Mandela ha lasciato un paese libero, democratico e multirazziale, ma ancora alle prese con problemi di carattere strutturale e con una economia reale in difficoltà
Il Sudafrica è la prima economia del continente africano con un PIL di 576,1 miliardi di dollari USA (Figura 1), la ventiseiesima al mondo e tra quelle - fino a poco tempo fa - considerate tra le più dinamiche, i BRICS (Figura 2).
Come ha fatto il Paese a raggiungere tali risultati?
Grazie soprattutto alle risorse minerarie: platino, di cui è il maggiore produttore mondiale con l’80% della quota totale, oro, cromo ed ancora diamanti, amianto, rame e carbone. Un marziano che per la prima volta atterri in una nazione con così tante potenzialità, potrebbe pensare di scoprire una economia florida, una società ricca ed equa. Non proprio, o meglio, non ancora, thinking positive.
C’è da tenere conto però di quanto lontano sia stato il punto di partenza da questa realtà quasi “utopica”. Per fare ciò, basti pensare che vent’anni fa, nell’aprile 1994, si sono tenute le prime elezioni a suffragio universale nella storia del Sudafrica che sancirono la fine dell’apartheid. Molto è stato fatto in termini lotta al razzismo (Sud Africa come “Paese arcobaleno”) e di attenuazione delle disparità grazie anche alle idee e al lavoro del compianto Mandela, definito come campione di libertà, democrazia ed uguaglianza. Il recupero però non è assolutamente terminato se solo pensiamo che la povertà (Figura 3) è diffusissima, tanto da superare il 50% stando alle statistiche ufficiali e sfiorare l’80% in alcune regioni. E la povertà va, purtroppo, a braccetto con disoccupazione, forti disuguaglianze di reddito, criminalità, AIDS, un clima di investimento sfavorevole a causa dei continui disordini.
I lavoratori delle miniere, infatti, da tempo oramai sono in lotta - spesso violenta – per il proprio salario e per consentire il reintegro degli operai licenziati. Ad esempio, a settembre circa l’80% dei dipendenti non si è presentato al lavoro nella miniera di platino di Anglo American Platinum (Amplats) contro il piano di ristrutturazione del gruppo che inizialmente prevedeva ben 14.000 esuberi e la rinegoziazione dei contratti al ribasso. Dopo alcuni giorni di inattività, l’accordo tra i lavoratori e la Camera delle miniere si è trovato assicurando ai lavoratori un incremento per l’anno in corso pari all’8% e per l’anno prossimo proporzionato all’inflazione, contro proposte pari al +6% per i due anni. Questo è solo uno degli innumerevoli casi di disordini.
Nel corso del 2012 e nel 2013 la protesta si è così diffusa da arrecare un rallentamento della crescita del pil e da avere un costo complessivo, considerando la mancata produzione, di 1,2 miliardi di usd.
Gli scioperi che si sono susseguiti in campo minerario riflettono, infatti, lo stato del settore in Sud Africa: secondo recenti studi, quasi il 90% della spesa pubblica sudafricana è destinata alle partite correnti per cui a sostegno della crescita sostenibile resta pochissimo da stanziare in investimenti.
Ela mancanza di investimenti ha contribuito alla riduzione della produttività (Figura 4) e della competitività in aree vitali della economia del Paese ripercuotendosi naturalmente sui profitti delle aziende e conseguentemente sugli stipendi e posti di lavoro degli operai e a cascata sui consumi. Il problema degli scarsi investimenti non si risolve fomentando proteste e scioperi: infatti le recenti tensioni di certo non incentiveranno gli investitori esteri a guardare con interesse al Sud Africa.
La disoccupazione, un problema enorme nel Paese, resta nel terzo trimestre 2013 pari al 24,7%. Rispetto a dieci anni fa le cose vanno un po’ meglio, se pensiamo che il dato nel 2003 sfiorava il 32%, valore che è andato diminuendo toccando il “picco al ribasso” nel 2009 (meno del 22%). Sono principalmente diminuiti gli occupati nelle fasce più basse della popolazione, nel settore minerario, dell’agricoltura, trasporti, ma anche nei servizi e nel settore finanziario. Strettamente legato al problema della disoccupazione, è quello della scarsa specializzazione della forza lavoro sudafricana, ancora di più se vista in un’ottica di depauperamento del capitale umano continuo a causa della fuga dei cervelli, la cui diaspora ha interessato negli ultimi 10 anni quasi un milione di laureati, indirizzati a cercare fortuna in USA, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, per citare alcuni Paesi.
E la riduzione della produttività interna ha causato un incremento delle importazioni, con un calo del saldo della bilancia commerciale: nel 2012 il disavanzo è di 10 miliardi di dollari USA contro il pareggio degli anni precedenti (Figura 5). Per quanto concerne le esportazioni, il Paese è sempre più dipendente – e molto soggetto, quindi, a shock esterni - dalle esportazioni di materie prime, quali l’oro (che rappresenta il 25% del totale), nonché dalla Cina, verso cui si dirige il 15% dell’export.
L’inflazione in Sud Africasi è assestata negli ultimi due/tre anni tra il 5 e il 6%, con una proiezione del Fondo Monetario Internazionale per il 2014 al 5,5%.
Sul fronte valutario, l'andamento del Rand riflette il momento di sofferenza del Paese: solo nell’ultimo anno il deprezzamento è stato del 23% nei confronti del dollaro USA e del 26% nei confronti dell’euro. (Figura 6).
Non è da escludere un intervento da parte delle agenzie di rating per declassare il rating del debito sovrano Sudafricano a junk (l’outlook assegnato è negativo).
Il debito pubblico, difficilmente quantificabile a causa dei dati non precisi e limpidi dei governi locali, il limitatissimo margine di bilancio (come detto il 90% della spesa pubblica Sudafricana è indirizzata alle partite correnti), un settore bancario da rifondare poiché troppo dipendente dagli interventi governativi, il deficit delle partite correnti, sono solo alcuni degli aspetti su cui le agenzie di rating si stanno focalizzando per la valutazione.
Il declassamento causerebbe smottamenti, conseguentemente, per il prezzo delle obbligazioni, per il rand (sarebbe verosimile una ipotetica flessione del 10%) e per le piazze dei Paesi vicini, alcuni dei quali con deficit delle partite correnti ancora più ampie.
Mandela ha lasciato dopo la fine dell’apartheid il Sud Africa arcobaleno, simbolo di pace e di diversità. Era il suo primo obiettivo nei quasi trent’anni di carcere ed è stata la sua eredità ora: saluta un Paese libero, democratico e multirazziale. Lo stesso Paese ancora ha moltissimi problemi di carattere strutturale e con una economia reale che non gode di particolare salute, anzi. L’arcobaleno c’è, ma i colori che lo compongono, per ora, sono piuttosto sbiaditi.
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