Sono quasi trascorsi due anni da quel 3 luglio 2020, quando fu lanciata l'idea di portare a Torino l'I3A, l'Istituto Italiano per l'Intelligenza artificiale. Pochi mesi dopo il governo Conte bis assegnò al capoluogo piemontese la sede principale del Centro. Poi, poco per volta, un tema presente per mesi sulle pagine dei quotidiani subalpini e non solo, è andato perdendendosi. Come mai?

Don Luca Peyron, il vulcanico sacerdote torinese tra i principali artefici della proposta, commenta con ironica amarezza: «Ormai non si può parlare di stand by. Direi che dopo tutto questo tempo il progetto è pressochè morto, ma siccome sono un prete continuo a credere in una possibile resurrezione».

«La legge - incalza Peyron - prevede a Torino un centro nazionale per l'intelligenza artificiale, per automotive e aerospazio. I fondi necessari, 21 milioni di euro, sono stanziati e nonostante questo il progetto è al ministero fermo in attesa del passaggio successivo, che è la nomina di un Comitato, che scriva lo Statuto e dia il kick off al tutto. Per diversi mesi dal Governo si è detto che era questione di giorni, poi ora il silenzio. A livello torinese mi è stato detto che in consiglio comunale sono state presentate delle interpellanze. Ma anche quelle sono ferme».

Tutto maledettamente fermo

Come mai? Per don Luca Peyron «siamo ovviamente nelle ipotesi: o si è deciso che questa cosa non si deve fare e si lascia che il tempo la seppellisca o qualcun altro ha deciso che questa cosa si deve fare in modo molto diverso in un altro posto o in un'altra forma. È una disdetta, perchè i ricercatori per primi dicono che per incidere su questi temi è necessario fare massa critica, questa sarebbe la strada per il bene comune, in cui non guadagna qualcuno in particolare, o i molti noti, ma tutti».

Le ricadute che sembrano non interessare

Avere a Torino la sede del Centro italiano per l'intelligenza artificiale avrebbe comportato, secondo le stime fatte a suo tempo, ricadute pari a 600 posti di lavoro e oltre 800 milioni di investimenti. «C'erano ipotesi ora assolutamente obsolete di occupazione diretta da parte dell'istituto che si trovavano nel business plan versione 2019 della strategia - interviene  Vittorio Di Tomaso, presidente del gruppo Ict dell'Unione industriali di Torino -. Il punto vero, però, non è l'occupazione diretta che l'istituto può produrre quanto l'effetto leva che può creare, anche se al momento è diffiicile da quantificare».

Non basta. «Se il centro oggi esistesse - aggiunge ancora don Luca Peyron -  potrebbe catalizzare molte risorse, dal Pnrr e non solo, sarebbe il soggetto che dialoga con l'Unione Europea, saremmo uno dei paesi più avanzati con buone possibilità di candidarci ad una guida continentale. Avremmo anticipato quanto oggi L'Europa chiede agli stati ed a se stessa. Ma la storia, sappiano non si fa con i se».

La situazione potrebbe cambiare? 

Che le cose possano cambiare, don Peyron non appare particolarmente fiducioso: «La situazione è in stand by da troppi mesi. Come intepretiamo, da fuori tutto questo? La logica ci dice che non ci sono molte ipotesi possibili. Forse un disinteresse degli stakeholder, o la non possibilità di incidere a livello nazionale. Il compito della Chiesa è quello di attivare processi virtuosi, di accompagnarli quando è capace. Sul centro ci siamo spesi molto raccogliendo consensi ed una proposta. Ora credo tocchi ad altri. Diversamente diventa una battaglia di parte o personale, non è nelle nostre corde ".

Nel documento «Proposte per una Strategia italiana per l'intelligenza artificiale», pubblicato sul sito del Mise, si dice, tra l'altro: «Proponiamo di creare una struttura di ricerca e trasferimento tecnologico capace di attrarre talenti di prima classe del "mercato" internazionale e contemporaneamente diventare un faro per lo sviluppo dell'AI in Italia».

