Il vento della destra non soffia sulla Spagna. Smentendo sondaggi ed exit poll, che davano per certa la maggioranza assoluta a Pp e Vox, le elezioni anticipate si sono concluse con un pareggio e un non così improbabile ritorno alle urne già in inverno per risolvere l’impasse. I popolari di Feijòo hanno vinto, conquistando 136 seggi, 47 in più rispetto alla precedente legislatura. Ma gli alleati di Vox, partito di estrema destra per il quale tifa Giorgia Meloni, è crollato, perdendo più di un terzo dei voti e scendendo a 33 eletti (19 in meno). E, soprattutto, ha tenuto il Psoe del premier uscente Sanchez che aveva deciso di anticipare le elezioni dopo la sconfitta nelle amministrative di maggio per contrastare l’ondata di destra.
Il partito socialista, nella sostanza, è rimasto stabile, conquistando due seggi in più (122). E anche l’alleato Sumar, che ha messo insieme venti sigle della sinistra, guidati da Yolanda Dìaz, ministro del lavoro uscente, ha raccolto 31 seggi. Diventeranno decisivi per vincere l’impasse (servono 176 seggi per governare) ed evitare un nuovo ricorso alle urne i partiti locali che hanno in tutto 28 seggi. In particolare, il giorno dopo le consultazioni, viene indicato come ago della bilancia il partito Junts, che riunisce gli indipendentisti dell’ex presidente catalano Puigdemont, in esilio in Belgio dal 2017. Si vedrà.
Quel che è certo è che la marcia delle destre verso la conquista di Bruxelles tra poco più di dieci mesi (si voterà dal 6 al 9 giugno 2024) subisce uno stop dopo le vittorie in fila in Svezia, Finlandia, Italia e Grecia. Ora l’attenzione si sposta sull’autunno quando andranno alle urne altri due dei 27 Paesi che danno vita all’Unione Europea: Polonia e Olanda. E in entrambi gli stati si profila uno scontro incerto tra le destre (al governo in entrambi i Paesi) e la sinistra.
In Olanda dopo le dimissioni del premier Rutte, che non si ricandida, c’è molta attesa per vedere quale risultato otterrà Frans Timmermans, vicepresidente Ue e padre del “Green deal” che ha deciso di lasciare Bruxelles per portare alla vittoria la coalizione che riunisce verdi e socialisti, sfidando il Partito dei contadini, pronto ad allearsi con la destra estrema. A Varsavia, secondo gli ultimi sondaggi, vincerebbe il centrosinistra con 216 seggi contro i 195 attribuiti alla Destra Unita. Ma sarebbe una vittoria di Pirro perché diventerebbero fondamentali per la formazione del nuovo governo i voti dell’estrema destra Konfederacja con 48 parlamentari.
Si tratta di un quadro tutt’altro che chiaro in vista del rinnovo del Parlamento europeo che ora si regge su una coalizione tra Popolari (Ppe), Alleanza progressista (S&D) e Renew, con Ursula von der Leyen pronta a un secondo mandato come presidente della Commissione. Decisivo sarà il travaglio all’interno dei Popolari, dove il leader Manfred Weber (che nel 2019 non era riuscito nel sogno di guidare la coalizione) spinge per cambiare alleati dopo la lunga stagione accanto ai socialisti europei che, peraltro, hanno consentito al partito che raccoglie più consensi in tutta Europa, di esprimere sempre il presidente.
Weber immagina e lavora per un’alleanza con i conservatori di Ecr che hanno in Giorgia Meloni la nuova leader e che sono dati in ascesa in tutto il Continente. Insomma, la premier italiana potrebbe licenziare la presidente von der Leyen con la quale in questi mesi ha comunque collaborato a stretto contatto, come prova la partecipazione della leader europea al summit di Roma sull’emigrazione. Decisivo diventerebbe il posizionamento di Renew, la formazione liberale che ha in Macron il regista e che in Italia è rappresentata da Azione e Italia Viva. E non è così scontato che il presidente francese accetti un’alleanza che comprenda anche Meloni.
Resta un’alternativa: che i popolari dicano sì a una coalizione che prenda tutta la destra, compresa quella estrema e meno europeista, raggruppata in Identità e Democrazia. I sovranisti d’Europa insomma, da Marine Le Pen a Matteo Salvini. Ma è una prospettiva che potrebbe spaccare i Popolari, proprio come è accaduto meno di un mese fa al Parlamento europeo quando Weber ha tentato la conta, puntando a far votare lo stop al “Green deal” invocato da Ecr. Uscendone sconfitto.
Interessante, ma più per gioco che per un vero esercizio di democrazia, può essere l’ultimo sondaggio pubblicato da Euroactiv. Il Ppe – dato per vincente in dieci stati, tra i quali Germania, Spagna e Portogallo - resterebbe il primo partito, pur arretrando a 161 seggi (16 in meno). L’Alleanza progressista di socialisti e democratici – che trionferebbe in sei Paesi tra i quali Romania e Svezia – sarebbe stabile con 142 seggi (uno in meno). In frenata i liberali di Renew Europe (in testa in Danimarca, Estonia e Cechia) che scenderebbero da 101 a 87 parlamentari. I conservatori di Ecr – sotto la spinta di Italia e Spagna dove sono annunciati vincitori – salirebbero a 83 seggi, incassandone 17 in più. Crescita moderata per i sovranisti che grazie ai successi annunciati in Francia e Austria conquisterebbero 69 seggi, sette in più di adesso.
La Sinistra Europea che si regge quasi tutta sul successo dei Verdi in Irlanda è data a 50 seggi, in crescita di 13 rispetto ad oggi. Più o meno la stessa forza che viene attribuita ai “Non iscritti” che comprende formazioni sia di destra sia di sinistra non schierate. Secondo il sondaggio Ppe, S&D e Renew Europe avrebbero ancora i numeri per governare: 390. Ne bastano 353 per conquistare la maggioranza. Ma appunto è l’ipotesi di un sondaggio. Senza dimenticare quel che diceva Haron Wilson: “In politica un anno è lungo come un decennio”.
© Riproduzione riservata