I Talebani si sono re-imposti all’attenzione globale con la repentina presa del potere a Kabul lo scorso 15 agosto. Avevano già governato buona parte del paese tra il 1996 e il 2001, anno in cui gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Erano poi rimasti attivi per i due decenni successivi come principale gruppo di opposizione sia alle forze USA, sia, con ancor più veemenza, al regime afghano sostenuto da Washington. Con l’annunciato ritiro delle forze americane, hanno progressivamente e inesorabilmente ripreso il controllo del Paese.
Nel baratro oscurantista
Ci si interroga molto in questi giorni su come i Talebani abbiano potuto fare tutto ciò; così come sono fondati i timori di una riproposizione del regime di fine anni 90, tra i più repressivi e oscurantisti che ci si ricordi. Per riflettere su queste questioni, è bene chiarire che cosa sia il movimento talebano; e poi come si inserisca in un quadro geopolitico di estrema complessità che inevitabilmente ne indirizza e condiziona scelte e prospettive.
Le radici Pashtun
Innanzitutto, i Talebani sono inquadrabili come un movivemto ento-nazionalista Pashtun, un gruppo etno-linguistico localizzato per la maggior parte a cavallo del confine tra Afghanistan e Pakistan. Questo confine, la linea Durand, fu tracciata dagli inglesi nel 1891 e sottoscritta dall’allora emiro dell’Afghanistan due anni dopo.
Lunga oltre 2.600 chilometri, viene riconosciuta dalla comunità internazionale come il confine de jure e de facto tra i due paesi; tuttavia, l’Afghanistan odierno non l’ha mai accettata, in quanto escluderebbe dai suoi territori la maggioranza dell’etnia Pashtun, che infatti vive per circa i due terzi in territorio pakistano. Inoltre, sebbene inferiori in numero ai Pashtun pakistani, i Pashtun in Afghanistan rappresentano oltre il 40% della popolazione e sono dunque il gruppo di maggioranza relativa nel variegato quadro etno-linguistico del paese.
In questo contesto, la porosità del confine sulla linea Durand, caratterizzata da terreni impervi, montuosi o desertici, di difficile controllo da parte di qualsiasi autorità statale, fa sì che i Pashtun si possano spostare con facilità tra i due paesi. Ecco dunque che, ogniqualvolta la preminenza del gruppo Pashtun in Afghanistan è messa in discussione, questi possono facilmente attraversare il confine ed entrare in Pakistan: dove trovano ampio supporto da parte dei Pashtun che lì vivono, e che possono così riorganizzarsi e prepararsi per opporsi ad un qualsivoglia regime ostile a Kabul. Accadde con i Sovietici negli anni 80, con il regime di Najibullah nei primi anni 90, e poi, ora, con il regime di Karzai e Ghani.
Il Pakistan e gli “studenti”
A questa capacità di trovare rifugio e appoggio in Pakistan si rifa’ il nome Taliban: un termine di derivazione araba che significa “studenti”. Indica infatti le radici del movimento che, a livello ideologico e poi organizzativo, si trova in determinate scuole islamiche, definite madrasa, che rappresentano un punto focale per il reclutamento, la socializzazione e poi l’addestramento dei miliziani talebani.
Le madrasa hanno una specifica estrazione all’interno del variegato universo dell’Islam del Subcontiente Indiano e dell’Asia Centrale. Si rifanno infatti al movimento riformista Deobandi, fondato a fine Ottocento in una piccolo città dell’Uttar Pradesh all’epoca dell’Impero Britannico. Gli studiosi della legge islamica, o ‘ulama, che fondarono il movimento intendevano in primo luogo opporsi alla presenza britannica. L’azione degli inglesi, specie a livello legislativo, giuridico, e poi anche politico e istituzionale, veniva percepita come una serissima minaccia alla sopravvivenza del modo di vivere e della cultura autoctona dei musulmani indiani.
Tra madrasa e ‘ulama
Questi ‘ulama si impegnarono quindi a preservare quello che ai loro occhi doveva essere un Islam autentico e puro, scevro da influenze esterne. Si rifacevano, in questo progetto, a una delle quattro scuole giuridiche dell’Islam sunnita, la scuola hanafita. Nel corso dei decenni, il movimento Deobandi divenne l’incubatore di una visione e un’interpretazione vieppiù rigida della giurisprudenza e dell’ortoprassi islamica.
