Due gradini sopra l’inferno. È dove si trova l’Italia alla vigilia della pagella di Standard & Poor's, la prima delle agenzie di rating a pronunciarsi sul debito del Paese. Poi toccherà a Fitch (il 10 novembre) e a Moody’s (il 17 novembre). L’ultimo esame sarà davvero senza appello. Mentre per le prime due agenzie il giudizio di partenza è BBB, e dunque in caso di declassamento resta ancora un gradino prima di essere classificati junk (spazzatura), Moody’s parte da un livello più sotto - BAA3 - e dunque se abbassa ancora il rating l’Italia diventa "non-investment grade”.

Cioè la categoria speculativa dei titoli, con una conseguenza immediata: il ritiro dai titoli italiani di tutta una serie di fondi, compresi quelli pensionistici americani, che hanno investito masse importanti di denaro in Bot e Btp. Un brutto colpo per un Paese che deve trovare sul mercato 480 miliardi. Per aiutarci a capire quel che accadrà nel mese delle pagelle all’Italia (venerdì 20 la prima) abbiamo coinvolto Emilio Barucci, professore ordinario al Politecnico di Milano in Finanza matematica e autore diversi libri, l’ultimo "Euro digitale" (edizioni Egea), che è la prima guida per conoscere la nuova moneta elettronica su cui sta lavorando la Banca centrale europea.

Professore, l’Italia sarà bocciata?

«È la domanda che ho sentito più spesso negli ultimi giorni. Non glielo so dire. Non è chiaro quale possa essere la reazione delle agenzie di rating di fronte alle ultime mosse dell’Italia. Do per scontato che esprimano un giudizio severo sul nostro debito, se poi al giudizio severo segua una bocciatura, cioè il declassamento preferisco attendere le decisioni».

Perché si aspetta un giudizio severo?

«Perché, per usare una metafora, non abbiamo fatto i compiti a casa. Da tempo le principali istituzioni internazionali ci chiedono di ridurre il debito. E noi invece lo allarghiamo. Ecco, al di là dei numeri brutti, che ci sono, a pesare sul giudizio delle agenzie di rating credo sia l’aver dimostrato scarsa volontà sul compito assegnatoci: ridurre il debito. Abbiamo dato ai mercati un segnale che non va nella direzione giusta».

Emilio Barucci, docente e autore di libri, ha appena pubblicato "Euro digitale" per la casa editrice Egea

Dunque boccia senza appello la scelta di una manovra espansiva adottata dal governo Meloni?

«Non è questo il problema. Anzi, la mossa ci può stare. Il vero nodo è non aver tagliato le spese. Si doveva raggranellare in modo diverso il gruzzolo che serve per misure anche positive come quelle di sostegno ai redditi più bassi. Ma, ripeto, ci si doveva arrivare per altre strade».

Invece che cosa è successo?

«Che ci si è seduti sugli allori convinti che il momento positivo proseguisse, la crescita pure. E abbiamo perso un anno senza lavorare come avremmo dovuto sui risparmi che sono possibili. Ora che l’economia ha rallentato anche se non va ancora così male e l’inflazione pesa su famiglie e imprese ci troviamo a dover allargare il deficit per avere spazi di manovra».

Dove sarebbe dovuto intervenire il governo?

«Ci sono due voci che mancano del tutto nella linea di questo governo.  La lotta all’evasione fiscale e la spending review. Ecco che cosa si può criticare. Non certo le misure per sostenere i redditi bassi, i più esposti in tempi di inflazione alta come quelli che stiamo vivendo».

Alfred Kammer, direttore dell’area Europa del Fondo monetario ha lasciato però una chance all’Italia. Ha detto che l’1,2% di crescita nel 2024 è un obiettivo ambizioso ma non irraggiungibile se si sapranno mettere a terra i progetti del Pnrr. Concorda?

«Io resto dell’idea che sia un progetto molto ambizioso. E anche difficile da realizzare. Lo vedremo. Però, ripeto, c’erano altri percorsi possibili per rispondere alla domanda dei mercati: ridurre il deficit».

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Se l’Italia verrà declassata a junk ci sarà la grande fuga degli investitori istituzionali, come i fondi pensioni?

«È un’ipotesi concreta, una mossa direi obbligata perché loro investono solo in rating elevati. E anche se in questi mesi hanno ricevuto regolarmente cedole corpose per statuto non possono mettere soldi in titoli di Paesi il cui debito è giudicato non-investment grade dalle agenzie di rating».

Insomma la cicala Italia rischia mentre la formica Germania ha optato su tagli alla manovra pur di rispettare il limite che si è data nel rapporto tra deficit e Pil. Un’altra lezione?

«Guardi, la Germania ha dimostrato anche di saper truccare le carte. E mi fermo qui».

E quale giudizio dà sulle agenzie di rating, dispensatrici di pagelle ma che in più di un’occasione hanno dimostrato di sbagliare previsione?

«Non sono la Bibbia però i mercati le seguono, sono un punto di riferimento. Queste sono le regole del gioco. Non capirlo vuol dire scherzare con il fuoco».