Non pensiamo che sia un’esagerazione affermare che ci siano più modelli statistici e matematici dedicati alla pandemia della Covid-19 e al virus SARS-CoV-2 che l’ha causata, rispetto a quante siano le varianti dello stesso virus.

Ne abbiamo preparato, con altri studiosi, uno anche noi: si può esaminarlo, con tutta la documentazione, cliccando qui

In che cosa il nostro modello si differenza dagli altri? Nella metodologia di costruzione degli agenti e di lettura dei risultati, fortemente determinate dall’analisi esposta qui di seguito. Si tratta di uno sguardo in avanti, in una prospettiva secondo cui potrebbe essere anche vero che la pandemia ci sta insegnando qualcosa di molto importante. Il nostro modello propone anche delle azioni che sarebbero utilissime subito, ora a ottobre 2020, e in questa stessa rivista un altro articolo ne dà conto.

 

La correttezza delle previsioni di un modello di simulazione dipende molto dalla definizione degli agenti che lo abitano: per noi, una definizione squisitamente medico/biologica, basata sul tipo di risposta dei diversi organismi incontrando il virus.

Tutti i giorni leggiamo notizie contrastanti su chi è infettivo e chi no, per quanto tempo e per quante volte lo è. In assenza di dati certi è opportuno stabilire dei criteri, vaghi – anche se ragionevoli – perché non certi, da modificare in corso d'opera sulla base di dati reali. Per stabilire quei criteri è opportuno definire il quadro generale di come nascono, si diffondono e si selezionano i virus a RNA come il Coronavirus.

Per comprendere il significato di quello che succede con la diffusione del SARS-CoV-2 è prima di tutto necessario liberarsi dai preconcetti troppo umani che portano a vedere il virus come un nemico da combattere con gli strumenti tipici della guerra: tenere il nemico lontano e ucciderlo, quando possibile. Può darsi che questa tattica funzioni con altri umani, o con i lupi e gli orsi, che sono grandi e stanno fuori di noi, anche se qualche dubbio sull'utilità delle guerre, di qualunque tipo, sarebbe ragionevole averlo.

Il genoma umano

A maggior ragione è lecito dubitare che si possa impedire ai virus di colonizzarci. Il genoma umano è pieno di geni derivati da batteri e virus di tutti i tipi. L'utilizzazione di quei geni ha portato l'uomo a diventare quello che noi conosciamo. Sarebbe difficile sostenere che essendo i mitocondri degli antichi batteri aerobi dobbiamo liberarcene, in quanto estranei. Da una molecola di glucoso, senza mitocondri produrremmo 2 ATP (l'ATP, o adenosina trifosfato, è richiesto dalla quasi totalità delle reazioni metaboliche); con i mitocondri ne facciamo 38. Diciannove volte tanto di energia!  Quando, usando gli antibiotici di ultima generazione che bloccano il metabolismo o la sintesi del DNA dei batteri, riduciamo l'attività dei mitocondri e abbiamo forme gravi di tossicità.

Se guardiamo al comportamento del virus dell’attuale pandemia e alle caratteristiche, per quel poco che finora ci è stato dato conoscere, dei pazienti che muoiono per colpa sua, troviamo persone fragili perché molto anziane, ammalate, malnutrite o socialmente svantaggiate o adibite a lavori usuranti in condizioni ambientali non idonee. In una prospettiva puramente biologica, questo virus contribuisce a eliminare gli elementi della specie Homo Sapiens meno capaci di sopravvivere in quanto fragili, talora per motivi biologici, talora per motivi sociali. Quello che ne risulta è una dura selezione degli individui più forti e resistenti. Dal punto di vista non del singolo, ma della specie, un virus perfetto, che seleziona una popolazione di individui molto efficienti. Lottare contro questo virus diventa difficile: è nemico per alcuni individui, ma utile per la specie. La storia ci insegna che le caratteristiche utili per la specie prevalgono sempre su quelle utili per l'individuo. Lottare contro il virus è quindi una strategia perdente per definizione. È molto più semplice ridurre il numero degli individui fragili, ma per fare questo dobbiamo capire chi davvero sono i fragili.

Le persone più fragili

Gli anziani sono i più fragili, ma la vecchiaia è un fenomeno naturale, non possiamo sentirci in colpa perché esiste. Per tutti gli altri, cioè quelli fragili per via del lavoro in condizioni difficili, i poveri nutriti male e obesi, i pazienti curati con complesse terapie farmacologiche sintomatiche che alterano il loro metabolismo rendendoli più sensibile alle infezioni, le persone esposte a inquinanti di vario tipo, avere un senso di colpa è assolutamente corretto.

Nessuno vuole avere sensi di colpa per aver creato una società ingiusta, che ha anche prodotto la minoranza dei super ricchi, per cui tutti cercano una cura valida per tutti. Ecco il vaccino! Utile soprattutto alle multinazionali che lo producono, senza affrontare la complessità del mondo reale in cui muoiono sempre gli stessi tipi di persone, che andrebbero curate singolarmente per ridurne la fragilità, ma che di fatto sono trattate come un semplice numero di ricoveri in terapia intensiva o decessi, in attesa del vaccino panacea.

Si potrebbe sapere chi sono, si potrebbero cercare dei marcatori per identificare successivamente i fragili da proteggere, in modo da lasciare tutti gli altri liberi di vivere, di produrre, di spendere.

L'ostacolo più grande a questa presa di coscienza è il fatto che ci costringerebbe ad ammettere che i veri valori della nostra società rischiano di essere la ricchezza e il potere e non la persona, ogni singola persona. Vogliamo una cura uguale per tutti, fragili e non fragili, fintamente democratica. Ma i non fragili non ne hanno bisogno e i fragili potrebbero essere trasformati in non fragili, con percorsi personalizzati, anche poco costosi. Ma chi ha la capacità e la voglia di farlo?

Mettiamo alla prova tutto il ragionamento con una azione specifica, molto diretta e anche fattibile (probabilmente sarebbe sufficiente una circolare dell’INPS): i lavoratori in condizione di fragilità e che non posso operare in remoto, si assentano dal posto di lavoro in congedo per malattia. L’articolo parallelo, qui su Mondo Economico, ne dà conto.