Nel 2020 i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro evidenziano un relativo peggioramento della condizione occupazionale dei più giovani. Considerando il tasso di occupazione, nel terzo trimestre del 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il dato è risultato infatti in calo dell’1.3 per cento per i lavoratori nella fascia di età 35-64 anni e del 5.2 per cento per i lavoratori nella fascia di età 15-34 anni.

Da un lato, l’ingresso nel mondo lavorativo al termine di un percorso di studi è reso più complicato dal contesto recessivo, con meno giovani che trovano un lavoro, pur cercandolo, o con meno persone che decidono persino di impegnarsi in attività di ricerca. Dall’altro lato, l’alta percentuale di giovani lavoratori occupata con contratti a termine ha reso questa categoria fortemente esposta al rischio di perdita del posto di lavoro – considerando la sola categoria dei dipendenti, il 34.3 per cento dei lavoratori sotto i 35 anni nel terzo trimestre del 2020 è risultata occupata con un contratto a termine; la stessa percentuale per i lavoratori con più di 35 anni scende invece al 9.7 per cento.

 

La crescita del 2020

In questo contesto, non sorprende quindi come la percentuale di giovani senza un’occupazione e non impegnati in attività di studio o formazione abbia subito una leggera crescita nel corso del 2020. Come spesso accade, l'aggiornamento del dato relativo alla percentuale di giovani che ricade in questa categoria – comunemente riconosciuti come Neet – ha ricevuto molta attenzione mediatica, benché in diversi casi sommaria e quindi poco utile a comprendere il fenomeno.

Proviamo allora a fornire alcuni semplici strumenti per leggere i numeri in maniera appropriata.

Chi sono?

Con l’acronimo Neet s'identificano le persone sotto i 29 anni di età che non sono impegnate in attività di studio o formazione, e che risultano prive di una occupazione. All'interno di questo gruppo, considerando le persone che non studiano, possiamo quindi distinguere tra

  1. coloro che vorrebbero lavorare, sarebbero disponibili a farlo e stanno attivamente cercando una occupazione – i.e. i disoccupati
  2. coloro che vorrebbero lavorare ma non stanno attivamente cercando o non sarebbero disponibili a lavorare da subito – i.e. le persone debolmente attive
  3. coloro che invece non sono interessati a lavorare – i.e. gli inattivi.

La percentuale. I giovani 15-29 anni per condizione professionale in Italia
La percentuale. I giovani 15-29 anni per condizione professionale in Italia
Fonte: Istat, ultimi dati 2019

I dati dell’Istat

Secondo i dati diffusi dall’Istat, nel 2019 il 47% dei giovani sotto i 29 anni di età è risultata impegnata in attività di studio. Il grafico a torta qui sopra mostra come questo gruppo di persone non sia interessata ad attività lavorative, se non con percentuali davvero ridotte. Tra coloro che invece non sono impegnati in formazione, solo il 55% risulta occupato. Il 16% è attivamente alla ricerca di una occupazione e il 13% manifesta la volontà di lavorare sebbene non stia attivamente cercando o non sia disponibile a lavorare da subito.

Infine, una percentuale relativamente alta tra coloro che non sono impegnati nello studio non manifesta alcun interesse verso il mondo lavorativo. Le ragioni che portano le persone a collocarsi in questo gruppo sono diverse; tra le altre, il fatto che alcuni di loro hanno smesso di cercare una occupazione perché ritengono troppo basse le probabilità di trovarne una. Come si può ben comprendere da questo grafico, il gruppo dei Neet – che nella figura corrisponde a tutti coloro che non sono studenti e che non sono occupati – mostra diversi gradi di eterogeneità al suo interno, i quali risultano importanti per comprendere e quindi affrontare il problema.

Benché il fenomeno dei Neet sia diffuso nella maggior parte dei paesi europei, l'Italia registra numeri decisamente più alti della media. La mappa qui sotto mostra infatti come la percentuale di giovani sotto i 29 anni che non studiano e che non lavorano sia particolarmente elevata nel nostro Paese – (mappa 1). Anche considerando il solo gruppo di giovani inattivi che non studiano – ed escludendo quindi dal conteggio i debolmente attivi e i disoccupati – l’Italia risulta tra i paesi europei con il dato più alto – (mappa 2).

