1 - L’economia, la guerra, le sanzioni

L’economia russa ha tenuto nonostante le sanzioni. Mette conto ricordare che chi denuncia il fallimento delle sanzioni lo fa soprattutto mostrando i dati di contabilità nazionale. Il PIL russo, come il PIL di ogni paese, informa su alcuni aspetti dell’economia, non su tutti. La sola variazione de PIL può essere fuorviante, perché non tiene conto, e nemmeno può, di troppe cose. Vediamo quali.

Il PIL russo non solo non è crollato, ma ha tenuto, e sta persino salendo, seppur di poco. Come è stato possibile? Il PIL registra l’interazione dei consumi, degli investimenti, del saldo fra le uscite dello Stato e le sue entrate, del saldo fra le esportazioni e le importazioni. La Russia ha espanso molto la spesa pubblica militare, così il suo PIL ha tratto la spinta tipica delle “economie di guerra”. La spesa statale di un paese in guerra, infatti, si concentra nella produzione bellica, che ruota sulle filiere domestiche, mentre distribuisce reddito sia ai combattenti sia alle famiglie dei militari quando si hanno i caduti o gli impediti di proseguire nella vita civile. Oggi la spesa militare russa in rapporto al suo PIL non è molto distante da quella degli Stati Uniti dei tempi della Corea e del Vietnam. In un’economia di guerra sotto sanzioni cresce la domanda di beni di consumo prodotti internamente, mentre si riduce la loro domanda se frutto di importazioni. La Russia ha ridotto le importazioni, quasi annullando quelle occidentali, ma ha accresciuto quel orientali, intanto che ha continuato a esportare in gran quantità le sue materie prime in Asia.

Abbiamo avuto così la duplice spinta della domanda pubblica (in deficit) volta a finanziare la guerra contro l’Ucraina e della significativa differenza fra esportazioni e importazioni. Perciò, nonostante le sanzioni, il PIL prima è flesso poco, poi ha tenuto, e poi è rimbalzato.

Allo stesso tempo, per complicare un giudizio che non sia solo centrato sulle variazioni del PIL, va ricordato che la forzatura della domanda verso l’economia di guerra riduce, proprio per evitare dei deficit eccessivi, la spesa pubblica di natura sociale, che rileva per il consenso. Intanto che, per effetto della maggiore domanda a fronte di un’offerta rigida, si ha un tasso di inflazione molto elevato che richiede per essere messo controllo dei tassi di interesse ancora più elevati. Questi ultimi pesano molto sulle famiglie attraverso il costo dei mutui immobiliari che in Russia sono molto diffusi.

Tenendo conto di tutte queste osservazioni, possiamo concludere che il Cremlino sta affrontando un dilemma: mentre finanzia la guerra contro l'Ucraina, guerra che potrebbe durare a lungo, deve mantenere per ragioni di consenso degli standard di vita accettabili per la popolazione. Il dilemma può sembrare ex visu di facile soluzione, perché basterebbe alzare la spesa pubblica. Ma quest’ultima, se forza la domanda, alimenta l’inflazione, che, a sua volta, richiede dei tassi di interesse elevati. Questi ultimi però, come abbiamo visto, finiscono per pesare sul tenore di vita della popolazione e quindi sul consenso.

Gli elevati tassi di interesse non sono, almeno per qualche tempo, un gran vincolo in sede di emissione di nuovo debito pubblico, perché quest’ultimo in partenza è modesto, e perché potrebbe emergere uno scambio fruttuoso fra gli imprenditori domestici che possono, previo consenso del Cremlino, prendere il controllo delle imprese occidentali presenti in Russia in cambio di una partecipazione attiva nella sottoscrizione del maggior debito pubblico.

Quanto fin qui affermato non implica che la Russia possa non risentire delle sanzioni in un arco temporale maggiore. La Russia non può, infatti, sostenere alla lunga una crescita che sia il frutto del rimbalzo di un’economia di guerra. Mezzo milione di lavoratori, spesso altamente istruiti, sono fuggiti. Le imprese occidentali si sono in gran parte ritirate dai settori dove le imprese russe o non ci sono, o sono a un livello tecnologico meno avanzato.

Si potrebbe sostenere che il ritiro degli occidentali non è un evento grave, perché può essere compensato dall’arrivo dei cinesi che hanno sia i mezzi industriali sia finanziari per coprire il vuoto che sta sorgendo. Gli scambi commerciali in Yuan, infatti, sono in crescita, e il sistema finanziario russo si sta appoggiando su quello cinese. La Cina può sostituire le monete occidentali nei flussi commerciali, il petrolio potrebbe, come è già, essere fatturato in Yuan, ma non può diventare il luogo dove stipare la ricchezza. Ricchezza che i privati russi hanno stipato nelle economie occidentali per centinaia di miliardi di euro.

