L’industria dell’auto è stata a lungo la prima industria nazionale e il riflesso condizionato di guardare ad essa per capire l’aria che tira nell’economia sarà duro a correggersi. Il 2022 sta finendo decisamente bene per la congiuntura del Pil. È probabile che la crescita messa a segno abbia sorpreso molti, costringendo a rivedere le stime iniziali sia all’Istat (+3,8%) che alla scettica Commissione europea (+3,9%). Perfino il capo dello Stato, nel suo discorso augurale, ha ricordato la crescita italiana.
E le auto, dunque? Il fine anno sarebbe da botto (+21% le immatricolazioni di dicembre), mentre l’anno intero è andato ancora in rosso (-9,7%, che vuol dire 1,31 milioni di auto immatricolate contro 1,45 nel 2021), e sarebbe il terzo anno consecutivo. In altri termini, le quattro ruote sono uno dei pochi settori che dalla pandemia non si è ancora ripreso del tutto. E allora vale la pena fare qualche riflessione e tirare qualche somma.
In primo luogo, ridimensioniamo i numeri di fine anno.
Non lo sappiamo, ma possiamo tranquillamente pensare che il mese di dicembre sia quello nel quale si immatricolano i famosi chilometri-zero, che diverranno vendite vere, scontate dell’Iva, solo nel 2023.
Già, scontate dell’Iva che i consumatori pagano, ma i commercianti no, se sono i primi intestatari di un’auto nuova. Quindi l’erario dovrebbe incominciare a pensare di mettere in conto un piccolo minor gettito. Gli sconti, peraltro, sono essenziali in un paese dove l’inflazione ha eroso il potere di acquisto dei redditi e dei salari dell’8,1% e i listini dell’auto non sono stati indietro nel proporre aumenti dei prezzi, nel tentativo di salvare la top line del bilancio dei costruttori, ossia il valore dei ricavi complessivi. Dal 2019 i prezzi di listino sono aumentati del 20%, e non è poco. in Italia la spesa media per una macchina è cresciuta di 10 mila euro in soli 11 anni, passando da 17 a 27 mila euro circa.
Nello stesso periodo, afferma l’Ocse, le retribuzioni reali in Italia sono rimaste ferme o si sono mosse meno che in qualsiasi altro paese sviluppato. Aumentare i prezzi non è detto che sia bastato a salvare i ricavi di tutti i costruttori, però, se le quantità vendute sono ancora una volta in riduzione. A ogni buon conto siamo di fronte a un fenomeno nuovo, all’economia che cresce con immatricolazioni in calo.
Le nuove generazioni di acquirenti
Quali le ragioni? Intanto il fenomeno non è locale o italiano. Le immatricolazioni stentano a riprendere il valore pre-pandemico anche in Europa e pure negli Stati Uniti. In questo caso, sommessamente ci permettiamo di mettere sul tavolo la riflessione che il numero di auto desiderate dagli acquirenti delle nuove generazioni sia inferiore a quello dei boomers, i più grandi finanziatori del mercato delle auto, ma adesso in naturale contrazione sul totale della popolazione. Insomma, i gusti sono gusti, i bisogni sono bisogni e a ogni cambio generazionale i comportamenti evolvono.
Le auto forse erano troppe prima, con i gusti di oggi, e anche in rapporto ai redditi medi di oggi, e non si può pretender di più dal mercato. Poi, le auto sono diventate un acquisto così importante da essere rateizzato da moltissimi automobilisti, ma questo era decisamente più conveniente con i tassi di interesse a zero. Adesso la musica è cambiata e le rate, i noleggi e i leasing lievitano due volte: una per la crescita dei listini e la seconda per gli interessi sul capitale preso a prestito. Inoltre, le auto sono più care non solo per strategia (ardita e forse sbagliata) di prezzo dei costruttori che cercano di far pagare agli automobilisti residui il costo delle auto che non si vogliono più.
La domanda si sta rarefacendo
Sono aumentati i costi di produzione perché sono aumentati i contenuti delle auto. Tanto più che il 43 per cento delle vendite di auto è come minimo elettrificato. Che vuol dire che ogni auto elettrificata ha componenti nuove e aggiuntive e costa di più e la sua pressione sul reddito mediano del ceto medio è aumentata. Ovvio che la domanda in queste circostanze tenda a farsi più rara. La componente elettrica più dura (PHEV e BEV) vale appena il 9,5% delle immatricolazioni del 2022 e la componente BEV appena il 4,3%. Soddisfatti? Non proprio, perché questa componente è quella che assicura il maggior beneficio in termini di decarbonizzazione e avrebbe dovuto crescere a due cifre. Invece è successo l’opposto, dal 2021 al 2022 BEV e PHEV sono perfino scesi rispettivamente del 27% e dell’8%. Terribile.
Che cosa è accaduto?
L’auto elettrica pura (BEV) è l’oggetto dei desideri di una normativa (Fit x 55) fortemente intrisa di ideologia ambientalista e poco se non nulla attenta alle questioni della sostenibilità economica, sociale, industriale e occupazionale della conversione. Ma proprio sull’auto elettrica si è abbattuta la tempesta perfetta del rialzo del prezzo del kilowattora: è più che raddoppiato, qualche volta triplicato facendo scemare il vantaggio di costo di esercizio delle auto elettriche rispetto a quelle a benzina su cui si basava il patto offerto al consumatore: «La paghi di più quando la compri, ma pagherai meno per usarla: avrai kilometri low cost a go-go».