La mappa/1. Percentuale di non studenti e non-occupati 15-29 anni in Europa
La mappa/1. Percentuale di non studenti e non-occupati 15-29 anni in Europa

La mappa/2. Percentuale di non studenti e inattivi 15-29 anni in Europa
La mappa/2. Percentuale di non studenti e inattivi 15-29 anni in Europa
Fonte: Eurostat, dati 2019

Le mappe 3 e 4 mostrano invece come il nostro paese non presenti dati nettamente peggiori rispetto alla media europea quando si prendono in considerazione i giovani che non studiano e che stanno però attivamente cercando un lavoro – i disoccupati – o coloro che non studiano e che sono comunque debolmente attivi – rispettivamente mappa 3 e mappa 4. Questo primo confronto, seppur parziale, suggerisce la necessità di mettere in campo, in Italia, politiche che abbiano l’obiettivo di attivare le fasce di età più giovani nel mercato del lavoro con politiche che guidino queste persone nella ricerca di una occupazione. Parallelamente, incentivi per prolungare i periodi di formazione andrebbero a ridurre il fenomeno sia direttamente – con una minore permanenza nell'inattività – sia indirettamente, con più alte probabilità di impiego una volta terminata la fase di formazione.

La mappa/3. La percentuale di non studenti e disoccupati 15-29 anni in Europa
La mappa/3. La percentuale di non studenti e disoccupati 15-29 anni in Europa

La mappa/4. La percentuale di non studenti e debolmente attivi 15-29 anni in Europa
La mappa/4. La percentuale di non studenti e debolmente attivi 15-29 anni in Europa
Fonte: Eurostat, dati 2019

Focalizzandoci sul caso italiano, i microdati resi disponibili da ISTAT e ottenuti dalle rilevazioni sulle forze di lavoro permettono di individuare quali siano le categorie demografiche che nel nostro Paese sono più esposte al rischio di rimanere privi di una occupazione, e al contempo di non essere impegnati in attività di studio. Se i grafici precedenti mostrano come sia l'inattività uno dei fattori che più di altri determina l'alta percentuale di NEET in Italia, un'analisi effettuata su diversi gruppi demografici può aiutare nel disegnare interventi che siano maggiormente efficaci, aggiungendo un ulteriore livello di disaggregazione del fenomeno. La Figura 4 mostra la percentuale di NEET su un arco temporale di 12 anni, calcolata a partire dai dati ISTAT. Sfruttando i microdati è inoltre possibile evitare di considerare nel calcolo dei giovani NEET coloro che non studiano e non lavorano per alcune specifiche ragioni, tra le quali l'essere in attesa dell'avvio di una attività lavorativa, l'essere in un periodo di malattia o maternità etc. Tutte queste ragioni sono infatti dovute a specifiche situazioni che poco hanno a che fare con le dinamiche che governano il mercato del lavoro. Escludendo quindi queste categorie di persone, il grafico mostra come la percentuale di NEET sulla popolazione di giovani scenda leggermente (linea rossa), di circa due punti percentuali rispetto al calcolo ottenuto includendo invece tutte le persone inattive (linea blu). Inoltre, la differenza tra le due misure risulta essere omogenea sull'intero periodo, a conferma di come i gruppi esclusi siano composti da persone che sono inattive per ragioni ortogonali al normale ciclo economico.

L'evoluzione. Percentuale di giovani Neet (15-29 anni) in Italia tra il 2008 e il 2020
L'evoluzione. Percentuale di giovani Neet (15-29 anni) in Italia tra il 2008 e il 2020
Fonte: Istat

Che succede ora?

Utilizzando quindi questa misura di Neet leggermente aggiustata, è possibile calcolare quale sia il rischio – o la probabilità – che persone con diverse caratteristiche demografiche ricadano nel gruppo di persone non occupate e non impegnate in formazione. Utilizzando i dati trimestrali dal primo trimestre del 2008 al terzo trimestre del 2020, abbiamo considerato come categoria base di confronto il gruppo di lavoratori di genere maschile, nella fascia di età 25-29 anni, con un diploma universitario come titolo di studi più alto, residenti nel Nord-Est del Paese e con cittadinanza Italiana. Per queste persone la probabilità di diventare Neet risulta del 9.6%, in media sul periodo considerato. Il grafico sotto mostra quindi in quale misura ciascun aspetto demografico influisca su questa probabilità. A titolo di esempio, l'essere residenti al Sud è associato ad una probabilità di diventare Neet più alta di circa due punti percentuali rispetto alla probabilità che caratterizza il gruppo di confronto utilizzato. Più in generale, dal grafico emergono importanti disparità territoriali e legate al titolo di studio; meno invece le divergenze legate al genere.

