È in programma a Firenze, il prossimo 27 febbraio, un doppio forum, ecclesiastico e civile, che coinvolgerà i vescovi e i sindaci del Mediterraneo. Un incontro organizzato dalla CEI e cui ha collaborato l’amministrazione comunale di Firenze. Papa Francesco ha accettato l’invito di chiudere l’incontro, che per parola di uno dei principali promotori, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, vuole proporre le sponde del Mediterraneo come simbolo di unità e non come confine. Si attendono oltre cento rappresentati del clero cristiano dei venti paesi che si affacciano sul bacino, così come circa cento sindaci provenienti da città come Roma, Tunisi, Istanbul, Alessandria.
L'incontro del prossimo 27 febbraio presenta spunti preziosi per una riflessione storico-geografica sullo spazio del Mediterraneo. Una prospettiva di lungo periodo per meglio capire processi profondi che lo rendono crocevia imprescindibile, restio a qualsiasi riduzione a spazio di sicura fratellanza come di ineluttabile conflitto.
Le chiavi di lettura
l nome stesso indica una connotazione geografica precisa: nel mezzo delle terre. Il bacino del Mediterraneo è chiuso da ogni parte, meno che per lo sbocco di Gibilterra sull’Atlantico. Fatto questo che colpiva profondamente l’immaginario collettivo delle popolazioni che su di esso insistevano: prima dell’età delle esplorazioni oceaniche si pensava che ogni mare fosse, appunto, mediterraneo, circondato da ogni parte dalla terraferma. Tanto più che mari attigui, o ad esso collegati, come il Mar Nero, il Mar Rosso e financo il Mar Caspio, suggerivano un mondo dove i mari erano grandi laghi salati: senza particolari sfide per la navigazione, e dunque senza reali incognite all’orizzonte. Il clima mite, i grandi fiumi che vi si gettavano e le pianure fertili che vi si aprivano hanno poi sempre reso l’area mediterranea favorevole all’insediamento umano, regione dove convergevano naturalmente l’Eurasia, il Medioriente, il Nordafrica.
Caratteristiche geografiche queste sulle quali si articola l’altra chiave di lettura del Mediterraneo: l’eterogeneità dei popoli e delle nazioni che su di esso si affacciavano e si affacciano. Eterogeneità culturale che dipendeva dalla varietà climatica e morfologica delle terre attorno al mare: popoli di deserti, steppe, montagne, isole, paludi, fiumi e pianure, le cui usanze e culture non potevano, in prima istanza, che rispecchiare queste origini disparate. A questa frammentazione etnico-culturale è sempre poi corrisposta una frammentazione politica e statuale: l’unica (e fondamentale) eccezione fu l’Impero Romano, capace per circa sette secoli (anche quando diviso tra Occidentale e Orientale) di dominare tutte le coste del bacino.
L'Impero e le religioni
Attorno all’Urbe si sviluppò un’unità politica, legale e financo civile all’apice dell’Impero; ma entro questa unità si mantennero sempre specifici tratti regionali e locali, di lingua, di istituzioni, di usi e costumi, non ultimi quelli di carattere religioso. L’Impero Romano rimaneva un’entità politica tri-continentale, in cui il peso delle provincie che oggi diremmo europee era notevolmente inferiore ai suoi territori in Asia Minore, nel Levante e in Nordafrica, specie l’Egitto. Questa inclinazione a oriente fu incarnata da Costantino, il quale non solo spostò il centro del potere politico da Roma verso il Bosforo, dove fondò la città cui diede il proprio nome; ma rese una religione orientale, una derivazione dell’Ebraismo, il credo ufficiale dell’Impero. Un passaggio fondamentale per apprezzare tale cruciale trasformazione: da un paradigma dominato dal pluralismo religioso e politeista, ad uno dove uno specifico credo monoteista assurgeva a culto sancito dallo stato, al di là delle (spesso durissime) dispute teologiche che caratterizzeranno i primi secoli dell’epopea cristiana.
Costantino sancisce così la fine sia del paganesimo che del politeismo nel bacino Mediterraneo, che infatti non riappariranno più. Al crollo dell’Impero a occidente nel 476 si accompagna da un lato la perdita del mare nostrum; e poi, ancora da una costola abramitica di ancor più stretta osservanza monoteista, l’emersione di un confine che si è impresso da allora nell’immaginario collettivo. Maometto, mercante arabo nato nel 570 nella città carovaniera della Mecca, si pone quale ultimo profeta delle grandi rivelazioni dell’unico dio di Abramo, Mosè e Gesù – un dio, a ben vedere, sempre proveniente dalle regioni bagnate dal Mediterraneo orientale e bacini limitrofi, in questo caso il Mar Rosso.