Niente affatto.
A seconda dei modelli e del fornitore di elettricità (perché mentre il prezzo della benzina alla pompa è uguale in tutta Italia, il prezzo del kilowattora è una giungla nel quale le autority stanno cercando di mettere un po’ d’ordine, con limitati risultati), succede che da prima della pandemia a oggi il beneficio del costo variabile chilometrico delle BEV sulle auto a motore termiche si è quasi dissolto. Si mantiene inalterato per i fortunati che hanno una wall box in garage alimentata con i propri pannelli solari, ma stiamo parlando di una percentuale dei proprietari di auto immateriale, che non cambia il giudizio comune, mutato, sulle auto elettriche.
Belle, veloci, care, che costava poco far circolare, ma dopo la guerra e la crisi elettrica non convengono più.
Ne sa qualcosa perfino Elon Musk, le cui azioni hanno perso il 73 per cento dal massimo e che Paul Krugman ha paragonato con il valore effimero dei bitcoin. A dicembre 2022 Tesla ha messo in vendita per la prima volta le sue ambite auto in pronta consegna in Italia, e con uno sconto raddoppiato di 7mila dollari negli Stati Uniti; inoltre, fermerà la produzione dello stabilimento cinese in questo mese di gennaio, cosa che nessuno si aspettava. Poi c’è la questione delle infrastrutture per ricaricare le auto elettriche. Il tempo di ricarica è già un discreto dissuasore degli acquisti (salvo per chi non abbia i propri pannelli solari), ma per l’automobilista comune rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo, se non c’è una colonnina libera quando serve e dove serve. E quanto a colonnine andiamo dai 3 punti di ricarica ogni 10mila abitanti a Napoli ai 7mila a Roma. Ma nella Capitale circolano 1,75 milioni di automobili, 7.100 ogni 10 mila abitanti. Come si fa?
Le colonnine che servono sono in larga parte nel Pnrr.
Il che vuol dire che per il momento non caricano, bisogna aspettare che arrivino. Di fronte alla crisi delle vendite di auto il governo ha messo mano al suo bilancio e ha messo sul tappeto risorse per 7,8 miliardi fino al 2030. Si tratta di circa un miliardo per anno, parte dei quali destinato a rinforzare virtuosamente gli investimenti nella filiera produttiva costretta a trasformarsi e parte dei quali destinati a incentivare la domanda dei veicoli ambientalmente poco impattanti. Questa seconda parte, meglio nota come eco-incentivi, è il vero problema.
Nel passato sono stati usati più di una volta per far crescere i volumi, ma si spendono i soldi delle tasse al più per anticipare le vendite, mai per generarne di nuove. In altri termini, non si comprano auto, ossia prodotti costosi e ingombranti se non servono. Quindi, gli acquisti incentivati del 2022 sono le mancate vendite del 2023. In aggiunta, sono quasi sempre una ferita al sistema tributario, che dovrebbe essere progressivo.
Chi compra un’auto elettrica appartiene invece a un ceto medio o alto e l’incentivo equivale a uno sconto fiscale marginale, del tutto regressivo.
Nonostante queste evidenze, per un verso o per l’altro, gli incentivi sono serviti a poco nel 2022 e serviranno a meno ancora nel 2023. Pazienza, magari aiuteranno la filiera italiana, pensano alcuni. Anche qui le tabelle con i numeri sono purtroppo deludenti. È vero che il gruppo Stellantis, quello che più di tutti produce in Italia, è il primo gruppo per immatricolazioni nazionali (35,2% delle immatricolazioni). Tuttavia, se mai si considerasse il vecchio perimetro FCA, la quota di mercato dei suoi marchi è addirittura in diminuzione dal 2021 al 2022 (solo Fiat è scesa dal 15,3 al 13,6% del mercato e in passato la perdita di quasi due punti di quota avrebbe determinato qualche scossone).
Comunque, perde ancora e di nuovo peso la produzione che avviene in Italia.
Non è facile comprendere bene questa dinamica, ma storicamente la perdita di peso di Fiat è quasi sempre avvenuta a causa della mancanza di modelli che il mercato avrebbe acquistato e anche questa volta potrebbe essere successo questo: pochi lanci di auto dei marchi italiani e un solo lancio (il Suv Alfa Romeo) ben accolto, che però derivava da un progetto ereditato pressoché pronto quando è avvenuta la fusione.
Forse, per comprendere bene la salute dell’auto avremmo bisogno di dati nuovi, come gli investimenti, l’occupazione e i fatturati delle imprese che operano nell’intero sistema della mobilità, ma un osservatorio di questo genere ancora non esiste. Per lo stesso motivo anche le politiche dovrebbero essere più realistiche e cessare i bonus, che sono incomprensibili redistribuzioni dai contribuenti agli automobilisti.
Meglio sarebbe puntare sulle infrastrutture del sistema di mobilità e sulla competitività di chi produce dentro la filiera. In ultimo, se proprio si vuole insistere sull’elettrico, che i consumatori comprano poco, servono kilowattora a buon mercato e stabili, quindi bisogna rivedere l’intera rete elettrica, senza far finta di non sapere che il nucleare può produrre kilowattora a buon mercato e stabili.
L’auto elettrica alimentata da rinnovabili non sarà mai per tutti, bisognerebbe pensarci su.
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