Fonte: MISE - Proposte per una Strategia italiana per l‘intelligenza artificiale

Si tratta - viene aggiunto - di una struttura composta da due elementi fondamentali: «Un istituto propriamente detto e una struttura parallela sinergica ad esso per il trasferimento tecnologico dell'AI. L'Istituto dimensionato per essere competitivo a livello internazionale (es. mille persone) necessita di un finanziamento a lungo termine di circa 80 milioni l'anno a regime. Questo consentirebbe di avere un hub (laboratori centrali) con 600 persone e dieci centri in connessione con le università o altri istituti con circa 35 persone ciascuno».

Fonte: MISE - Proposte per una Strategia italiana per l‘intelligenza artificiale

Qualcuno risponde? Qualcuno ci spiega?

Sulla situazione di stallo del centro I3A, Di Tomaso dell'Unione Industriali insiste: «Proviamo a capire se ancora si pensa che questa struttura possa servire. Magari ci sono motivi per pensare che non serve più. Lo facciamo o no? Olanda e altri Paesi lo hanno fatto, ha senso per noi farlo?». E ancora: «L'IA promette essenzialmente due cose: generare nuovi modelli di business e ottimizzare quelli che ci sono. È una partita fondamentale specie per un Paese manifatturiero come l'Italia. La vogliamo giocare? Con quale strumento?».

Nel frattempo, sono ancora parole di Di Tomaso, «sono successe molte cose: abbiamo il mondo della ricerca, quello delle grandi aziende che vanno avanti. A Torino l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha dichiarato la centralità dell'intelligenza artificiale per la più grande banca del Paese, e si sta costituendo un Centro; c'è l'operazione, Tim con Google e con Intesa Sanpaolo, dei nuovi data center; ci sono aziende arrivate in città ad insediare laboratori legati al mondo dell'IA, c'è tutto il tema dell'aerospazio. È nato l'acceleratore delle Ogr, è arrivato quello sullo spazio. La situazione sta evolvendo, non soltanto a Torino, ma l'I3A non è andato avanti. Ed è calato il silenzio su due domande. La prima: "Ci serve ancora?". La seconda: "Dove lo facciamo?". Non è neanche un problema di soldi. Insomma tutti i pezzi sembrano esserci, eppure non si parte. Qualcuno può spiegare perchè?».

L'economia digitale in Europa e USA
L'economia digitale in Europa e USA
% del PIL derivante dal settore digitale 2015-2020 - Fonte: BCE

Signor viceministro, che sta succedendo?

Il viceministro dell'Economia Gilberto Pichetto Fratin, piemontese di Biella, più volte intervenuto, in passato, sull'argomento, conferma a Mondo Economico: «Il punto è la creazione del Comitato ed è un tema che va affrontato di concerto tra tre ministeri: il Mef, il Miur ed il Mise. Diciamo che non c'è ancora un punto di caduta sulla modalità. Da parte mia mi auguro che ci sia al più presto il provvedimento ma per ora non c'è. Spero proprio che presto si riesca a fare».

Ma c'è stato un cambio di idea sulla realizzazione del Centro a Torino? «Il Mise non ha cambiato idea. Vediamo di trovare un accordo», taglia corto il viceministro.

Eppure il tema è più che mai urgente ed attuale. Da una recente ricerca della "Rome Business School", istituto di formazione post-universitaria membro di Planeta Formacion y Universidades di De Agostini e Gruppo Planeta, emerge che «rispetto ai 27 stati Ue, l'Italia è al 17 posto per fattori abilitanti della trasformazione digitale, al 18 per digitalizzazione della PA, al 20 per digitalizzazione dell'economia e della società, al 23 per digitalizzazione e al 25 per diffusione delle competenze digitali». E questo nonostante in Italia il mercato dell'IA sia cresciuto del 27% nel 2021, raddoppiando il suo valore in appena due anni.