L'avanzata di Maometto
L’Islam ha un’espansione rapidissima, forse unica nella storia. La nuova religione marcia verso est, travolgendo l’Impero Sasanide in Persia e poi entrando in India; e verso ovest, prendendo nei cento anni dalla morte di Maometto (632) tutti i territori della sponda sud del Mediterraneo. Anzi: entrando addirittura in Spagna, ribattezzata Al-Andalus, da quel promontorio montuoso (jabal, in arabo) conquistato dal condottiero Tareq (da qui appunto Jabal Tareq, Gibilterra). Con l’Impero di Bisanzio sulla difensiva, i cosiddetti regni romano-barbarici emersi dopo il 476 in Europa assistono alla caduta dei loro dirimpettai in Tunisia, Algeria, Marocco e Spagna, insieme all’islamizzazione – veloce ma non violenta – delle popolazioni cristiane locali.
Se per definire un’identità serve un "altro" cui contrapporsi, ecco che l’emersione del fenomeno Islam fu funzionale a gettare i semi e scorgere i prodromi di una nuova entità, fino ad allora inesistente – l’Europa. Uno spazio geografico che ha tutt’ora come unico limite chiaro le coste settentrionali del Mediterraneo – non certo le sconfinate steppe eurasiatiche a est o gli arcipelaghi del Mare del Nord. Uno spazio inizialmente corrispondente, sostanzialmente e a livello identitario, come l’area della Cristianità. Una formulazione in qualche modo speculare al vocabolario islamico: al Dar al-Islam, la Casa dell’Islam, si contrapponevano ora il Dar al-Sulh o il Dar al-Harb, la Casa della Tregua o della Guerra, a seconda dei rapporti con il mondo cristiano. L’incursione di un capo musulmano andaluso, Abdel Al-Rahman, al di qua dei Pirenei, fu respinta dal re dei Franchi Carlo Martello nel 732. La battaglia di Poitiers è di per sé una scaramuccia trascurabile: ma è importante per la creazione di un mito, quello appunto della contrapposizione dell’"altro" islamico al mondo cristiano.
L'idea di Europa
Fu con l’avvento del nipote di Carlo Martello, Carlo Magno, che l’unione ideale di mondo cristiano ed eredità romana si andò a incardinare in senso esclusivamente europeo. L’Impero Carolingio riconosceva infatti solo il vescovo di Roma quale guida suprema. Non a caso il lascito di Carlo si definirà ‘Sacro’ e ‘Romano’ per altri mille anni. Rivendicazioni inconciliabili con quelle di Bisanzio, che ancora si considerava sia città custode del titolo imperiale, sia culla della Cristianità. Inevitabile quindi lo scisma del 1054.
L’Impero Romano tri-continentale era definitivamente tramontato come idea geopolitica, e il Mediterraneo come spazio geografico rispecchiava questa evoluzione. Su di esso andavano a dividersi, competere e fronteggiarsi tre civiltà che si volevano distinte le une delle altre: la Cristianità occidentale, che stava pian piano divenendo l’Europa; la Cristianità orientale, che avrebbe avocato a sé il titolo di ortodossa; e poi il mondo islamico. Tutte aventi spirito universalistico, tutte con molte più similitudini che differenze, ma proprio per questo paradossalmente portate ad un rifiuto dell’altro in quanto rivale sullo stesso terreno. Un rifiuto che ha sempre contemplato l’esistenza ad un medesimo tempo di timore, disprezzo e razzismo per l’altro, ma anche malcelata ammirazione, profonda suggestione, e genuino interesse.
Gli Ottomani e il "limes"
Si tratta di dinamiche esaltate dall’ascesa di una nuova potenza islamica dopo la caduta degli imperi a guida araba. I turchi Ottomani giunsero dalle steppe eurasiatiche, si diressero sul bacino Mediterraneo, e occuparono addirittura Costantinopoli nel 1453. Posero dunque fine a quel che rimaneva di Bisanzio, non prima di cadere anch’essi preda dell’idea di Roma, se è vero che il sultano si sarebbe fregiato, tra gli altri, anche del titolo di ‘Cesare dei Romani.’ Invero, un impero che più di ogni altro si avvicinò a far del Mediterraneo un altro mare nostrum. E proprio di fronte alla percepita minaccia del sultano ottomano, i regni e gli imperi dell’era moderna europea andavano progressivamente maturando un’identità comune, pur al netto delle terribili guerre che insanguineranno il continente ben più del mondo islamico ad esso contemporaneo.
Il Mediterraneo fungeva da limes tra queste due entità. Non è un caso se, nel dipingere il mondo dello ‘scontro di civiltà’, Samuel Huntington individuava proprio nel Mar Mediterraneo una linea di faglia fondamentale tra l’Est islamico e l’Ovest cristiano, sovrapponendo e anzi riducendo complessi universi culturali alle loro manifestazioni religiose.