Le politiche pubbliche

I dati sin qui descritti mostrano come in un contesto in cui l'inattività sembra essere una delle principali cause del fenomeno Neet in Italia, investire su politiche pubbliche che riducano il costo del lavoro nel caso di assunzioni di giovani lavoratori non può bastare.

I bonus occupazionali sembrano essere uno strumento di incentivazione troppo debole affinché persone fuori dal mercato comincino ad attivarsi.

Occorre invece investire in servizi che indirizzino le persone nelle loro attività di ricerca, in modo da rendere questa attività meno costosa, e in formazione sia per aumentare le opportunità di impiego, sia per ridurre la dispersione scolastica.

Il rischio. La probabilità di diventare Neet (Gap tra gruppi demografici)
Il rischio. La probabilità di diventare Neet (Gap tra gruppi demografici)
Fonte: elaborazione di Mondo Economico su dati Istat. I valori riportati nel grafico sono ottenuti mediante una regressione Probit; le barre mostrano gli intervalli di confidenza al 95%

La Garanzia Giovani

Proprio per intervenire su questi diversi fronti e favorire l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, nel 2013 la Commissione Europea ha promosso un vasto piano di interventi, da realizzarsi a livello nazionale, comunemente conosciuto come Garanzia Giovani. Tra gli obiettivi del piano troviamo proprio l'implementazione di politiche attive di orientamento, istruzione, formazione e inserimento nel mondo lavoro a favore di giovani che non sono impegnati in attività lavorative, né inseriti in percorsi scolastici o formativi.

Il confronto. Percentuale di Neet (15-24 anni) inseriti nel Piano Garanzia Giovani 2016
Il confronto. Percentuale di Neet (15-24 anni) inseriti nel Piano Garanzia Giovani 2016
Fonte: Commissione Europea

L’Italia fanalino di coda

Secondo i dati forniti dalla Commissione Europea, con riferimento al 2016 il nostro Paese risulta però tra quelli dove la percentuale di giovani NEET che ha preso parte, sotto diverse forme, a questo piano di interventi è decisamente bassa. Altri paesi, come l'Austria, la Francia o la Germania sono invece riusciti a raggiungere una percentuale di giovani da accompagnare nel mercato del lavoro decisamente più ampia. Segno, ancora una volta, della mancanza, in Italia, di una struttura organica e capillare di servizi adeguati per favorire l'incontro di domanda e offerta di lavoro e per orientare i giovani nell'ambito della formazione delle loro competenze. Nonostante queste carenze, alcuni studi hanno comunque evidenziato come il piano Garanzia Giovani abbia in ogni caso avuto un effetto positivo sul versante occupazionale per le giovani generazioni in Italia, in particolar modo favorendo l'occupazione femminile, seppur prevalentemente con contratti temporanei.

Il caso dell’Austria

Tornando sul confronto internazionale che emerge dalla Figura 6, spicca in particolar modo l'ottima performance dell'Austria. Benché parte dei risultati possano essere in gran parte dovuti ai diversi sistemi educativi e alle diverse caratteristiche del mercato del lavoro locale, sono comunque degni di nota due particolari interventi messi in campo in questo Paese, i quali avevano come obiettivo esattamente quello di facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, e di indirizzare l'investimento in competenze. In particolare, il primo programma, lanciato nel 2012 e denominato Youth coaching, aveva come obiettivo quello di fornire supporto professionale per aiutare ed orientare principalmente i giovani in difficoltà con gli studi e in cerca di opportunità lavorative, formative o di apprendistato. Gli interventi in questo ambito sono stati pensati per raggiungere sia gli studenti negli ambienti scolastici, sia coloro che invece erano già fuori dal sistema educativo tradizionale.

Solo nel 2014, sono stati investiti in questa misura circa 24 milioni di euro, con una spesa media di 700 euro per ogni persona presa in carico. Un secondo tipo di intervento, finanziato invece con 14 milioni di euro nel 2014, aveva come obiettivo quello di fornire orientamento lavorativo a studenti svantaggiati e in cerca di opportunità di impiego.

Essendo questo secondo tipo di programma più marcatamente indirizzato al mondo del lavoro, accanto alla consulenza per i giovani lavoratori sono state previste figure di supporto anche per le imprese, per guidarle nella formazione dei nuovi dipendenti, per facilitare l'integrazione di queste nuove figure negli ambienti lavorativi o più in generale per aiutarle ad individuarenuove opportunità di finanziamento della forza lavoro.