Nel confronto-scontro televisivo a tutto campo tra Donald Trump e Joe Biden, che ha visto i pretendenti alla presidenza americana sfiorare la rissa su ogni argomento discusso - dalla Cina al commercio internazionale, dalle armi nucleari all’energia, dalla Russia al Medio Oriente, dall’immigrazione al cambiamento climatico - un tema è risultato stranamente assente: le politiche riguardanti la tecnologia e l’innovazione.
Ciò è singolare, poiché anche in questa materia i due antagonisti hanno posizioni assai distanti. A misurarle con precisione è una ricerca pubblicata proprio alla vigilia del dibattito dall’Itif (Information Technology & Innovation Foundation). Si tratta di un ente di ricerca nonprofit ed a-partitico che studia e promuove la diffusione dell’innovazione tecnologica negli Usa e nel mondo. Lo studio intende portare a conoscenza dell’opinione pubblica Usa la parte del programma dei due candidati riguardante questo aspetto, in genere trascurato, focalizzandosi su 11 temi principali (lo si può scaricare cliccando qui). Ecco, in sintesi, le posizioni dei due contendenti.
Le five keys
Da un punto di vista “filosofico” Trump, impregnato di un liberismo a tutto campo, fin dalla sua elezione nel 2016 ha puntato a ridurre le “barriere pubbliche” che limitano la diffusione della tecnologia e dell’innovazione riducendo le tasse alle imprese, applicando la più ampia “deregolamentazione” possibile e limitando ulteriormente l’azione dell’antitrust. Sotto la sua amministrazione, l’ammontare della spesa pubblica nella tecnologia è cresciuto (con l’eccezione di alcuni settori), anche se, secondo l’Itif, la Casa Bianca ha ridotto gli stanziamenti nella R&S vera e propria. Trump ha puntato sulle cosiddette “five keys”: Intelligenza artificiale, informazione e calcolo quantico (settore, questo, indicato anche da Biden come priorità assoluta), reti di comunicazioni avanzate (compreso il controverso 5G, in cui gli Usa, con sorpresa, si sono scoperti in ritardo rispetto alla Cina), sistemi avanzati di fabbricazione e biotecnologie. Questi cinque settori-chiave hanno ricevuto attenzioni di tutto riguardo sul piano delle risorse umane e consistenti aumenti di fondi federali. Ciò, tuttavia, è andato a detrimento degli stanziamenti verso altri comparti che, in tempi di pandemia, si sono rivelati politicamente e socialmente cruciali, come i National Institutes of Health e la National Science Foundation, nonché verso alcuni programmi scientifici del Dipartimento per l’Energia e della Nasa, la celeberrima National Aeronautics and Space Administration.
Gli investimenti pubblici
Il programma di Biden, al contrario, punta su un rilevante aumento degli investimenti pubblici in R&S (300 miliardi di dollari nel prossimo quadriennio la somma ipotizzata) e nelle “produzioni avanzate”, nonché su un più ampio ruolo del governo federale negli investimenti in cure mediche (con evidente riferimento al Coronavirus 19 e all’agognato vaccino) e in infrastrutture. Con un occhio di riguardo al “politicamente corretto”, il candidato democratico punta anche a rendere più tecnologiche le piccole imprese condotte da donne (con programmi d’investimento in venture capital per 3 miliardi di dollari) e da minoranze etniche (10 miliardi). Biden è inoltre favorevole a una maggiore tassazione sugli affari, in particolare nei confronti dei colossi multinazionali, e a un rafforzamento delle regole antitrust, specie verso le maggiori imprese che operano in Internet.
Un’iniziativa a chiaro sfondo politico è stata invece attuata da Trump con la limitazione degli ingressi negli Usa degli immigrati altamente istruiti attraverso un uso sempre più restrittivo dei visti temporanei , i cosiddetti “H1-B”: il rifiuto delle domande presentate è passato dal 5% del 2015 al 32% del primo trimestre 2019. Con questo sistema gli Stati Uniti avevano finora reclutato molti dei migliori cervelli stranieri consentendo loro, dopo 3 o 6 anni di lavoro, studio o insegnamento, di ottenere una residenza definitiva. Biden si è impegnato a eliminare tali blocchi.
