Per molti – quella fra Letta e Renzi - è una alternanza di personalità – il primo è persona “defilata”, il secondo è persona “attiva”. Può essere che l'analisi (e quindi il giudizio) possa ridursi ai profili psicologici delle personalità in campo, ma forse è meglio osservare le cose in una prospettiva per così dire di “sistema”.
1- Premessa. Dalla grandi alle piccole intese.
Le elezioni all'inizio del 2013 avevano consegnato la maggioranza al PD alla Camera, ma non al Senato. L'allora segretario del PD cercò una maggioranza con il Movimento 5 Stelle (M5S), ma non riuscì nell'intento. Si formò così una maggioranza PD-PdL (che ora non c'è più, essendo rinata Forza Italia - FI), che poi si sciolse sulla decadenza da senatore di Berlusconi. Il governo Letta continuò però ad avere una maggioranza con la parte del PdL non finita in FI, che prese il nome di Nuovo Centro Destra (NCD).
2- Fin qui sulle maggioranze. Ora, nello schema aggiungiamo Matteo Renzi.
Renzi non è mai stato candidato, e perciò non è neppure alle Camere, ma ha vinto le primarie del suo partito alla fine del 2013. Si noti che la sua vittoria è stata il frutto del voto dei non iscritti al PD, che hanno potuto votare alle primarie. Perciò il Parlamento resta quello delle elezioni del 2013, ma il maggior partito – il PD – ha un nuovo equilibrio interno. Le mosse iniziali di Renzi sono state due: 1) proporre una riforma elettorale, che giocoforza deve vedere in azione anche le altre forze politiche, quindi, data la non partecipazione di M5S al dialogo, necessariamente di FI (da qui il “tormentone” del ritorno in scena di Berlusconi); 2) proporre una riforma per il rilancio dell'economia – il Jobs Act (da qui l'interrogarsi intorno all'uso di espressioni inglesi come “spending review”, “jobs act”, forse … fa “global”). La riforma elettorale - proposta da Renzi e condivisa da Berlusconi - è nella direzione del “bipolarismo” - qualcuno governa sempre e da solo - e dunque – se attuata – non consente di avere né “grosse coalizioni”, come quella del primo Letta, né “piccole coalizioni”, come quelle del secondo Letta. Il Jobs Act per ora è poco più di una conferenza stampa, non essendo stato definito quasi nulla, se non nelle intenzioni.
3- Fin qui sulle maggioranze e sull'arrivo di Renzi. Ora, nello schema aggiungiamo l'alternanza fra Letta e Renzi.
La direzione di giovedì scorso del PD - introdotta da una breve relazione del segretario – ha dibattuto il nodo, o il bivio: 1) andare subito alle elezioni non sapendo, con il sistema vigente (il porcellum, ciò che si avrebbe in assenza di una riforma in termini rapidi) come va a finire; 2) oppure provare a dare una scossa di “governabilità” (il cui contenuto non è stato definito, è stato enunciato). E' stata scelta - con maggioranza quasi assoluta - la seconda strada. In breve, Renzi al posto di Letta.
Si possono fare due considerazioni: 1) Renzi andrà al posto di Letta, ma con la stessa maggioranza. Ergo, secondo il PD è il Governo che fa la differenza, nonostante la maggioranza sia la stessa. Ossia, la stessa maggioranza dovrebbe – a differenza del passato - votare dei provvedimenti divenuti finalmente incisivi; 2) Renzi non è mai stato eletto, se non come sindaco. Renzi è stato eletto segretario di un organismo privato, quale è il Partito Democratico. Il quale PD poi non ha nemmeno vinto le elezioni (anche se, secondo la famosa espressione dell'ex segretario Bersani, le ha “quasi vinte”).
Insomma il segretario, neppure eletto in Parlamento, di un partito, che non ha nemmeno vinto le elezioni, diventa Presidente del Consiglio, senza nuove elezioni, per mezzo delle dimissioni indotte del Presidente in carica, avendo in partenza la stessa maggioranza (quella delle “piccole intese”). L'investitura di Renzi è perciò definibile come “carismatica” (un leader in sintonia “pneumatica” con il popolo che lo elegge per acclamazione – dalle primarie, alla direzione del PD, al governo), ma non “procedurale”.
4- Fin qui sulle maggioranze e sull'arrivo di Renzi e l'alternanza fra Letta e Renzi, con il secondo che ha seguito un percorso carismatico. E i mercati finanziari?
La questione del “carisma” o delle “procedure” potrebbe non rilevare per i mercati finanziari. Infatti, se il bilancio pubblico è sotto controllo - ossia se si ha quasi certezza che e le cedole e le obbligazioni sono pagate alla scadenza - non si capisce perché mai non dovrebbe essere comprato. Ed infatti è quello che sta accadendo. Inoltre, se le obbligazioni sovrane vanno bene, e si se riesce a costituire una banca creata all'uopo per contenere i cattivi crediti (oppure, senza una banca, “cartolarizzarli” e venderli agli specialisti), ecco allora che i bilanci delle banche non possono che migliorare, e le banche sono una quota rilevante della borsa italiana. Perciò il mercato finanziario italiano ha una sua dinamica abbastanza solida che è indipendente dalla vicenda del cambiamento del Presidente del Consiglio.
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