Anatomia di una detronizzazione. Industriale. La ricerca realizzata da Intesa Sanpaolo racconta come il Piemonte è scivolato indietro tra le locomotive d’Italia. Non è mai stato primo. Quel posto spetta di diritto alla Lombardia, che sembra quasi disputare un altro campionato, per usare una metafora calcistica. Da sempre.
Il rapporto coordinato da Giovanni Foresti e Romina Galleri mette a confronto l’andamento di quattro aree del Nord Italia. Titolo: “Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto: economie regionali a confronto”. Tredici tabelle per disegnare non un declino – come spesso si è denunciato nell’ultimo periodo, complice la crisi di Torino – ma di certo un arretramento della regione che un tempo dava vita al triangolo industriale. Tanto che in tutte le tabelle o quasi il Piemonte si ritrova quarto. Quando non superato – a livello nazionale – anche dal Lazio.
Il primo grafico racconta la crescita di Veneto ed Emilia Romagna grazie anche alla forza della manifattura. Il primo dato mette insieme gli addetti di industria e servizi. Prima da sempre (si parte dal 1951, più di 70 anni fa, un’altra Italia) la Lombardia dove gli oltre due milioni iniziali sono diventati adesso poco più di quattro milioni. Il Piemonte, che all’inizio aveva un milione di addetti ed era la seconda locomotiva italiana (Veneto ed Emilia erano quasi appaiate appena sopra il mezzo milione) è cresciuto fino a un milione e mezzo di occupati tra industria e servizi alla fine degli anni Settanta e poi dopo una flessione lunga trent’anni si è stabilizzata nel 2011 intorno al 1.200.000 senza altri sostanziali scostamenti.
Il primo sorpasso lo ha messo a segno il Veneto all’inizio degli Anni Novanta. L’Emilia Romagna c’è riuscita dieci anni dopo e ora tutte e due viaggiano attorno al milione e mezzo di occupati, con il Veneto ancora davanti all’Emilia. La tabella che misura la forza della manifattura vede primeggiare ancora il Veneto (26,6% il valore aggiunto manifatturiero sul totale) davanti all’Emilia-Romagna (25,7%) e al Piemonte (25,4%) in recupero rispetto a dodici mesi prima quando era più staccata dalle altre due regioni. La Lombardia (25,1%) figura al quarto posto perché ovviamente i servizi nella regione hanno un peso più rilevante rispetto alle altre tre aree. Che il motore industriale d’Italia sia qui lo conferma il confronto con la media nazionale che si assesta sul 19,6%. Tra le province piemontesi figurano nell’ordine Biella (36,7%) Novara (32%) e Vercelli che eguaglia Torino (24,6%).
Capitolo export
Negli anni ’90 il Veneto si è rivelato più dinamico. Poi dal 2000 c’è stato il passaggio di testimone all’Emilia Romagna. La Lombardia – che in questa classifica ha lo stesso indice “dinamico” del Veneto nell’ultimo triennio 2019-2022 – in realtà resta di gran lunga la prima regione per esportazioni d’Italia: 162.606 (milioni di euro) davanti all’Emilia che raggiunge quota 84.100 e al Veneto che si ferma poco sotto a 82.141 (sempre in milioni di euro). E il Piemonte? Decisamente più indietro. Sfiora quota 60.000 (per la precisione 59.025 milioni di euro) ma negli ultimi due anni ha tenuto, in proporzione, il livello di crescita delle altre locomotive. Anche qui l’indagine sottolinea, impietosamente come sanno essere i numeri, gli anni del sorpasso: prima il Veneto (1993) e poi l’Emilia (1999).
Un’altra tabella si sofferma sull’importanza della diversificazione. E mette a confronto i settori trainanti delle quattro regioni. Con una differenza che salta subito all’occhio. Il Piemonte raggiunge il 50 per cento dell’export grazie a tre settori: automotive (19,2%) meccanica (18%) alimentari e bevande (13,6%) secondo la fotografia del 2022. L’Emilia Romagna arriva alla stessa quota di export diversificando di più e dunque esponendosi meno ai ciclici cali di produzione di un settore: meccanica (25,6%), automotive (10,6%), alimentari e bevande (9,6%), tessile e abbigliamento (7,2%). Lombardia e Veneto allargano la diversificazione a cinque voci. Per Milano e le altre province i settori trainanti nel commercio con l’estero sono meccanica (16,3%), chimica (11,3), metallurgia (11,2%), tessile e abbigliamento (7,5%), elettronica (6,2%). Per il Veneto meccanica (18,4%), alimentari e bevande (9,7%), elettronica (8%), articoli in pelle (7,6%), tessile e abbigliamento (7,1%).
Uno sguardo al futuro
Un capitolo è dedicato al tema demografico dove nel primo grafico si fotografa la previsione di quota di popolazione over 60 sul totale degli abitanti da oggi al 2049. Il Piemonte oggi ha la percentuale più alta (33,7) ma verrà sorpassato al traguardo dal Veneto (uno sprint al fotofinish secondo un’immagine ciclistica). Vanno meglio le previsioni, ma non troppo, per Emilia e, soprattutto, Lombardia. L’altro grafico prende in considerazione sempre nello stesso futuro di tempo la quota di popolazione under 30 sul totale. Anche qui il Piemonte ha la percentuale di giovani più bassa di tutte e quattro (26,9) ma sarà sorpassato tra 25 anni dall’Emilia Romagna.
Nel 2022 in Italia si è registrato il record di M&A. La stima del volume investito complessivamente in fusioni e acquisizioni è pari a 89,4 miliardi. Dodici mesi prima ci si era fermati a 80,5 miliardi. Ed era comunque di gran lunga il miglior risultato dal 2016. A trainare mergers and acquisitions manco a dirlo è la Lombardia (366) seguita da Emilia Romagna (116) e Veneto (102). Poi il Lazio che sfiora quota cento (99). Il Piemonte si piazza al quinto posto, con 63 operazioni. Ma c’è una voce dove il Piemonte si riscatta rispetto alle nuove locomotive d’Italia: gli investimenti legati al venture capital. Domina la Lombardia (39% dell’intero mercato) seguita da Lazio (9%) e Piemonte (poco meno del 9%). Il Piemonte si è pero messo in evidenza per un notevole incremento degli investimenti: da 11 a 25 in dodici mesi.
Ultimo capitolo: le start-up innovative. Qui la classifica cambia leggermente: il Piemonte è sesto dopo Lombardia, Lazio, Campania, Emilia Romagna e Veneto. Un altro segnale di un primato svanito.
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