Gli incentivi per l’Industria 4.0 fondamentali per l’intera economia e volano di sviluppo. Ci sono leggi che hanno contribuito alla fortune dell’economia italiana tra anni ‘60 e 2000 (tra tutte la “Tremonti”,  sugli investimenti agevolati, e, prima, la Sabatini, finanziamenti per beni strumentali) e ci sono leggi che hanno profondamente mutato il volto produttivo della nazione negli anni recenti. Tra tutte il provvedimento noto come Industria 4.0 (e siamo al 2016) con ammortamenti fino al 250% per chi acquistava beni finalizzati all’innovazione di prodotto e di processo favorendo gli adeguamenti e i cambiamenti tecnologici. In questo senso, il 10 ottobre del 2015 resta una data storica per la politica industriale italiana, in quanto all’Assemblea di Unindustria Treviso l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi annunciò l’imminente avvio del superammortamento per i beni strumentali. Il Piano Industria 4.0 incluso l’iperammortamento per le tecnologie digitali, il patent box e una ampia dotazione di crediti di imposta per la ricerca, fu poi lanciato nel 2016. Un piano proseguito con successo negli anni seguenti ma che ora sta andando lentamente ad esaurimento dopo aver rischiato di morire del tutto con il governo Conte 1 come ‘importante’ segno di discontinuità rispetto ai governi Renzi e Gentiloni.

Fonte: MISE

Stimolo essenziale all’economia

“E sarebbe un grave errore cancellare Industria 4.0 – spiega Marco Fortis, docente di Economia industriale e Commercio estero alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano – anche se oggi pare che sia più attraente una pioggia di bonus o di piccoli sconti piuttosto che finanziamenti per nuovi macchinari. Specie per quelle realtà aziendali meno pronte e meno forti finanziariamente, oppure uscite in ritardo dalle ripetute crisi degli ultimi anni”. Il tutto senza dimenticare che anche l’Unione europea potrebbe aiutarci in questo cammino. “Certo perché – spiega ancora Fortis – potremmo trarre tutti grande giovamento da politiche strutturali comunitarie che finanzino l’innovazione industriale magari introducendo vantaggi fiscali più limitati ma strutturali nel tempo. Invece si è deciso di investire con agevolazioni esagerate nel settore edilizio dimenticando che le politiche più avvedute ed efficaci, si veda quel che accade negli Stati Uniti, stimolano l’impresa a investire nella giusta direzione dell’efficienza e della sostenibilità. Del resto le politiche italiane sono state attrattive anche per l’industria estera. Non è un caso se la Pfizer ha investito ad Ascoli Piceno con l’effetto di far passare l’export di medicinali da 900 milioni a 7 miliardi in pochi anni. L’Unione europea dovrebbe copiare la politica italiana di Industria 4.0”.

Nel corso degli anni le diverse varianti dell’originario Piano Industria 4.0 (denominato poi Impresa 4.0, Transizione 4.0) hanno ampliato e progressivamente spostato le misure di agevolazione per gli investimenti delle imprese dall’hardware (nuovi macchinari e impianti ed anche mezzi di trasporto) al software e al digitale e infine alla formazione dei dipendenti per l’utilizzo delle nuove tecnologie. Alcune importanti misure assai gradite dalle imprese (come il credito d’imposta per la ricerca o il patent box) hanno subìto ridimensionamenti. E il sostegno fiscale è andato via via riducendosi laddove, invece, il Piano Industria 4.0 dovrebbe proseguire indefinitamente perché è solo investendo in nuovi macchinari che il processo innovativo si sviluppa. D’altra parte, le  nuove macchine oggi incorporano grandi quantitativi di digitale in più rispetto a quelle del passato. Senza dire che molte piccole imprese italiane non hanno ancora fatto il salto dai vecchi beni strumentali a quelli a controllo numerico.

Consumo crescente di macchine “connesse”

Intanto, per rimanere a casa nostra, gli effetti di Industria 4.0 sul tessuto produttivo sono stati importanti. Secondo i dati di Federmacchine, nei quadrienni 2008-2011 e 2012-2015 il consumo italiano complessivo di nuovi macchinari si è attestato intorno ai 70 miliardi di euro a prezzi correnti per ciascuno dei due quadrienni. Poi, con il superammortamento e il successivo Piano Industria 4.0, nel quadriennio 2016-2019 il consumo di macchine è salito a 98 miliardi. E poi, nel quadriennio 2020-2023 (tenendo conto delle previsioni per l’anno in corso) il consumo italiano di nuove macchine potrebbe raggiungere i 112 miliardi di euro. Nel complesso, se confrontiamo il valore del consumo di macchine del quadriennio 2020-2023 con quello del 2012-2015 si è verificata una crescita del 59%, a cui il Piano Industria 4.0 deve aver contribuito in modo fondamentale.

Analizzando i dati del 2022 Federmacchine osserva che il consumo italiano di macchinari, anche grazie ai provvedimenti di incentivo 4.0, è risultato particolarmente vivace: con una crescita del 17,9% ha raggiunto il valore di 31.688 milioni di euro, trainando non solo le consegne interne ma anche l’import, cresciuto, del 23,5%, a 11.955 milioni di euro. Nel 2023, proseguirà il trend positivo, sebbene la crescita avrà ritmo più contenuto, complice l’incertezza che interessa l’intero scenario internazionale. In particolare, il fatturato crescerà a 55.861 milioni di euro, il 3,2% in più rispetto al 2022. Dello stesso tenore saranno gli incrementi registrati dagli altri indicatori economici. L’export è atteso in crescita, del 3%, a 35.395 milioni di euro; le consegne interne saliranno a 20.466 milioni, il 3,7% in più rispetto al valore registrato nel 2022. Anche la domanda interna salirà ancora (+3,1%) attestandosi a 32.679 milioni di euro.

 
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”Auspichiamo – spiega Giuseppe Lesce, presidente Federmacchine - che l’Europa dia il via libera all’utilizzo da parte dell’Italia, dei fondi non spesi previsti dal Pnrr per il 2022 e destinati ai provvedimenti 4.0. Con queste risorse potrebbe infatti essere finanziato (anche) il mantenimento delle aliquote al 40% del credito di imposta per gli investimenti in nuove tecnologie di produzione, così da sostenere il mercato domestico ancora particolarmente vivace. Il dimezzamento previsto dell’aliquota, che senza interventi, a gennaio 2023, passerà dal 40% al 20%, potrebbe congelare la domanda interna, bloccando di fatto, il processo di svecchiamento e transizione digitale ora nel pieno del suo dispiegamento. Un rischio, questo, che non possiamo assolutamente correre”.

Agevolazioni da mantenere

A questo punto il governo Meloni dovrebbe rilanciare il Piano Industria 4.0 in tutto il suo potenziale. “Ci sono – conclude Fortis - sensibilità in tal senso all’interno del governo, penso ai ministri Urso e Giorgetti e mi auguro interventi decisi sia per il mantenimento del pacchetto Industria 4.0 sia per una sensibilizzazione a livello europeo di incentivi strutturali in questa direzione. È in gran parte grazie al piano Industria 4.0 che la manifattura italiana in questi ultimi sette anni è cresciuta di più di quelle di Germania, Francia e Spagna, in termini di valore aggiunto, produttività, export. E la stessa ripresa italiana post pandemia non sarebbe stata così forte se il made in Italy manifatturiero non fosse diventato 4.0”.