Durante questi mesi estivi, il salario minimo è tornato al centro del dibattito pubblico, con le opposizioni unite nel chiedere al Governo che anche in Italia si preveda finalmente l’introduzione di un minimo salariale orario sotto il quale le imprese non possano scendere nel definire le paghe dei propri dipendenti. Come recentemente ricordato anche dall’ex Presidente dell’Inps Tito Boeri, la principale ragione per introdurre un salario minimo risiede nella necessità di ridurre il potere di mercato dei datori di lavoro, dando ai dipendenti un semplice e chiaro strumento che li renda consapevoli di quale sia il livello retributivo minimo cui hanno diritto.

Uno dei nodi più rilevanti da sciogliere resta tuttavia quello di definire il livello appropriato del salario minimo, e le modalità con qui applicarlo. In questo contesto, l’attuale proposta congiunta dalle opposizioni risulta inadeguata, per due ordini di motivi. Da un lato, la soglia dei 9€ cui la proposta fa riferimento è troppo alta rispetto all’attuale distribuzione dei salari italiani. Dall’altro, questa viene fissata in maniera uniforme sul territorio nazionale, senza prevedere margini di aggiustamento a livello regionale.

Il peso del salario mediano

Il salario minimo viene comunemente fissato prendendo anzitutto come punto di riferimento il salario mediano, ossia quel livello salariale esattamente a metà nella distribuzione dei redditi della popolazione. Il valore mediano è generalmente preferito alla media perché è meno influenzato dai valori estremi della distribuzione. Nel 2019, secondo i dati Inps sulle carriere lavorative dei dipendenti privati italiani, il salario mediano lordo orario è risultato pari a €11 circa. In altre parole, metà dei dipendenti italiani nel 2019 ha guadagnato più di €11 lordi orari e metà dei dipendenti italiani ha invece guadagnato meno di questa cifra, in media*. Individuato il salario mediano, il salario minimo viene generalmente fissato ad una cifra compresa tra il 40 e il 60% di quel valore. Prendendo in considerazione l’ipotesi più generosa (il 60%), la soglia del salario minimo si dovrebbe quindi attestare a circa €7 lordi orari. Nel 2019, il 3,4% dei lavoratori italiani è risultato occupato con un salario orario inferiore a questa soglia.

Una proposta decisamente alta

Considerando invece la soglia dei 9 euro orari proposta dalle opposizioni, questa riguarderebbe un numero decisamente alto di lavoratori dipendenti italiani. Nel 2019, il 24% di essi è infatti risultato occupato con un salario orario medio inferiore a questo livello. Una soglia così alta, che interesserebbe addirittura un lavoratore dipendente su cinque, diventerebbe verosimilmente insostenibile per molte imprese, con effetti deleteri in termini occupazionali soprattutto nelle aree meno sviluppate del Paese. Nelle regioni meridionali, infatti, la percentuale di lavoratori occupati con salari orari sotto i €9 ha raggiunto nel 2019 picchi del 37% in Campania, del 35% in Calabria, del 32% Sicilia e del 33% in Puglia. Nelle regioni settentrionali la stessa percentuale si è invece fermata a circa il 20%, con oscillazioni tra l’14% del Trentino e il 20% del Piemonte e dell’Emilia Romagna (Figura 1).

Dipendenti sotto la soglia di 9 € orari (%)
Dipendenti sotto la soglia di 9 € orari (%)
Fonte: elaborazioni proprie su dati INPS LoSaI**

Andando oltre la dimensione geografica, la cifra dei 9€ risulterebbe in particolare difficilmente sostenibile per le micro e piccole imprese. Nel 2019, circa il 36% dei dipendenti privati occupati nelle imprese con meno di 11 addetti è risultato occupato con un salario orario medio sotto la soglia dei €9, percentuale che scende al 25% per gli occupati in imprese con un numero di dipendenti compreso tra i 11 e i 50. Per le imprese più grandi la percentuale scende invece sotto la soglia del 20%. L’introduzione di un salario minimo così alto interesserebbe quindi in maniera più marcata le micro e piccole imprese, e solo in misura marginale le imprese più grandi.

Una soglia adeguata

Indipendentemente dalla soglia scelta – auspicabilmente compatibile con l’attuale tessuto produttivo – resta la necessità di prevedere margini di aggiustamento a livello regionale. Come abbiamo più volte ricordato, infatti, le differenze nel potere di acquisto tra una regione l’altra rendono i salari reali nettamente eterogenei su base geografica, pur a parità di salari nominali. In questo contesto, una soglia unica sul territorio nazionale sarebbe relativamente troppo bassa nelle regioni dove il costo della vita è più alto, e relativamente troppo alta dove invece il costo della vita è più basso. Considerando per esempio la soglia dei 7€ lordi orari, la Figura 2 mostra come la percentuale di lavoratori sotto tale soglia nel 2019 ha registrato nette differenze geografiche. Nelle regioni meridionali, la percentuale di dipendenti sotto questa soglia ha raggiunto picchi del 6% in Calabria e dell’7% in Campania, mentre nelle regioni settentrionali la stessa percentuale è rimasta sotto la soglia del 3%, in media. Imporre un’unica soglia di salario minimo a livello nazionale implicherebbe quindi un aumento dei salari nominali per un’ampia percentuale di lavoratori del Sud, dove il costo della vita è più basso, e un effetto relativamente marginale sui salari dei dipendenti residenti nelle regioni settentrionali – in termini di lavoratori potenzialmente interessati dalla misura – dove invece il costo della vita è più alto.

Dipendenti sotto la soglia di 7 € orari (%)
Dipendenti sotto la soglia di 7 € orari (%)
Fonte: elaborazioni proprie su dati INPS LoSaI**

Replicando quindi su base regionale la semplice formula per il calcolo del salario minimo – utilizzando cioè come soglia il 60% del salario mediano regionale – la Figura 3 mostra quali potrebbero essere i livelli di minimo salariale differenziati per regione geografica. Si andrebbe per esempio dai 7,3€ orari in Trentino ai 6€ orari in Puglia e Basilicata.

Salario minimo su base regionale
Salario minimo su base regionale
Fonte: elaborazioni proprie su dati INPS LoSaI**

In questo contesto, l’introduzione di un salario minimo dovrebbe quindi conciliare da un lato l’esigenza di fornire ai lavoratori uno strumento chiaro e semplice per individuare il minimo salariale cui hanno diritto e dall’altro la necessità di prevedere comunque delle differenze su base geografica, per tener conto dei diversi livelli di produttività che esistono tra una regione e l’altra. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di prevedere una soglia minima relativamente bassa a livello nazionale, lasciando alle singole regioni la facoltà di alzare quella cifra.

           

* La misura di reddito utilizzata include eventuali tredicesime, quattordicesime e altri compensi soggetti a contribuzione. Dal campione vengono esclusi i lavoratori che hanno lavorato meno di un mese durante l’anno di riferimento, per evitare di catturare esperienze lavorative estremamente saltuarie e non significative. Il salario orario è ottenuto dividendo il totale dei redditi accumulati durante l’anno per il totale delle ore lavorate. La misura di salario orario fa quindi riferimento al salario orario medio nel corso dell’anno. Le ore lavorate sono calcolate sommando per ciascun dipendente le ore lavorate rispetto a tutti i contratti attivi nel 2019, assumendo una settimana lavorativa di 40 ore per i contratti full-time e adeguando proporzionalmente il monte ore per quelli con contratti part-time.

** Dati elaborati nell'ambito del progetto: Income dynamics in dual labor markets