Dopo la creazione del Pakistan nel 1947, vari gruppi politici di ispirazione Islamista, come la Jam‘iyyat al-‘Ulama’-i Islam, si rifacevano più o meno esplicitamente ai dettami del movimento Deobandi. Le madrasa di tale ispirazione cominciarono a proliferare su tutto il territorio nazionale: con l’avvento al potere, nel 1977, del generale Zia ul-Haqq si inaugurò un corso di islamizzazione forzata del Pakistan, e le madrasa Deobandi rappresentarono un canale importante per il regime per sostenere quel progetto. Da poche decine, esse diventarono migliaia.
L’Armata Rossa e la radicalizzazione
Con l’invasione dell’Afghanistan da parte dei Sovietici nel 1978, le madrasa potevano facilmente diventare centri di reclutamento e addestramento di una resistenza contro l’Armata Rossa. Afghani che avessero voluto combattere l’invasore straniero, per di più comunista e quindi ateo, trovavano facile gioco nel varcare il confine con il Pakistan, specie se di etnia Pashtun; e lì venire inquadrati attraverso la fitta rete di madrasa e moschee sostenute, più o meno esplicitamente, dal regime pakistano.
La radicalizzazione, dunque, di quello che diventerà da lì a breve il movimento talebano si articola in vari modi: perdita dei Pashtun del predominio nel paese e invasione del territorio nazionale; presenza di una struttura organizzativa e istituzionale dotata di un’ideologia militante e radicale; appoggio del regime pakistano in funzione anti-sovietica.
A corollario di quest’ultimo punto, è quasi banale ricordare come nel contesto della guerra fredda il Pakistan era sostenuto in questo sforzo sia dai ricchi stati del Golfo Persico, come Arabia Saudita ed Emirati (una relazione che non si è mai interrotta da allora), sia poi, dagli Stati Uniti.
Etnie e guerra civile
Con la sconfitta dei Sovietici, i Talebani si imposero nel 1996 dopo circa quattro anni di guerra civile contro vari signori della guerra, legati spesso a loro volta ad altri gruppi etnici presenti in Afghanistan (come l’uzbeko Dostum o il tajiko Massoud). Ribattezzarono l’Afghanistan quale emirato islamico; e applicarono le regole basate su una ormai perversa e isolata interpretazione delle posizioni Deobandi, draconiane e illiberali fino al parossismo.
Fondamentalmente, un paria a livello internazionale: il sedicente emirato ottenne riconoscimento diplomatico, non sorprendentemente, solo dai regimi che da sempre ne erano alle spalle, ovvero Arabia Saudita, Emirati e ovviamente Pakistan. Il beneplacito degli Stati Uniti era silente e implicito, ma presente.
Dopo l’11 settembre
La situazione non cambiò se non con l’attentato delle Torri Gemelle. Con l’avvento del regime Talebano, Osama Bin Laden, leader di Al-Qaeda e ispiratore degli attacchi, si era rifugiato nel paese: privato della sua cittadinanza saudita, e poi espulso pure dal Sudan di Omar al-Bashir, si era recato non solo nell’unico paese disposto ad accoglierlo, ma anche in uno che conosceva bene. Bin Laden faceva infatti parte di un contingente arabo che andò a combattere con la resistenza nazionale afghana (i mujaheddin), resistenza che comprendeva anche in nuce il futuro movimento dei Talebani.
Nel momento in cui gli USA chiesero al governo talebano, all’epoca presieduto dal Mullah Omar, di consegnare Bin Laden, questi si rifiutò. La relazione tra Al-Qaeda e il regime talebano è stato oggetto di molte speculazioni.
Talebani e a Al-Qaeda
Certo è che alcune caratteristiche importanti li accomunano: illiberalimo, rifiuto di secolarismo, democrazia, legislazione positiva, e la civiltà occidentale che ai loro occhi incarna queste istituzioni; militanza religioso-politica e ricorso alla violenza in modo sistematico; visione dell’Islam in senso puritano e anti-pluralista; avversione per minoranze specie in seno al mondo musulmano, come gli sciiti; misoginia.
Tuttavia, sarebbe ugualmente sbagliato pensare che le ovvie differenze tra Al-Qaeda e i Talebani non solo livello etnico e culturale, ma anche a livello ideologico, siano irrilevanti. Anzi: Al-Qaeda è votata alla jihad globale contro gli infedeli; i Talebani sono concentrati sulla questione etnico-nazionale dell’Afghanistan.