La posizione attuale degli Usa
Una “scoperta” assai interessante di Itif riguarda la posizione mondiale degli Stati Uniti in materia d’innovazione: pur restando tuttora ai vertici, la loro supremazia comincia a vacillare. Un’analisi comparata, che ha esaminato i 56 Paesi tecnologicamente più avanzati, rivela infatti che, sotto il profilo della spesa procapite in R&S, gli Usa figurano appena al decimo posto. Ciò sarebbe imputabile sia a una (relativamente) ridotta spesa pubblica in materia, sia a una caduta dell’attrattività degli incentivi offerti dal sistema-Paese: sul piano fiscale, essi pongono gli Usa soltanto al 24° posto su una graduatoria di 34 Paesi. Egualmente secondo l’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo dell’Onu), pur restando i maggiori investitori quanto a ricerca scientifica, sotto il profilo dell’intensità in R & S (il rapporto tra il Pil e la spesa effettuata nel settore), gli Usa sono scivolati dal quinto posto del 2000 all’ottavo del 2019. Per tornare ai livelli di leadership dei primi anni 80 del secolo scorso - afferma l’Ocse - essi dovrebbero aumentare il bilancio federale in R&S dell’80%, cioè circa 100 miliardi di dollari l’anno per svariati anni.
Produzione avanzata e ricerca militare
Connesso al problema della ricerca è il suo impatto nel campo della produzione avanzata: come rileva Itif, essa resta il cuore del sistema produttivo americano - nel 2018, un complesso di 250mila imprese che dava lavoro al 12,7% dell’intera manodopera Usa, fatturava 2.300 miliardi di dollari ed esportava per 1.400 miliardi, con un aumento del 27% sul valore dell’export del 2010 -, ma comincia a perdere qualche colpo. Il valore aggiunto reale del settore è sceso dal 13,2% del Pil del 2007 all’11,5% del 2018, quello della fabbricazione di computer dal 12,1% al 9,7%. La produttività del settore manifatturiero è cresciuta appena dello 0,5% annuo nel quinquennio 2011-2016, mentre era aumentata del 3,2% tra il 1987 e il 2016. Mentre l’Itif propone la cosiddetta “politica delle 4 T” (tax, talent, technology, trade) quale rimedio più efficace, i due candidati alla presidenza non sembrano offrire ricette originali e convincenti.
Un’altra curiosità proviene dalla ricerca collegata al settore militare: in contro-tendenza rispetto a bilanci-record per la difesa (738 miliardi di dollari nel 2020 e 740 miliardi stanziati nel 2021), la componente per la R & S l’anno venturo sarà ridotta del 5,5% complessivo, con tagli di 284 milioni (-10,9%) per i programmi di ricerca di base, di 675 milioni (-11,1%) per i programmi di ricerca applicata e di 959 milioni (-14%) per i programmi di sviluppo di tecnologie avanzate. Un parziale “contentino” è costituito dall’aumento di 108 milioni (+3,1%) degli stanziamenti per la Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency), l’agenzia che pianifica gli sviluppi delle armi statunitensi più avanzate. Biden, pur non fornendo cifre, «non prevede grandi riduzioni nel bilancio per la difesa», ma intende apportare «importanti aumenti nella spesa federale nella R & S» militare, compresa la Darpa.
In sostanza, sostiene l’Itif, il vero problema degli Stati Uniti è che non sono più i leader globali dell’innovazione, almeno dal punto di vista procapite, e rischiano di essere superati dalla Cina in un decennio o due. Ciò avrebbe profonde implicazioni per la loro sicurezza nazionale e per il loro residuo ruolo internazionale. Dai programmi dei due candidati alla Casa Bianca, tuttavia, non si evince una linea d’intervento coerente e mirata. Al più, si notano “simpatie” settoriali che rispondono, quasi certamente, a sostegni politici da ricompensare.
Previsioni difficili
Qui il sito americano Real Clear Politics, da cui si possono attingere interessanti proiezioni di voto. Previsioni difficili, comunque per la Casa Bianca. Per accedere clicca sulla immagine o qui.
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