«La risposta del governo all’inverno senza neve? Meglio di quanto potessimo aspettarci. Santanché si è rivelata preparata e sensibile e i suoi uffici pronti a dare risposte in tempi rapidi all’emergenza che ha colpito tutto l’Appennino e che rimanda la memoria al 1950, anche allora un inverno dove la neve s’era vista con il cannocchiale». Andrea Formento, direttore di Val di Luce spa, da anni animatore del comprensorio sciistico dell’Abetone e presidente di Federfuni Italia, ha tirato un sospiro di sollievo dopo l’incontro al ministero insieme con i vertici delle tre regioni più colpite: Emilia-Romagna, Toscana e Abruzzo. D’altronde lui che nell’industria dello sci ci lavora da una vita è convinto che non ci sia alternativa per la montagna. Almeno d’inverno.
Presidente, davvero sicuro che non si possano battere altre strade?
«Pensare di sostituire lo sci con altre attività è deleterio. Non si potrà in alcun modo garantire il Pil che ogni inverno genera l’industria della neve. Qui in Appenino, come sulle Alpi. Me lo dice lei quale alternativa offrirebbe a tre categorie che senza lo sci si troverebbero senza lavoro da subito? Gli impiantisti, i maestri di sci e i noleggiatori di attrezzature? O pensiamo che d’inverno si noleggino tante bici quanti paia di sci?».
Però, presidente se la neve non c’è come quest’anno, l’industria della neve resta comunque ferma. Non crede?
«Guardi siamo di fronte a una stagione anomala. Che ricorda quella di più di mezzo secolo fa. L’anno scorso per esempio per l’Appenino è stata una stagione d’oro anche se sulle Alpi ci sono state zone dove si è sofferto. E anche durante il lockdown c’era neve. Tanto che la gente appena poteva veniva su sebbene gli impianti fossero chiusi. E lo sa perché? Per il piacere di camminare sulla neve. Quest’anno di neve non ce n’è e le stazioni sono rimaste deserte».
Quindi lei insiste sull’innevamento artificiale come la carta giusta?
«E’ essenziale, di più: indispensabile. Rispetto agli anni Ottanta quando per la prima volta si è deciso che fabbricare neve poteva essere una buona alternativa alla chiusura delle piste la tecnologia si è molto evoluta. Oggi abbiamo la possibilità di produrre molta più neve di allora in tempi dimezzati».
Ma così non si mette a rischio un bene prezioso come l’acqua?
«Assolutamente no. E finalmente qualche ambientalista si sta convincendo che l’acqua che si raccoglie per garantire l’innevamento artificiale d’inverno da aprile in poi viene restituita. Anzi, grazie proprio a invasi come quello del Bilancino, qui in Toscana si è potuto fronteggiare la siccità dell’estate scorsa senza grandi problemi».
C’è chi solleva il dubbio che nella fabbricazione della neve vengano aggiunti additivi per migliorare la resistenza alle temperature. Cosa risponde?
«Da noi, non accade. In Italia si usa solo acqua. E basta. Ecco perché possiamo tranquillamente restituirla all’agricoltura».
Presidente, Marco Bussone numero uno dell’Uncem, l’unione del cui consiglio direttivo fa parte anche lei, la pensa diversamente. Ha appena lanciato un appello che va oltre le tifoserie della politica da bar e punta a riflettere in modo pacato ma con l’evidenza scientifica degli effetti dei cambiamenti climatici e del rischio che investire in impianti invernali sotto i duemila metri non abbia più senso. Cosa replica?
«Marco è un amico, ma stavolta non condivido la sua presa di posizione. Anzi, le aggiungo che mi è parsa inopportuna. Per la prima volta troviamo nel governo un interlocutore che ha orecchie attente verso il settore e l’innevamento artificiale e noi andiamo a proporre di dismettere gli impianti sotto una certa quota? Ripeto: per proporre in alternativa cosa? Perché la montagna non si salva con le ciaspole. Non bisogna mai dimenticare che i turisti d’estate vengono sulle Alpi o in Appenino in cerca di fresco e d’inverno perché c’è la neve. Se manca quella naturale, noi dobbiamo fabbricarla. Ecco perché è importante avere il sostegno del governo».
Dunque tutto sbagliato, tutto da rifare in quel che dice Bussone?
«No, senza dubbio è giusto studiare alternative da affiancare allo sci come è bene per esempio nelle stazioni dell’Appenino favorire una ristrutturazione degli alberghi per puntare sempre di più a destagionalizzare il turismo e a sostituire il mordi e fuggi con presenze più lunghe, almeno nel weekend, ma allargandolo alla settimana. Così come bisogna creare a livello di valle, di comprensorio, non di paese, una rete di strutture che offrano la possibilità di giocare a padel o di farsi una nuotata spostandosi di pochi chilometri. Da un posto all’altro. E poi bisogna garantire connessioni alla rete che funzionino. Ancora prima di altri servizi. Oggi chi pensa a un eventuale ritorno in montagna grazie allo smart working ha come priorità la garanzia che Internet non si inceppi o sia lento».
In sostanza lei cosa si aspetta?
«Strumenti adeguati per lavorare. E dunque innevamento artificiale e connessione internet efficiente per fare due esempi. Il montanaro non ama l’assistenzialismo, chi vive nelle terre alte preferisce darsi da fare. Ma va aiutato».
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