Al-Qaeda ha profonde radici nel mondo arabo, e rappresenta una sorta di metastasi dell’Islamismo dei Fratelli Musulmani che ha progressivamente incorporato elementi propri del Salafismo, diventandone il rappresentante più noto ed estremo. I Talebani sono invece di estrazione Deobandi appunto, con una limitata (a volte nulla) comprensione della lingua sacra dell’Islam.
Non basta. Al-Qaeda è un un’organizzazione terroristica, senza un suo territorio: risponde solo alla logica del confronto con l’Occidente, e a nient’altro. I Talebani sono un movimento numericamente molto più ampio, che invece intende governare uno stato, e che vorrebbero essere riconosciuti come tali dalla comunità internazionale: le dichiarazioni, a volte concilianti, rilasciate in questi giorni vanno precisamente in quella direzione. Essi si vogliono inserire in un ordine che, a differenza di Al-Qaeda, non hanno nessuna intenzione di rovesciare.
Attenzione ai termini
Potrà sembrare mera semantica, ma i termini scelti rivelano molto: Al-Qaeda e una creatura ad essa molto più affine perché nata dallo stesso ceppo, ovvero l’ISIS, parlano di Califfato. I Talebani di Emirato. Il primo è universale; il secondo locale: significa semplicemente “principato”. In questo contesto, l’affaire Bin Laden rappresentò per i Talebani nel 2001 uno sgraditissimo grattacapo: i Talebani mal digerivano che Al-Qaeda usasse il loro territorio come santuario per la sua crociata globale. Inevitabilmente questo avrebbe causato problemi. La relazione tra i due si trovò dunque in un vicolo cieco: consegnare Bin Lande sarebbe stato visto come tradimento della comune opposizione all’Occidente; non consegnarlo avrebbe causato l’attacco USA.
Quali conclusioni trarre?
In primo luogo, i Talebani godono di un certo supporto popolare, specie tra i Pashtun. I circa 80-100.000 uomini che compongono la milizia hanno tentato, con qualche successo, di ergersi come paladini, incorrotti e autentici, di un Afghanistan liberato dalle potenze occupanti.
Ma questo sostegno non è diffuso: non solo tra i membri delle altre etnie, ma anche presso i ceti urbani, più istruiti, e gran parte della diaspora afghana. Il che vuol dire che, come tutti i regimi afghani, i Talebani potranno controllare aree dove la loro rete etnico-militante può trovare terreno fertile; e si dovranno rassegnare ad avere sacche di territorio, più o meno estese, al di là del loro controllo, dove a loro volta vari fenomeni di resistenza posso crescere.
A questo si aggiunga che come ogni governo, anch’essi verranno infine più o meno tollerati da come governeranno, specie per quanto riguarda sicurezza, servizi pubblici e progresso economico, corruzione. Sono possibili anni di instabilità politica, violenza diffusa, e opposizione al regime: un copione non molto diverso rispetto a quello cui abbiamo assistito finora, sebbene a parti invertite.
Il rischio terrorismo e la geopolitica
Inoltre, è vero che i Talebani non hanno mire jihadiste globali. Tuttavia, come si è già visto nel caso dell’ambigua relazione con Al-Qaeda, potrebbero essere disposti ad accogliere tali movimenti sul territorio per concedere riparo e protezione.
Infine, la geopolitica. Le vicende e l’evoluzione degli ultimi giorni stanno cambiando profondamente il quadro regionale e mondiale. Il Pakistan ne esce rafforzato. Il suo nuovo alleato, la Cina, pure. L’India, nemico giurato del Pakistan e avversario di Pechino, che supportava l’ex presidente Ghani, ne esce molto indebolita.
La Russia sta a osservare con sguardo felino, consapevole, come lo è la Cina, d’altronde, che il vuoto di potere lasciato dagli USA nel Grande Medioriente da qualcuno dovrà pure essere colmato. L’Iran, potenza sciita, avversa ai sunniti radicali, siano essi i Talebani (che da sempre opprimono la minoranza sciita in Afghanistan), oppure Al-Qaeda o ISIS, potrebbe guardare con più favore a un riavvicinamento agli USA, magari resuscitando l’accordo sul nucleare rinnegato da Trump. Ma con il nuovo president Raisi, falco degli ayatollah, non sarà facile.
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