanti. Non basta tuttavia scavare un tunnel per attirarne il traffico all’interno.

Occorre un’offerta competitiva che, nei trasporti, è intrinsecamente uguale a: infrastruttura più veicolo. Non esiste oggi tale “veicolo” nel trasporto delle merci, interoperabile e moderno, atto a consentire i treni lunghi e pesanti voluti dall’Unione europea, monitorabili anche su reti AV/AC, e pertanto non ci può essere quel traffico merci auspicato. Questo è un problema, certamente, ma è risolvibile, peraltro con ricadute industriali, magari locali. Realizzare un treno di nuova generazione per le merci adatto a viaggiare a 140-160 km/h, tele-diagnosticabile, rinnova l’offerta, attrae domanda e riduce le impedenze, assecondando sul serio le logiche moderne della sostenibilità.

[1] Comparative specific energy consumption between air transport and high-speed rail transport: A practical assessment - ScienceDirect