Identità e immaginario collettivo
Una visione tanto potente quanto popolare. E inaccurata. Lo spazio storico-geografico del Mediterraneo ci dice invece qualcos’altro. La formazione di identità, l’emersione di un immaginario collettivo e di confini tra Europa cristiana e mondo islamico sono un dato storico: ma non per questo sono da leggersi come elementi che escludono altre dinamiche, come la commistione, lo scambio, l’apertura, la contaminazione. Le stesse religioni che sembrano tracciare linee invalicabili sono, come visto, prodotti della stessa tradizione monoteista. E poi: la cultura classica greca salvata da filosofi musulmani, che la fanno propria. Fiorenti scambi commerciali, specie sull’asse Istanbul-Venezia. Importanti relazioni diplomatiche, come quelle tra il Re Sole e il Sultano. Migrazioni di popoli, come gli ebrei europei che si rifugiano nell’Impero Ottomano per sfuggire all’antisemitismo cristiano. E infine la continua presenza, testimoniata appunto dall’incontro di Firenze, di fiorenti comunità cristiane nei paesi a maggioranza musulmana: eredi queste delle prime espressioni del cristianesimo che appunto, da religione orientale come la considerava giustamente Costantino, si mosse dal Medioriente verso il resto del bacino mediterraneo.
Ecco. La complessità storico-geografica che si articola intorno all’asse Mediterraneo ha portato a evidenziare anche le differenze interne di civiltà pigramente considerate rigidamente monolitiche, interiormente coerenti, e fondamentalmente insulari le une rispetto alle altre: più guerre di religione sono scoppiate tra cattolici e protestanti o tra sunniti e sciiti che tra cristiani e musulmani.
Le civiltà e le sponde
Se vogliamo spiegare i contrasti cui lo spazio il Mediterraneo ha fatto da teatro in epoche a noi vicine, e financo ai giorni nostri, possiamo postulare certo una radicale differenza culturale-religiosa tra civiltà, i cui confini lo attraversano. Ma dovremmo forse considerare le differenze tra sponda sud e nord del Mediterraneo con particolare attenzione alla vicenda coloniale, dove il fattore culturale gioca un ruolo importante ma certo non decisivo. Al dominio ottomano islamico del Mediterraneo, durato quasi tre secoli, seguì quello europeo: tra il XIX e fino alla metà del XX secolo, il Mediterraneo diventa testa di ponte per le incursioni coloniali dei nuovi stati nazione figli della rivoluzione politica francese e di quella economica dell’industrializzazione. La fine degli Ottomani al termine della Prima Guerra Mondiale vede tutti i territori lungo le coste da Alessandretta fino a Tangeri sotto diretto controllo europeo.
Pure il divario economico, legato a doppio filo a dinamiche proprio dell’epopea coloniale, si articola nel Mediterraneo. Il nord del mondo ricco che inizia a Malta e Lampedusa; il sud del mondo povero che si apre sulle coste libiche. Confini che immediatamente sembrano ricalcare quelli di civiltà in competizione e magari conflitto tra di loro, ma cui non è possibile ridurre la complessità del reale.
L'impatto delle rotte oceaniche
Non si possono infine elidere, in questo senso, destini indicati – ma non segnati – dalla geografia che riguardano chiunque si affacci su questo mare, a prescindere da differenze culturali più o meno marcate. Tutte le nazioni che nel Mediterraneo, quale bacino marino imprescindibile, avevano trovato importanza e ricchezza (come appunto gli Ottomani e la Repubblica di Venezia) conobbero tutte lo stesso destino – di declino – con l’apertura delle rotte oceaniche. Il Mediterraneo si rivelava quello che era sempre stato: un grande lago salato in un mondo in cui le terre sono circondate dall’acqua e non viceversa. Ma è proprio con l’ascesa degli oceani che il Mediterraneo riacquista paradossalmente e progressivamente la sua centralità: con l’apertura del Canale di Suez, nel 1869, diventa nuovamente passaggio imprescindibile per collegare gli oceani dell’Indo-Pacifico all’Atlantico.
Non più, o non solo, un mediterraneo, ma anche un medioceano.
Il Mediterraneo non cessa di rappresentare dunque un crocevia e un perno – anche identitario, forse economico, certo geografico. Un ruolo che non sembra destinato a mutare. La condivisa esperienza storica delle collettività che su di esso si affacciano può essere sia fonte di revanscismi, rivendicazioni e competizione. Oppure, base di un intendere un comune passato, cui far riferimento come sia come monito sia come ispirazione: con l’augurio che all’incontro di Firenze si riconosca e sviluppi questo spirito.
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