I privati russi potrebbero accumulare le proprie ricchezze in Cina? È molto difficile che ciò accada. Se l'autocrazia, al contrario della democrazia, è il sistema che non consente il ricambio della classe dirigente senza spargimento di sangue, allora un autocrate ed il suo seguito hanno tutto l'interesse a stipare i denari all'estero per sopravvivere, fosse mai che possano perdere il potere. Infatti, molti autocrati con il loro seguito hanno portato le proprie fortune nei Paesi democratici e nei paradisi fiscali, che sono emanazioni dei Paesi democratici. Da notare che gli autocrati e il loro seguito, ben conoscendo il funzionamento delle autocrazie, non portano la propria ricchezza in altri Paesi autocratici, anche in presenza di occasioni di investimento, perché, conoscendoli ben, sanno che non ci sono garanzie legali.

Concludendo, abbiamo un paese che resiste alle sanzioni e che, almeno nel breve termine, riesce a crescere, ma che nel lungo termine è difficile che possa continuare a svilupparsi per i troppi nodi che deve sciogliere. La Russia, in campo economico, può, per sfuggire ai condizionamenti occidentali sviluppare dei legami con la Cina. Questi legami possono essere di natura commerciale, perché la Cina non può garantire che vi sia “certezza del diritto” nella gestione della ricchezza cumulata dalla classe dirigente russa.

2 - Demografia e Populismo

La Russia, e, fin tanto che esisteva l’Unione Sovietica, anche quest’ultima, hanno subito quattro shock demografici. Con la Rivoluzione prima, con l’esproprio degli anni Trenta dell’agricoltura per alimentare l’industrializzazione poi, di nuovo con la Seconda Guerra, e, infine, con la caduta dell’Unione Sovietica stessa. Ultimamente, con un numero di decessi minuscolo se messo in rapporto agli shock passati, abbiamo avuto il Covid e la guerra contro l’Ucraina.

Oltre a questi quattro shock maggiori e due minori, suono in atto delle tendenze difficili da ribaltare. In Russia gli uomini vivono molto meno non solo delle donne, ma anche degli uomini degli altri paesi. La ragione è l’alcolismo e la cattiva alimentazione. Questa è la popolazione già in vita che molto difficilmente potrà ribaltare i propri comportamenti. Si hanno anche le previsioni che mostrano come si avrà una minor crescita delle nascite per effetto della caduta della popolazione femminile in età riproduttiva.

Insomma, la Russia è stata, e sarà in grave crisi demografica. 

Facendo leva sulla demografia possiamo leggere due fenomeni politici. Uno interno ed uno legato all’estero.

Nel primo ciclo della presidenza di Putin l’interlocutore erano le classi medie urbane. Queste ultime sono, e non solo in Russia, lontane dalla religione, tendono a diventare cosmopolite, e fanno pochi figli. Detto in altro modo, sono molto lontane dal “Dio, Patria, Famiglia”. Nel ciclo successivo l’interlocutore della presidenza di Putin sono diventate le classi povere lontane dalle grandi città. Queste ultime, e non solo in Russia, sono, al contrario, legate ai valori tradizionali, di religione, patria, e famiglia. Quindi esiste una leva politica, legata a una grossa fetta di popolazione, che è tanto maggiore quanto maggiore è la popolazione non inurbata nei grandi centri.

La convinzione di fondo della presidenza di Putin è che una grande potenza alla fine dipende dalla numerosità della sua popolazione. Una convinzione non proprio nuovissima. Da qui la promozione sistematica di valori tradizionali, quelli che non solo sono alla base del nuovo consenso politico, che possono diventare la leva per ribaltare la crisi demografica. Perciò la presidenza di Putin promuove l’amore per la Patria, l’apologia della famiglia tradizionale, e, infine, la censura verso i comportamenti sessuali non consoni al nuovo corso.

Può essere utile ricordare la distinzione tra la popolazione “legalmente” residente, formata da tutti coloro che hanno titolo legale a risiedere nel paese e la popolazione residente, composta da quanti hanno il luogo di dimora abituale nel paese, che corrisponde al concetto statistico di popolazione de jure. Il concetto statistico non tiene conto della condizione legale, ma si limita al requisito oggettivo della residenza o dimora abituale

Da qui anche la leva per interloquire con chi in Europa e negli Stati Uniti si muove nella stessa direzione, quella della omogeneità etnica che richiede maggiori nascite che abbiano origine autoctona, quella che vuole che le nascite abbiano origine nella famiglia tradizionale, e così via. La leva della comunanza dei valori contro la deriva della modernizzazione e dell’insicurezza che quest’ultima crea è il cuore della propaganda russa verso l’estero. Quest’ultima è una propaganda sui valori. Esiste anche l’altra propaganda, quella politica, che denuncia, ma quest’ultima è diffusa fin dai tempi sovietici, il dominio occidentale sui popoli terzi. 

Concludendo, la propaganda russa cerca fra gli occidentali l’ascolto sia di chi desidera fermare la deriva della modernità facendo leva sull’insicurezza che quest’ultima alimenta, sia di chi è vicino alle tematiche che una volta erano classificate come “terzomondiste”.