Dalla prima tornata elettorale del 10 aprile, la Francia è uscita polarizzata, con un importante centro macronista che ha aggregato sia il centrodestra neogollista sia il centrosinistra socialista, e le opposizioni spostate su posizioni estreme; i grandi partiti storici socialista e repubblicano si sono ridotti a parvenze di se stessi.
L’inedito scenario della guerra in Europa ha cambiato i toni del dibattito politico, ma non le aspettative dei francesi sulla sicurezza economica.
Il potere d’acquisto è il primo tema del dibattito politico in atto. Dopo la grande crisi finanziaria globale del 2008-2009 il senso di distanza ed esclusione dei cittadini dai governanti è aumentato. Questo malessere ha certo avvantaggiato Marine Le Pen, a capo del Rassemblement National, così come l’affermazione del radicale di sinistra Jean-Luc Mélenchon.
Nella Francia periferica, mineraria e rurale, per anni i villaggi hanno guardato al partito comunista in cerca di supporto ideologico e morale ma adesso non si sentono più rappresentati. La perdita dei valori tradizionali del lavoro coincide con mutamenti che appaiono demolire il paese, la storia, le società. È nel cuore di questi piccoli villaggi che si colgono la disperazione e gli effetti di una metamorfosi epocale, con un abitante su cinque che vive al disotto della soglia di povertà. La gente teme il declino della nazione, gli sconvolgimenti economici e l’estremismo islamico.
Le connessioni tra le città
Nella precedente tornata elettorale lo scienziato politico Jérôme Fourquet, scoprì che quanto più vicine e connesse erano le piccole città con le grandi, più ampio era il voto per Emmanuel Macron. Nella regione parigina, nei comuni collegati da una stazione ferroviaria il 77 per cento degli elettori votò a favore di Macron nel secondo turno. Invece, nelle aree semi-rurali che distavano più di 20 km dalla stazione, dove la gente conta solo sulle auto per spostarsi e i costi della benzina sono spaventosi, fu favorita Le Pen.
Riconciliare e connettere la Francia con le sue periferie disagiate potrebbe essere la maggior sfida per Macron se egli vincesse, come appare probabile, il secondo turno.
Il quadro economico
Fino ad alcuni mesi addietro, il dibattito fra i canditati alle elezioni presidenziali francesi si è concentrato su temi identitari e sull’immigrazione. Con l’entrata di Macron in lizza per la rielezione, gli analisti attendevano uno spostamento del dibattito sulle questioni economiche. A febbraio l’economia francese ha ecceduto le attese, il Pil è tornato ai livelli pre-pandemici.
Nel 2021 il tasso di crescita è stato del 7 per cento, il migliore da oltre mezzo secolo, e più vivace di quelli tedesco, italiano e spagnolo. Anche il mercato del lavoro è migliorato, la disoccupazione è scesa al 7, 2 per cento nell’ultimo trimestre 2021, dal 9,2 del 2017. Ed è crollato il numero di coloro in cassa integrazione (da 8,4 milioni aprile 2020 a 420,000 alla fine dello scorso anno). Naturalmente, questi risultati dimostrano, dopo anni di pandemia, la resistenza del settore privato nel creare posti di lavoro, in parte anche grazie alle riforme del mercato del lavoro introdotte nel 2017.
È cresciuto di due volte e mezzo circa il numero degli apprendisti e il tasso di occupazione della popolazione attiva, nella fascia d’età 15-64 anni, è aumentato. Il reddito medio delle famiglie, sotto la presidenza Macron, è migliorato; e il governo francese è riuscito con provvedimenti fiscali e di natura dirigista a bloccare il caro energia e il processo inflazionistico ad esso collegato.
L’altro lato della medaglia è l’indebitamento record dello Stato, con la Francia che si inserisce nel gruppo dei paesi più indebitati dell’euro zona insieme a Italia, Grecia, Spagna; mentre resta in sospeso la riforma dell’età pensionabile, accantonata da Macron per le proteste dei francesi ma che dovrà essere affrontata dal prossimo presidente. Soltanto candidati populisti come, a sinistra, il radicale Jean-Luc Mélenchon e, a destra, la nationalista-populista Le Pen hanno promesso di abbassare l’età pensionabile.
La supremazia in Europa e il rapporto con Mosca
A livello di politica estera, con lo sguardo rivolto al passato Marie Le Pen vuole ritirare Parigi dalla struttura di comando integrato della Nato. Forse non vuole più uscire dall’euro, ma la battaglia con l’UE si concentrerebbe sulla preminenza della legge francese, e per ridurre i pagamenti a Bruxelles. Una vittoria di Le Pen rafforzerebbe anche la destra estrema in Europa, e influirebbe sull’ Italia che dovrà affrontare le elezioni il prossimo anno.
Il punto è che la Francia non ha mai rinunciato alla sua supremazia in Europa. E ciò ha comportato politiche ambigue nei rapporti con Mosca. Come il presidente generale Charles de Gaulle ebbe a dichiarare polemicamente nel 1959, in piena guerra fredda, l’Europa si estende dall’Atlantico agli Urali. L’uscita dal comando integrato della Nato, da lui compiuta nel 1966, fu funzionale a rimarcare la sovranità francese e l’autonomia rispetto all’egemonia americana.
Il fil rouge
Il filo rosso della politica estera francese corre da decenni su questo doppio binario: l’autonomia da Washington e le convergenze con Mosca. Anche il presidente Macron, nel suo discorso europeista alla Sorbona, il 26 settembre 2017,ha riproposto l’Europa delle “cooperazioni rafforzate” a trazione francese, nel solco della continuità̀ di visione con i suoi predecessori all’Eliseo, senza alcuna prospettiva di unificazione politica e di un’incipiente architettura di tipo federale. In quello pronunciato il 17 aprile 2018 all’Euro-parlamento ha difeso invece l’idea di “una nuova sovranità̀ europea” che non sostituisca quelle attuali ma che le completi per rispondere al “disordine mondiale”. Il peso della storia ha finito per condizionare le successive dichiarazioni di sovranità strategica europea.
Il difficile equilibrio
L’ambivalenza nei riguardi di Mosca è una tradizione per i francesi, come ha ben ricostruito lo storico Robert Zaretsky. La sovranità strategica dell’Europa presenta infatti molte falle. A cominciare dal naufragio della iniziativa politica di dissuasione, da parte di Macron, con Putin. La guerra in Europa ha distratto l’attenzione dal voto, ma Parigi è la seconda potenza economica dell’euro-zona e la sola credibile potenza militare. Un sovvertimento del suo ruolo sconvolgerebbe i fragili equilibri dell’intera costruzione europea.
Le Pen ha concentrato la sua campagna sulle difficoltà economiche. Le priorità degli elettori sono per il declino nel potere d’acquisto, e le sanzioni attuali possono esacerbare queste paure. D’altra parte, Le Pen ha sostenuto un riavvicinamento strategico fra Nato e Russia, nonché un’Unione europea basata su un'Alleanza europea delle nazioni che porrebbe fine al processo di integrazione europeo.
Il laboratorio
La Francia, dunque, è di fronte a noi come laboratorio del malessere sociale post-globalizzazione, della battaglia per il clima e delle tensioni geopolitiche attuali. La narrazione socialdemocratica ha fatto il suo tempo da almeno due decenni, come dimostra la parabola del partito socialista francese. Ma la gente è disillusa sia degli uni che degli altri.
Ineguaglianza e insicurezza restano questioni cruciali.
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